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Vangelo Domeniche e Festività

XXVII Domenica del T.O. – Nel matrimonio,incontro di amore, c’è la chiamata a essere amanti come Dio ama, essendo lui amore .

La FamigliaLa Liturgia della Parola di oggi presenta il tema dell’unione uomo-donna sia dal punto di vista teologico (1ª lettura) che da quello giuridico (Vangelo).
Due aspetti strettamente legati tra loro, visto che l’interpretazione teologica fonda le risposte e le precisazioni di Gesù che, poi, devono ispirare la vita del credente.
Certo, dinanzi alle ferite che da sempre il matrimonio e la famiglia subiscono e che sembrano acuite ai nostri giorni, è forte la tentazione di ritenere quasi inutile una riflessione sulla proposta e sul modo di vedere il matrimonio da parte di Cristo e della Chiesa. Continua a leggere

XXVI Domenica del T.O. – Cristo trascende le frontiere di ogni comunità cristiana e può operare il bene in molte forme attraverso la potenza del suo Spirito santo, che “soffia dove vuole”.

Gesù parla ai discepoli mGesù sta continuando il cammino verso Gerusalemme insieme ai suoi discepoli, ma il clima comunitario non è pacifico: … tra Gesù e la sua comunità vi è distanza, incomprensione.
Se il passo di Gesù è sempre convinto, con uno scopo preciso che gli richiede una radicale obbedienza, quello dei discepoli è invece incerto e sbandato.
Nel vangelo secondo Marco tutto il viaggio verso la città santa sarà caratterizzato da questa tensione tra Gesù e i suoi, dall’incomprensione da parte di tutti, nessuno escluso.
Ed ecco, puntualmente, un nuovo episodio che attesta tale stato di cose: Giovanni, il fratello di Giacomo […] vede un tale che scaccia demoni, compie azioni di liberazione sui malati nel nome di Gesù, pur non facendo parte della comunità, dunque non seguendo Gesù con gli altri discepoli.
Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva
Cosa c’è in questa reazione di Giovanni? Certamente uno zelo mal riposto, ma uno zelo che rivela un amore per Gesù, una gelosia nei suoi confronti: se uno usa il nome di Gesù, dovrebbe seguirlo e dunque fare corpo con la sua comunità…
Mescolato a questo sentimento vi è però anche uno spirito di pretesa, il pensiero che solo i Dodici siano autorizzati a compiere gesti di liberazione nel nome di Gesù; c’è un senso di appartenenza che esclude la possibilità del bene per chi è fuori dal gruppo comunitario; c’è la volontà di controllare il bene che viene fatto, affinché sia imputato all’istituzione alla quale si appartiene.
Sono qui ritratte le nostre patologie ecclesiali, che a volte emergono fino ad avvelenare il clima nella chiesa, fino a creare al suo interno divisioni e opposizioni, fino a fare della chiesa una cittadella che si erge contro il mondo, contro gli altri uomini e donne, ritenuti tutti nello spazio della tenebra.
Dobbiamo confessarlo con franchezza: negli ultimi trent’anni il clima della chiesa è stato avvelenato in questo modo e tale malattia non è ancora stata vinta.
Vi sono movimenti ecclesiali che si ergono a giudici degli altri, che si ritengono una chiesa migliore di quella degli altri.
Vi sono cristiani che, con certezze granitiche, giudicano gli altri fuori della tradizione o della chiesa cattolica e aspettano di poter ascoltare da parte dell’autorità ecclesiastica condanne verso quanti non somigliano a loro o non fanno parte del loro movimento, che cede a tentazioni settarie.
Non possiamo negare che molti hanno dovuto soffrire e sentirsi figli bastardi, poco amati da una chiesa che privilegiava altri in quanto militanti, facili e ben disposti a essere ingaggiati in battaglie contro il mondo.
Guai alla comunità cristiana che pensa di essere chiesa autentica, guai all’autoreferenzialità e all’autarchia spirituale, atteggiamenti di chi pensa di non avere bisogno delle altre membra, perché si crede lui il corpo di Cristo (cf. 1Cor 12,12-27).
