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XXIII Dom del T.O. – La fede ci fa udire cose che lo spettro percettivo del nostro orecchio normale non saprebbe ascoltare.

Anche nella sua forma redazionale la guarigione del sordomuto rivela il suo valore simbolico tanto è vero che questo rito viene ripetuto nell’ambito del sacramento, perché la fede fa parlare i muti e fa udire i sordi, cioè la fede ci permette di esprimere ciò che secondo il codice linguistico degli uomini non ha senso e che rimane inibito in noi, e ci fa udire cose che invece lo spettro percettivo del nostro orecchio normale non saprebbe ascoltare.

 

         Questo valore simbolico mi spinge a mettere a fuoco, rapidamente, dal punto di vista antropologico, che senso ha per noi, anche umanamente, questo miracolo della lingua che si scioglie e degli orecchi che odono.

 

Mi domando spesso – ma la questione è, per gli specialisti, una questione canonica – per quale motivo ai bambini piacciono tanto le fiabe. La risposta che mi do è che mentre i bambini crescono e cominciano a capire quello che si può dire e quello che non si può dire – e così li si educa -, quello che si può ascoltare e quello che non si può ascoltare, quello che è giusto aspettarsi dalla vita e quello che è stupido aspettarsi dalla vita – e così diventano maturi -, la fiaba crea accanto ad un mondo così fatto un mondo consolatorio.

Nelle fiabe tutto è possibile. Un bambino che legge una fiaba in una catapecchia sa che una fata con un colpo di bacchetta può far nascere un palazzo di cristallo, là dove ci sono le pietre può venir fuori un torrente fresco d’acqua.

Gli uccelli parlano, gli animali parlano come uomini. Accanto a un mondo dove il tirocinio della vita, ci abitua a reprimere i pensieri impossibili, c’è un mondo dove l’impossibile è normale. E così ci consoliamo.

 

C’è anche chi dice che la fede è una fiaba e da un punto di vista meramente antropologico ha anche ragione. Se io parlo di vita eterna, di resurrezione, che dico? Sono forse cose possibili? No!

Però non è chiusa la questione quando si è fatta la distinzione su cui si basa il nostro processo di maturazione, fra il possibile e l’impossibile. È che dentro di noi diventiamo pian piano muti, cioè non siamo più capaci di dire quelle cose ci hanno insegnato che non si devono dire, ad esprimere desideri che è stolto esprimere. Dentro di noi abbiamo un mondo represso.

 

 Di fronte a certi orizzonti noi siamo sordi e muti.

 È vero, lo vediamo anche al livello umano, che certe persone perfettamente formate ed efficienti sono però sorde e mute a tutto il resto: non sanno più ascoltare un canto di uccelli, non sanno guardare un fiore.

L’efficienza implica la distruzione di tutto ciò che è gratuito, è libero. Questo è il nostro dramma, anche umanamente.

 

Ebbene: usciamo subito da questo avvio. Se uno riuscisse a dar voce libera a tutti i sogni più legittimi che sono contratti nel cuore, chi sarebbe? Sarebbe un profeta.

 I profeti sono quelli che han dato libera voce a ciò che nell’uomo normale resta represso.

 Isaia è di questi. Isaia parla di un tempo in cui “gli Zoppi salteranno come cervi, i muti grideranno di gioia, dal deserto verranno fuori le acque”. In quel mondo arcaico, queste sono cose che davvero coincidevano con i sogni veri della gente. Ma sogni proibiti.

Il profeta da libero sfogo a queste aspettative e lo fa chiamando in causa Dio. La sua forza è che, come garante delle verità di queste sue aspettative, ha Dio stesso.

Il profeta afferma che questo tempo non è un tempo che verrà chissà quando, è già presente dentro di noi.

Questo oggi di Dio, questo tempo che non si dipana in passato, presente e futuro, in cui è l’adempimento di tutte le attese è dentro di noi come un germe e noi dobbiamo farlo fruttificare.

Il problema vero è che queste possibilità (enunciate con lingua variopinta, con una casistica semplice che anche i bambini vibrano appena l’ascoltano), si realizzino nel nostro mondo.

È però pericoloso avere questi sogni.

 Pensate, anche dal punto storico-sociale, quanti sogni di un cambiamento del mondo da cui nascono le rivoluzioni, quante masse hanno marciato dietro le bandiere aspettando il sole dell’avvenire!

Se cade un sogno, la gente è scoraggiata, è desolata.

In questo nostro tempo è immensa la desolazione; ci sono molti scoraggiati che non credono più ad un cambiamento del mondo.

Qualcuno si adatta, con rapido riciclaggio, e ne vediamo tanti. Anche nel semplice arco della memoria io ne conosco tanti che venti/trent’anni fa aspettavano un mondo diverso e adesso sono tutti tranquilli. Molti però sono scoraggiati. Non possiamo rinunciare, pena la nostra dignità.

 

[…] Che compito ha una comunità cristiana? Se la comunità cristiana non fa che ratificare l’ordine esistente, il mondo com’è, e sacralizzandolo lo introduce al suo interno, ha già contraddetto la sua ragion d’essere perché la comunità deve testimoniare che è possibile ciò che i profeti dicono.

Invece, come dice con linguaggio pittoresco Giacomo, “Entra nella comunità un ricco, un benvestito, con un anello d’oro al dito lo fate venire al primo posto”. Come nelle chiesine di paese. Ricordo la mia dove i notabili del paese avevano il primo posto con il nome scritto su targa d’ottone in modo che nessuno osasse prendere il posto.

 La Chiesa ha ratificato le gerarchie, ha ucciso la profezia. La comunità non è uno spazio sacro dove si fanno i giochi profetici, è il momento in cui si prende coscienza di ciò che deve essere la comunità umana tout-court. Altrimenti ogni potere di questo mondo (come ha fatto ) costruirebbe le chiese per chi vuol fare i suoi giochi mistici.

La nostra deve essere una forma di esistenza che diffonda queste aspettative nella comunità degli uomini che è la nostra vera casa, la nostra vera chiesa.

L’Ecclesia, l’assemblea vera è quella degli uomini. Se noi ci separiamo è solo per prendere coscienza del nostro compito. Nasce allora una tensione importante. Io sono sicuro che questo è il cammino che dobbiamo fare… ( Ernesto Balducci – dalle Omelie inedite anno B)

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