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II Domenica del T.O. – Passi costitutivi della fede: venire a Gesù, sperimentare e conoscere la sua dimora e infine trovare dimora in lui.

Con la festa del Battesimo del Signore, celebrata domenica scorsa, siamo entrati nel tempo liturgico chiamato “ordinario”.
Nella prima lettura la chiamata del profeta Samuele : è la storia della soluzione di un malinteso. La voce di Dio arriva all’orecchio del giovane ma, finché non viene aiutato dal sacerdote Eli, Samuele non la intende; sarà poi un grandissimo profeta, ha due libri della Bibbia a lui dedicati, ma da solo non sarebbe mai arrivato alla sua missione.
Nel Vangelo Giovanni il Battista indica a due dei suoi discepoli che Gesù è l’Agnello di Dio ( Fabio Rosini )
Per comprendere l’indicazione del Battista dobbiamo ricordare il cap. 12 del libro dell’Esodo che descrive la Pasqua, la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana.
In questo capitolo Dio comanda, attraverso Mosè, a ogni famiglia israelita, di prendere un agnello ucciderlo e mangiarlo. La carne dell’agnello avrebbe trasmesso l’energia per iniziare questo cammino di liberazione verso la terra della libertà e il sangue li avrebbe preservati dal passaggio dell’angelo sterminatore che avrebbe seminato la morte.
L’evangelista Giovanni tiene molto presenti queste linee teologiche per presentare la figura di Gesù.
Viene detto : “ Fissando lo sguardo su Gesù che passava disse:” Ecco l’Agnello di Dio”, dove il verbo fissare significa svelare la realtà più profonda di un individuo.
E Giovanni Battista svela la realtà più profonda di Gesù: la carne di Gesù darà la capacità, la forza e l’energia per iniziare questo cammino di pienezza verso la liberazione. E il sangue non libererà dalla morte fisica, ma libererà dalla morte per sempre. Il sangue dell’agnello trasmetterà all’uomo la stessa vita divina. Per questo gli conferirà una vita che è chiamata “eterna” non tanto per la durata (per sempre), quanto per la qualità indistruttibile. ( A Maggi )
Badiamo di essere miti al pari dell’agnello divino, senza armi per attaccare, senza armi per difenderci, lasciandoci assalire, tosare, sgozzare senza resistere e senza una parola di lamento (C. de Foucauld, Opere spirituali 199-200).
Giovanni, da vero rabbi e maestro, dà un orientamento alla ricerca dei discepoli: non li trattiene presso di sé, ma li educa, li conduce fuori, verso il Messia. ( E. Bianchi)
Per raggiungere Gesù c’è bisogno di un ponte, e deve essere quello giusto. Un sacerdote per un nuovo profeta (Eli per Samuele ); l’ultimo dei profeti ( Giovanni Battista) per i primi discepoli del Messia; un testimone oculare per chi dovrà essere la roccia d’appoggio per la Chiesa.
Perché queste mediazioni? … …. Dio ha fatto sì che abbiamo bisogno gli uni degli altri per incontrarlo. Non posso amare Dio senza l’aiuto di qualcuno; anzi: non possiamo amare Dio senza amare i fratelli. La fede si riceve, non si improvvisa. E se non porta alla carità fraterna, è un falso. ( F. Rosini )
Ascoltate le parole del Battista, subito i due si mettono a seguire Gesù, si pongono sulle sue tracce, vanno dove egli va.
… Ma la sua sequela non può avvenire per incanto, per infatuazione, per una semplice scelta di appartenenza: il discepolo può imboccare un cammino sbagliato, se non sa riconoscere che cosa e chi veramente cerca … disponibile a lasciare le sue sicurezze per aprirsi al dono di Dio. Cercare è un’operazione e un atteggiamento assolutamente necessario per ascoltare e accogliere la propria verità presente nell’intimo, là dove il Signore parla. ( E. Bianchi )
Infatti Gesù, che va incontro ai desideri degli uomini, vedendo che questi lo seguono, si voltò, osservando che essi lo seguivano,  e disse loro: “Che cosa cercate?”. Gesù non chiede “Chi cercate”, ma “che cosa cercate”.
Se cercano pienezza di vita, se cercano la risposta al proprio desiderio di vita, di felicità, possono andare, ma se cercano onori, potere e ricchezze inevitabilmente rimarranno delusi dalla figura di Gesù. Gli risposero: “Rabbì” – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?” E  Gesù risponde: “Venite e vedrete”.
Il luogo dove Gesù dimora non può conoscersi per una informazione, ma per una esperienza, perché Gesù dimora nella pienezza della sfera, dell’amore divino. …  Andare verso Gesù significa entrare nella dimensione dell’amore di Dio.
Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui. E’ l’inizio di una tappa di fusione tra Gesù e i suoi discepoli.
Ora i discepoli vanno a dimorare con Gesù, ma poi sarà Gesù più avanti, nel capitolo 14-23 che chiederà ai discepoli di dimorare in loro. Gesù dirà: “A chi mi ama, io e il padre mio verremo in lui e prenderemo dimora in lui”. Quindi c’è una fusione tra i discepoli e Gesù per diventare – quello che sarà il tema conduttore di questo vangelo – una unica realtà che esprima la manifestazione di Dio. ( A Maggi )
Così è avvenuto l’incontro con Gesù, un incontro che ha cambiato profondamente la loro vita, perché da quell’ora (definita con precisione l’ora decima, ossia le quattro del pomeriggio) cominciano a vivere, a dimorare con lui.
Questi due primi discepoli di Gesù sono Andrea e l’altro che non ha un nome ma che è stato identificato dalla tradizione nel discepolo anonimo, “quello che Gesù amava” (Gv 13,23; 19,26, 20,2; 21,7.20), forse il figlio di Zebedeo.
I sinottici presentano questa chiamata dei primi discepoli con un racconto molto diverso: in Galilea, sulle rive del mare, Gesù passa e vede due coppie di fratelli, li chiama dietro a sé (“Seguitemi!”) e questi lo seguono prontamente, senza dilazioni (cf. Mc 1,16-20 e par.). Nel quarto vangelo, invece, la vocazione è mediata dal Battista, non è diretta. In entrambi i casi, però, la testimonianza è concorde: prima di iniziare la sua predicazione, Gesù forma attorno a sé una comunità, i chiamati a farne parte si mettono alla sua sequela (verbo akolouthéo) e a loro egli chiede di condividere la sua vita sempre, nella perseveranza, fino alla fine. ( E. Bianchi )
Andrea, secondo la tradizione greca il primo chiamato, incontra suo fratello Simone e subito … si sente spinto a comunicare la buona notizia del Messia tanto atteso e ora presente, operante in mezzo al suo popolo …

