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III Domenica di Pasqua – Pietro e Giovanni ci ricordano che nella comunione dell’unica chiesa di Dio occorre riconoscere la pluralità di tradizioni diverse, tutte però orientate verso l’unico Signore.

Gettate le retiContinua l’azione pedagogica della Chiesa che, attraverso la parola di Dio e l’esperienza di fede della prima comunità cristiana, ci guida a essere… “gente di Pasqua”. Persone cioè che, dopo aver celebrato la Pasqua, la vivono nel quotidiano e ne testimoniano i frutti.
Come già domenica scorsa, le letture ci propongono un momento decisivo nella vita della prima comunità cristiana.
Gli incontri con il Risorto, infatti, riplasmano l’identità profonda degli apostoli, dando un volto nuovo alla Chiesa nascente.
Di questa identità fanno parte l’esperienza di fede sofferta di Tommaso (domenica scorsa) e le reti vuote dei discepoli. Ma anche la dichiarazione di amore di Pietro per Cristo e i momenti di crescita della comunità stessa grazie alla Parola. Come anche le prese di posizione coraggiose di Pietro e degli altri apostoli (prima lettura) che danno testimonianza della Risurrezione di Gesù.
Di fronte a chi vorrebbe una presenza indolore e ininfluente – e quindi un’identità debole – della comunità cristiana, questa deve ribadire la sua ferma volontà di servire Dio…  ( N. Galantino )
[In questa III Domenica il Risorto si manifesta]   sulle rive del mare di Galilea, là dove secondo i sinottici era avvenuta la chiamata delle prime due coppie di fratelli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, pescatori uniti in una piccola impresa (cf. Mc 1,16-20 e par.).
Dopo la morte e resurrezione di Gesù i discepoli sono tornati in Galilea, alla loro vita ordinaria fatta di lavoro, vita comune, vita di fede e di attesa. Ed ecco, in uno di quei giorni ordinari Pietro prende l’iniziativa, dicendo agli altri: “Io vado a pescare”. Gli altri sei ribattono: “Veniamo anche noi con te”.  ( E. Bianchi )
E’ una caratteristica nel vangelo che i discepoli nei momenti difficili, nei momenti di crisi, anziché essere con Gesù sono con Simon Pietro. E i risultati sono catastrofici. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Gesù aveva detto: “Senza di me non potete far nulla” e aveva detto che “Quando viene la notte nessuno può operare”. Ma i discepoli ancora non hanno capito. ( A Maggi )
Questo risultato fallimentare indica qualcosa? Credo di sì: ovvero, Pietro può pretendere l’iniziativa, ma senza la parola, il comando, l’indicazione del Signore, la pesca resterà sterile, la missione senza frutti.
Al levare del giorno, però, ecco sulla spiaggia un uomo di cui i discepoli ignorano l’identità. D’altronde mancano le condizioni per riconoscerlo: è ancora chiaroscuro ed egli non è vicino, né ha detto nulla perché i discepoli abbiano potuto riconoscerne la voce. È lui a rompere il silenzio, raggiungendoli con una domanda: “Piccoli figli, avete qualcosa da mangiare?”
Domanda sentita tante volte, per bocca di un mendicante sulla strada o sulla porta di casa. Sì, domanda di un mendicante che chiede qualcosa da mangiare per sostenersi. I discepoli devono averla sentita spesso sulle strade della Palestina, la sentono ora nell’alba e la sentiranno sempre in tutte le vicende della storia. La loro risposta è un secco: “No”. Non c’è stata pesca, non c’è cibo.
Ma quell’uomo continua: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Così fanno, un po’ meravigliati, quei discepoli pescatori, e la rete si riempie di una tale quantità di pesci che è faticoso trascinarla a riva. Dunque una pesca abbondante, straordinaria, che desta stupore in tutti.
