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Don Pino Puglisi: ricordi di un anno di vita sotto il suo sguardo paterno.

Don PinoLa beatificazione di Padre Pino Puglisi, a 20 anni dal suo martirio, avvenuto nel giorno del suo 56 compleanno, non può passare sotto silenzio; la realtà della santità non può trovarci estranei, non appartiene ad un altro mondo o un’altra dimensione, ma ci interroga e ci parla con una voce che penetra profondamente nelle nostre orecchie e nei nostri cuori.
Don Pino è entrato nella mia vita, come pietra angolare, nell’età particolare dei diciotto anni, quando si decidono le sorti di una esistenza: vivere un intero anno sotto il suo paterno sguardo, gioire della sua calda e affettuosa amicizia, essere illuminato da una sapienza evangelicamente svelata ai piccoli, entusiasmarmi della sua dinamica pastorale capace di coinvolgere le persone più diverse, essere rallegrato dal suo buon umore, affascinato dal suo sorriso, penetrato da quegli occhi luminosi e vivaci, sentire la forza dei suoi principi morali, la profondità della sua fede, l’ardore della sua carità.
Un esperienza ancora viva. Un modello che lascia segni indelebili, anche dopo tanti anni, percorsi lontani, vie che non si intrecciano più.             
  Una conferma della straordinarietà della Persona: la sua figura è nitida nei ricordi dei tanti momenti affascinanti del vivere comunitario dentro il Seminario di via del Vespro a Palermo; nella tetra aula con finestra dall’alto che la sua sapienza teologica riusciva a trasformare in luogo di slancio spirituale e di luminosa visione dei misteri religiosi; nel campetto o nei tragitti quando le narrazioni singolari e curiose arricchivano di umanità e fraternità il nostro crescere; nel suo studio dove le ansie, i turbamenti, gli amletici dubbi giovanili si rasserenavano nel suo sorriso e nella lungimirante guida spirituale.
Figure cosi poliedriche sanno coniugare semplicità ed affabilità con una capacità straordinaria di animare persone e gruppi che hanno avuto la fortuna di vivere l’esperienza della sua comunione, il canone etico dell’onestà e della gratuità della vita e dell’amore per gli altri, in particolare per i piccoli.
Era un “piccolo” Padre Pino Puglisi, che si faceva ancora più piccolo non solo per il fanciullesco spirito giocoso, non solo per il suo scherzare sull’esilità della sua corporatura, “c’è picca d’arrustiri”, o sulla sua statura fisica, ma soprattutto perché credeva profondamente nelle beatitudini evangeliche dei poveri, dei perseguitati, degli assetati e affamati di giustizia.
Modello di semplicità e umiltà, personalità forte e decisa faceva diventare comuni situazioni ed eventi straordinari e coglieva nelle cose più piccole la profondità del progetto divino di cui era, in forme genuine e sempre nuove, annunciatore e profeta.
Davvero ritrovo incarnate in lui le parole evangeliche “hai rivelato le tue meraviglie ai piccoli e li hai nascoste ai potenti”: con quale semplicità nei suoi aneddoti, che sprizzavano simpatia e buon umore, fiorivano verità eterne ed insegnamenti la cui profondità sconvolgeva ogni tiepidezza ed ogni calcolo; poneva ciascuno dinanzi alle proprie responsabilità e al contempo infondeva una straordinaria fiducia nelle proprie risorse e nell’essere destinatari di un grande disegno divino.
Continuità storica e poliedricità delle esperienze arricchivano il suo messaggio mai astratto, mai calato dall’alto, mai via per pochi privilegiati, ma cammino che, pur difficoltoso e a volte doloroso, era alla portata di ciascuno.
Nei luoghi della cultura, nei cenacoli di spiritualità, nei centri di solidarietà, nelle sedi di formazione e di educazione il sopraggiungere di Padre Puglisi era una festa di simpatia, ma anche una occasione straordinaria di arricchimento umano e spirituale. Sempre discreta e mai invadente la sua presenza si avvertiva come un sussurro per assumere presto la forza e la pregnanza di un messaggio o di un atto indelebile: dall’umiltà e semplicità del vivere quotidiano ci si trasferiva in quelle dimensioni valoriali ed in quegli insegnamenti di vita attinti ad una spiritualità evangelica straordinaria.
Ecco perché in Padre Puglisi convergevano le ansie vocazionali di tanti giovani seminaristi e l’irrequietudine di tanti orfani dell’Istituto Roosevelt dell’Addaura; le dinamiche studentesche dei liceali del Vittorio Emanuele e il desiderio di spiritualità del Cenacolo di Piazza Busacca, in cui la fraternità diventava comunione; l’amicizia e la stima di tanti confratelli e di tante personalità, ma anche la diffidenza di coloro che constatavano l’intransigenza e il rigore di un uomo mai debole con i forti e sempre tenero con i poveri, i piccoli, i sofferenti.
L’aneddotica della sua vita era un filo che rendeva partecipi di una singolare esperienza persone tanto diverse tra loro: le esperienze familiari nel quartiere popolare cui era profondamente legato; i contenuti culturali poco appariscenti, a volte dissacranti, ma profondi e aperti sempre a grandi orizzonti; la pastorale nei quartieri più controversi e vari della Palermo del “sacco” o nella remota Godrano; la guida spirituale nel seminario, nelle comunità e nelle associazioni, in un intreccio di relazioni produttive e creative.