Cristo è Signore, è il Signore di tutta la chiesa e lui solo conosce i suoi (cf. 2Tm 2,19): non spetta dunque ai suoi, o ai pretesi suoi, giudicare altri come zizzania, fino a tentare di estirparli (cf. Mt 13,24-30). Cristo trascende le frontiere di ogni comunità cristiana e può operare il bene in molte forme attraverso la potenza del suo Spirito santo, che “soffia dove vuole” (Gv 3,8). Nella chiesa, purtroppo, si soffre di questa malattia dell’“esclusivismo” e facilmente non si riconosce all’altro la capacità di compiere il bene, di operare per la liberazione dell’uomo dai mali che lo opprimono. ( E Bianchi )
I discepoli senza pensare, volevano chiudersi intorno a un’idea: soltanto noi possiamo fare il bene, perché noi abbiamo la verità. E tutti quelli che non hanno la verità non possono fare il bene.
[…] Chi può fare il bene e perché? Cosa significa questo “non glielo impedite” di Gesù? Cosa c’è dietro?
I discepoli erano un po’ intolleranti, ma Gesù allarga l’orizzonte e noi possiamo pensare che dica: Se questo può fare il bene, tutti possono fare il bene. Anche quelli che non sono dei nostri.
[…] Il Signore ci ha creati a sua immagine, e se lui fa il bene, tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: Fai il bene e non fare il male. Tutti.
[…] Questa è anche una bella strada verso la pace. Se infatti ognuno fa la sua parte di bene, e lo fa verso gli altri, ci incontriamo facendo il bene.
E così costruiamo la cultura dell’incontro; ne abbiamo tanto bisogno. Nessuna preclusione, dunque, nei confronti degli atei e di chi la pensa in modo diverso: Fa’ il bene, ci incontriamo là poiché su questa strada di vita il Signore parlerà a ciascuno nel cuore.
Fare il bene è un dovere, è una carta di identità che ha dato a tutti il nostro Padre, perché ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. E lui fa il bene sempre. (dalle Omelie di papa Francesco a Santa Marta, 22 maggio 2013: Mc 9, 38-40).
 Molto spesso quest’estate, nelle ore più calde del giorno, mentre lavoravo in giardino, vedevo scendere il giovane Rabah, figlio di Mohamed, che portava l’acqua a suo padre e ai suoi zii.
Mai una volta che si sia scordato di fermarsi da me, facendo una deviazione, per porgermi il bidone dell’acqua (el ma te shreb).
Si, ho bevuto e ho bevuto nel suo bel sguardo il Dono. Ho visto venire tra noi il regno del Dono. Come è bella la nostra missione di Chiesa qui: ricevere (Frère Christophe Lebreton: “La table et le pain pour les pauvres” 25 settembre 1994).
 […]il Signore ci educa ad andare oltre, ad aprire il cuore e a saper scorgere la sua presenza anche in luoghi e persone “non autorizzate”. Un chiaro invito a preoccuparci più dell’autenticità e coerenza della nostra fede, che non di come o da chi essa venga diffusa.
In questa direzione vanno le esigenti richieste che Gesù rinnova ai suoi discepoli – allora come oggi – per vivere il Vangelo senza ambiguità.
Guardarsi dallo scandalizzare “i piccoli”, eliminare dalla nostra vita ciò che ci fa ostinatamente “inciampare” (“scandalo” significa “inciampo”) nel cammino di fede, anche se ciò richiede sacrificio: ecco cosa Gesù si attende da noi, che diciamo di voler essere suoi discepoli. ( N. Galantino)
“Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”
Tutti noi siamo membra di un solo ed unico Corpo; […Gesù] è venuto a salvare tutti, affinché nessuno vada perduto. E invece noi facciamo prima a “tagliarci” di un fratello che tagliarci un piede, una mano.
Facciamo prima a strappare la dignità ad un fratello, il suo pane, il suo lavoro… che strapparci un occhio. (Père Christian de Chergé: “L’autre que nous attendons” 29 settembre 1985).
 