Nello stupore, però, c’è chi discerne qualcosa di più e d’altro: è il discepolo che Gesù amava, … L’amore passivo di cui aveva fatto esperienza lo rendeva dioratico, uomo dall’occhio penetrante, uomo capace di vedere con il cuore e non solo con gli occhi. Ecco perché, indicando con il dito Gesù, può gridare: “È il Signore!” (ho Kýriós estin).
Attenzione: lo dice a Pietro, indicando quell’uomo sulla spiaggia e rivelandogli ciò che egli non era stato in grado di vedere. Pietro non esita un istante e nel suo entusiasmo pieno di desiderio di essere con il Risorto si tuffa subito in acqua per raggiungerlo a nuoto.
Inutile tacerlo: nel quarto vangelo tra il discepolo amato e Pietro c’è una vera e propria “santa concorrenza”, non una concorrenza di gelosia, perché i due discepoli sono diversi e il loro rispettivo rapporto con Gesù è diverso.
 Nell’ultima cena Pietro sta dopo il discepolo amato presso Gesù e a lui, che è abbracciato a Gesù, sul suo petto, deve chiedere di informarsi su chi è il traditore (cf. Gv 13,24-25). E il discepolo amato, ricevuta da Gesù la risposta, non dice nulla a Pietro (cf. Gv 13,26). Poi nell’alba della resurrezione, informati da Maria di Magdala, Pietro e il discepolo amato corrono insieme al sepolcro, ma questi arriva primo (cf. Gv 20,3-4). Lascia entrare Pietro nel sepolcro (cf. Gv 20,5-7), ma è lui che “vide e credette” (Gv  20,8), mentre Pietro è annoverato tra quelli che “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” (Gv  20,9).
Il discepolo amato precede Pietro nel discernimento, nella conoscenza, nella fede, e tuttavia riconosce sempre che nell’ordo della vita comunitaria Pietro è il primo per volontà di Gesù!
Quando poi i discepoli hanno trascinato a riva la rete piena di pesci, vedono un fuoco acceso con del pesce sopra e del pane, mentre Gesù chiede loro di portare un po’ del pesce che hanno preso.
In ogni caso, Gesù ha preparato per loro un pasto: anche da risorto resta colui che serve a tavola, che prepara il cibo e lo distribuisce.
…. Ed ecco il banchetto: “Venite a mangiare!”, dice Gesù, e nessuno replica, perché basta guardarlo, basta sentire la sua presenza, basta vedere il suo stile nello spezzare il pane e porgere il cibo per riconoscerlo.
Non si dimentichi inoltre che, quando questo capitolo viene scritto, ormai Gesù è indicato con il termine ichthús, “pesce”, anagramma di cinque parole: Iesoûs Christòs Theoû Hyiòs Sotér, Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore.
Finito di mangiare, Gesù inizia un dialogo con Simon Pietro ( E. Bianchi )
Due volte Gesù gli chiede se lo ama e due volte Pietro risponde che gli vuole bene. la terza volta Gesù lo incalza e gli dice “mi vuoi bene?”  ( A. Maggi )
A Gesù basta l’amore umano di Pietro, la sua capacità di volere bene: verrà il giorno – glielo dice subito dopo – in cui Pietro saprà vivere l’amore, l’agápe fino alla fine (eis télos: Gv 13,1), fino al dono della vita nel martirio, ma non ora…
Pietro, dal canto suo, appare grande perché umile, perché non pretende di dire: “Io ti amo”, con quell’agápe che scende solo da Dio.
C’è qui tutta la grandezza di Pietro, che rinuncia a essere protagonista di quell’amore che solo Dio può donare.
Il Pietro che era stato presuntuoso (“Darò la mia vita per te!”: Gv  13,37), il Pietro che era sempre così sicuro ed entusiasta da voler fare più di quanto Gesù gli chiedeva (“Signore, lavami non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!”: Gv  13,9), ora è il Pietro anziano, maturo spiritualmente, umile perché è stato umiliato, senza pretese, perché ha compreso di essere una roccia fragile, che al primo spirare del vento affondava… Per lui la vita è stata tutta una lezione, ma proprio per questo può essere il pastore di agnelli e di pecore sperdute. (E.Bianchi)
 
 
 
 

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