L’espressione “abbiamo trovato”, al plurale, indica ormai il noi della comunità di Gesù, che da questo momento risuonerà in tutto il vangelo per confessare la fede e rendere testimonianza. 
Secondo il quarto vangelo Simone non fa alcuna azione, non prende alcuna iniziativa, ma sta di fronte a Gesù e ascolta le sue parole inequivocabili. Gesù fissa lo sguardo su di lui, come il Battista lo aveva fissato su Gesù stesso, e gli proclama la sua vera identità, vocazione e missione: “‘Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Kephas’ – che significa Pietro”. …. Così Gesù rivela chi è veramente Simone all’interno della sua comunità: è una pietra, una roccia subito messa in posizione di autorità, lui che sarà il portaparola dei Dodici (cf. Gv 6,67), lui che sarà il pastore del gregge delle Signore (cf. Gv 21,15-18).
…Ma se il quarto vangelo ci fornisce questa narrazione “altra” della chiamata dei primi discepoli, subito dopo, nella chiamata di Filippo che avviene il giorno seguente, ricompare quella parola efficace rivolta da Gesù al discepolo: “Seguimi!” (akoloúthei moi: Gv 1,43).
Muovendosi dalle rive del Giordano verso la sua terra, la Galilea, Gesù incontra Filippo, un altro galileo di Betsaida (come Pietro e Andrea). Non ci viene detto né dove né in quale situazione Gesù gli rivolge tali parole, ma ciò che è essenziale è che gli chieda di seguirlo. …. Vocazione dunque senza mediazioni, ma non per questo meno contagiosa. Non appena infatti Filippo incontra un altro galileo, Natanaele proveniente da Cana, gli comunica la buona notizia del compimento delle sante Scritture.
[ … ] ( Allo scetticismo e all’ironia di Natanaele ) Filippo ribatte: “Vieni e vedi! Vieni e sperimenta” (cf. ibid.), eco delle parole rivolte da Gesù ai primi due discepoli. Questi infatti sono i passi costitutivi della fede: venire a Gesù, sperimentare e conoscere la sua dimora e infine trovare dimora in lui. ( E . Bianchi )
Che cosa significa per la Chiesa, per noi, oggi, essere discepoli di Gesù Agnello di Dio? Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. È un buon lavoro! Noi cristiani dobbiamo fare questo: mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. Essere discepoli dell’Agnello significa non vivere come una “cittadella assediata”, ma come una città posta sul monte, aperta, accogliente, solidale. Vuol dire non assumere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi. ( Papa Francesco )

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