XXV Domenica del T.O. – Essere povero, umile e piccolo è la caratteristica propria di Dio che, divenuto Figlio dell’uomo, si è fatto ultimo di tutti e servo di tutti.

lAVANDA PIEDITutti i brani del Vangelo di Marco che stiamo esaminando in queste domeniche sembrano avere un dato in comune: la difficoltà di Gesù con i suoi discepoli.
Non ne vogliono sapere di comprendere chi egli sia e quale sia il suo programma. …[ Essi ] non è che non capivano, non accettavano quello che Gesù diceva. (A. Maggi )
Mentre, infatti, Gesù annunzia la sua Passione, i discepoli, inebriati dalla logica del mondo, pensano a competere, a primeggiare, a imporsi l’un l’altro: «Chi è il più grande?».
Non solo non comprendono, ma – annota l’evangelista Marco – «avevano timore di chiedergli spiegazioni».
Un atteggiamento, quello dei discepoli, talora presente ancora oggi, in ciascuno di noi, dinanzi alle richieste di Gesù. Continua a leggere

XXIV Domenica del T. O. – È facile dire a Gesù che egli è il Cristo, il Messia, ma è impossibile accettare un “Messia al contrario”, un Messia sofferente sconfitto …!

Va dietro di me rSe il Vangelo di Marco, nel suo insieme, cerca di rispondere alla domanda «Chi è Gesù?», il brano odierno va direttamente al cuore della questione.
Dall’identità di Gesù, infatti, dipendono anche la relazione che bisogna stabilire con Lui e le esigenze conseguenti a questa relazione.
Ed è proprio Gesù che, attraverso una pedagogia graduale, conduce i discepoli ad affrontare la domanda di fondo sulla sua identità.
Prima li interroga alla lontana («La gente, chi dice che io sia?»), quasi a volerli introdurre con delicatezza al momento di verità che seguirà. Ma la rassegna delle opinioni altrui non è l’obiettivo di Gesù …
A chi sta con lui, Gesù non permette di rispondere alle sue domande con “frasi fatte” né con formule prese a prestito, magari da libri ben fatti: una fede fatta di formule o ridotta a esse è la tomba della fede stessa. Quello che il Signore vuole, invece, è che i suoi discepoli – allora come oggi – vivano con lui una relazione interpersonale autentica, senza accontentarsi del parere o del racconto di altri. ( N. Galantino )
 