Altri hanno avuto la fortuna di vivere a più diretto e lungo contatto con questo piccolo gigante della nostra terra e della nostra chiesa e ne hanno dato pubblica testimonianza, ma ogni petalo di questo fiore ha un suo profumo ed una sfumatura cromatica inconfondibile; è quindi doveroso, nel momento in cui vengono riconosciuti l’esemplarità, l’eroismo e la santità dell’uomo, la cui forza era la genuinità e semplicità del vivere, testimoniare ogni esperienza che può renderne ancor più vivo ed efficace l’insegnamento.
Quale meravigliosa esperienza culturale averci condotto in una sala gremita di giovani ad ascoltare, in piena era spaziale, la dotta conferenza del fisico Enrico Medi, attrezzati di magnetofono a bobine per poi nel suo studio riascoltare il testo e trascrivere le frasi più pregnanti: “quanto sei piccola o terra!” “l’orgoglio della scienza ma anche la sua debolezza”, un sasso di trenta centimetri al momento dell’allunaggio sotto la “zampa del LEM” avrebbe messo a rischio l’intera missione che Armstrong, nel calpestare la polvere lunare, definì “un grande passo per l’umanità”. Nella voce dello scienziato e nella sapienza del Sacerdote che ci guidava nella riflessione si stagliavano le emozioni indimenticabili della notte del 20 luglio 1969, l’orgoglio di essere gli uomini della sfida spaziale, ma anche la coscienza di un’esistenza che si relaziona alla Trascendenza e che solo in essa può ritrovare se stessa.
Nell’agosto del 1970 nelle valli e nei passi dolomitici, nei meravigliosi boschi e lungo il corso di melodiosi torrenti, quante meditazioni sulle meraviglie del creato, quali suggestioni dall’accostamento dei colori delle cime di Lavaredo con le potenti note beethoveniane e, ancor di più, quale paterna sollecitudine nel tenderci la mano e nel sorridente abbraccio che ci salvava da un rischioso scivolone sul ghiacciaio della Marmolada: un piccolo gesto di amore, àncora di salvezza nei momenti di difficoltà. Il suo sguardo sempre discreto, ma penetrante coglieva i turbamenti dell’animo dietro il fascino di una simpatia e, nelle crisi sentimentali e vocazionali, diveniva guida serena ed accorta.
L’insegnamento più indelebile di quella rettitudine morale che lo porterà al martirio è in un episodio a Piazza Armerina nel giugno del 1970: tornavamo da una due giorni siracusana per assistere alle rappresentazioni classiche; sulla Fiat 1100 blu del Seminario quattro amici inseparabili e don Pino al volante sempre in vena di battute; all’ora di pranzo, prima di visitare la Villa del Casale, parcheggiamo dinanzi a un ristorante in uno spazio ristretto, “parcheggio ad orecchio” diceva; all’intervento agitato del proprietario dell’auto toccata, l’ironica risposta: “stia calmo siamo assicurati”; a quel signore non è sembrato vero di farsi riparare danni evidentemente preesistenti, “tanto paga l’assicurazione”; messi da parte giovialità e scherzo Padre Pino mostrava il colletto da prete rivendicando l’assoluta correttezza e legalità come principio inderogabile. Potrebbe apparire un piccolo episodio, ma nella mia mente l’immagine di quel volto che da gioviale diventa rigido ed incredulo che qualcuno avesse potuto, anche solo, pensare che un prete potesse prestarsi a qualsiasi combine e truffa, mi rafferma nel valore etico assoluto della sua rettitudine ed onestà.
D’altra parte cos’altro se non il vivere e l’insegnare il rispetto della giustizia, la dedizione ai deboli, l’impegno per liberare da ogni forma di schiavitù, la difesa del diritto alla vita, all’educazione, alla famiglia hanno animato, in forme umili e ordinarie, ma senza mai deflettere dai principi e dai valori, la sua missione?
È proprio l’umile adempimento della missione e la coerenza quel 15 settembre del 93 l’hanno portato a diventare “martire della fede”: perché è la fede che l’ha armato di quell’amore che non ha paura di dare la propria vita per i fratelli, per la loro dignità, per la loro libertà, per la loro salvezza.
Nelle stesse ore mentre nel pronto soccorso del Buccheri la Ferla Padre Puglisi riceveva dal Cristo crocifisso, lo stesso sorriso e la stessa frase che egli aveva rivolto ai suoi assassini, “me l’aspettavo”, io designato per guidare una nuova stagione politica, da un gruppo che voleva riportare il mio paese sulla strada della legalità, del rispetto dell’ambiente e dello sviluppo delle categorie sociali, passavo una notte insonne per il peso e la paura di tale eventualità. All’alba, la notizia del Suo martirio sgombrava ogni mio dubbio su quale fosse il dovere di un discepolo di Padre Puglisi: servire gli altri, soprattutto i più deboli, nella giustizia e nel diritto. Il manifesto programmatico di quell’esperienza amministrativa e politica ho voluto imprimerlo nell’intitolazione a Padre Pino Puglisi di una via di Castelbuono, tre mesi dopo il martirio, per testimoniare il dovere di riflettere sull’insegnamento eroico, nella sua normalità, di un modello umano, ma anche di un modello di santità, in una terra e in una chiesa così ancora tiepida e qualche volta fredda nell’impegno per il rinnovamento conciliare e per un’efficace pastorale per la giustizia e contro le mafie.
(Angelo Ciolino)

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