Gesù però non si ferma a questa prima domanda, e pone loro quella seria e decisiva: “E voi, ciascuno di voi, chi dite che io sia?”.
Questa domanda esige che i discepoli si chiedano se anche loro seguono l’opinione comune, ciò che quasi tutti pensano, oppure se hanno un proprio pensiero.
Certamente tra i discepoli gli stessi Dodici non la pensavano tutti allo stesso modo. Per Marco è però importante la dichiarazione di Pietro, colui che tra i Dodici teneva il primo posto.
È lui – e non a nome di tutti, o come portavoce, ma personalmente – a proclamare: “Tu sei il Cristo, il Messia!”.
Pietro dice che Gesù è più di un profeta, è l’inviato di Dio, unto dal Signore per stabilire il regno di Dio.
…. Nel vangelo più antico questa confessione è accolta da Gesù nel silenzio e con l’imposizione del silenzio, perché era vera, ma poteva essere insufficiente, dunque doveva essere messa alla prova.
Ed è ciò che puntualmente avviene subito dopo.
Non appena Pietro ha confessato la sua fede di giudeo credente, in attesa del compimento della promessa di Dio, ecco che Gesù può iniziare un insegnamento nuovo rispetto a quello della tradizione.
Per questo “incominciò” (érxato) a dire che egli, Messia sì, ma – come amava definirsi – Figlio dell’uomo, “doveva soffrire molte cose, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. Ecco l’insegnamento nuovo e scandaloso, ma fatto apertamente da Gesù.
E allora Pietro che, insieme agli altri Undici, stava dietro a lui (opíso autoû), secondo l’usanza dei discepoli nei confronti del loro rabbi, accelera il passo, gli si pone davanti, lo precede e lo rimprovera.
Per Pietro è impossibile un Messia che non trionfi, che non sia vittorioso sui nemici, un Messia rigettato dalle autorità legittime della comunità dei credenti di Israele, un Messia che subisca una morte violenta.
E poi, cosa significa questo rialzarsi il terzo giorno?
Gesù allora può solo rispondergli: “Passa dietro a me (opíso mou), alla mia sequela, al tuo posto di discepolo”, e lo definisce “Satana”, cioè oppositore, avversario: a Pietro viene dato il nome del demonio!
È facile dire a Gesù che egli è il Cristo, il Messia, ma è impossibile accettare un “Messia al contrario”, un Messia sofferente sconfitto; si tratta davvero di un insegnamento nuovo, e Pietro non è pronto ad accoglierlo…
Mosè era morto “sulla bocca di Dio” (Dt 34,5), Elia era stato da Dio assunto in cielo (cf. 2Re 2,1-18), e invece proprio il Messia deve subire violenza, condanna, rifiuto? Non può essere, pensa Pietro… E invece è così – dice Gesù – e in effetti così è stato.
Un abisso separa il piano, la volontà di Dio dai pensieri degli umani (cf. Is 55,8-9), anche dai nostri, dai miei! In verità è tanto facile acclamare Gesù come Cristo, cantarlo e invocarlo; ma accettarne la fine ignominiosa, il fallimento della missione, è scandalo, inciampo, è quasi impossibile per le nostre attese religiose.
E poi, al pensiero che dietro a un tale Messia, maestro e profeta si è coinvolti nella sua vicenda, allora siamo presi da paura e preferiamo non credere, non conoscere la vera identità di Gesù.
E così siamo cristiani non del Vangelo, ma del campanile; cristiani culturalmente, non perché seguiamo Gesù; cristiani pii e devoti, ma lontani dall’ombra della croce. ( E. Bianchi )
 
Il vizio mentale di Pietro era quello ereditato dal messianismo temporale.
Poco prima, alla domanda di Gesù, aveva detto: «Tu sei il Cristo», cioè il Messia, e quindi voleva dire: «Tu sei colui che porta a riscatto il nostro popolo». ( E. Balducci )
 
Gesù in questo Vangelo è stato presentato come ‘Messia’, non ‘il Messia’.
L’articolo determinativo ‘il’ indica che è il Messia atteso dalla tradizione, quello che verrà a restaurare la monarchia, quello che imporrà la legge.
Gesù è Messia, ma non il Messia della tradizione.  Quindi Pietro non ha risposto bene.  ( A Maggi )
 
 La speranza dei secoli confluiva nella passione di Pietro per il Maestro.
Non era un individuo, era un popolo che parlava con lui. Invece il Maestro prospetta il fallimento e una vittoria, ma al di fuori dei quadri previsti.
C’è una frattura profonda.
[…] Ci troviamo in un tempo messianico.
Chiamiamo messianico il tempo in cui le speranze, che spesso vanno, come torrenti o fiumi, in letti tranquilli, a volte si trovano dinanzi a grandi barriere.
 Siamo dinanzi a queste grandi barriere ed ecco perché siamo portati a ripiegarci per interrogarci.
Che cosa vuoi dire aver fede, una volta che questa parola sia tolta alla cattura religiosa e spiritualistica?
 In quest’ottica, la fede vuoi dire sperare in Dio, nel paradiso, nell’aldilà. Così svuotata la fede diventa crisalide, manipolabile a tutti gli usi, anche a quello delle, guerre, come la storia ci dimostra.
La fede di cui parlo, e che vuole opere conseguenti, è la fede della non-violenza.
 È la non-violenza che apre la via alla realizzazione del mondo secondo il cuore di Dio e il cuore dell’uomo, che sono un solo cuore.
Un mondo di pace, senza violenze, senza discriminazioni, senza sperequazioni.
Questa aspirazione è il segno messianico iscritto nelle fibre carnali dell’uomo… ( Ernesto Balduci- da “Il Vangelo della pace” – volume 2 anno B)
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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