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30 Dicembre – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

 
S FamigliaNella domenica in cui  la Chiesa ci chiede di fare memoria dei genitori di Gesù, di questa famiglia in cui Gesù è nato, è stato allevato ed è cresciuto, riportiamo l’ “Epilogo” dell’ultimo libro di Papa Benedetto XVI ( L’Infanzia di Gesù ) ” Gesù dodicenne nel tempio
Oltre alla narrazione sulla nascita di Gesù, San Luca ci ha conservato ancora un prezioso piccolo dettaglio della tradizione circa l’infanzia – un dettaglio in cui traspare in modo singolare il mistero di Gesù.  Ci viene raccontato che ogni anno per la Pasqua in genitori di Gesù andavano in pellegrinaggio a Gerusalemme. La famiglia di Gesù era pia, osservava la Legge.
          Nelle descrizioni delle figure di Gesù a volte viene rivelato solo l’aspetto di contestazione, il procedere di Gesù contro una devozione falsa. Così Gesù appare come un liberale o un rivoluzionario. In effetti, nella sua missione  di Figlio, Gesù ha introdotto una nuova dimensione nel rapporto dell’uomo con Dio. Questo però non è un attacco alla pietà d’Israele. La libertà di Gesù non è la libertà del liberale. È la libertà del figlio e così è la libertà di colui che è veramente pio.  Come Figlio, Gesù porta una nuova libertà, ma non quella di colui che è senza legame, bensì la libertà  di Colui che è totalmente unito alla volontà del Padre e che aiuta gli uomini a raggiungere la libertà dell’unione interiore con Dio.
         Gesù non è venuto per abolire, ma per portare a compimento ( cfr. Mt. 5,17) Questa connessione proviene dall’essere Figlio , tra una novità radicale e una fedeltà altrettanto radicale, appare proprio anche nella breve narrazione di Gesù dodicenne; anzi direi che essa è il vero contenuto teologico a cui mira il racconto.
 Torniamo a genitori di Gesù. La Torà prescriveva che per le tre grandi feste – la Pasqua, la festa delle settimane e la festa delle Capanne – ogni Israelita dovesse presentarsi nel tempio ( cfr. Es 23,17; 34,23s; Dt 16,16s ). La questione se anche le donne fossero obbligate a questo pellegrinaggio era discussa tra le scuole di Shammai e di Hillel. Per i ragazzi l’obbligo vigeva a partire dal tredicesimo anno compiuto. Ma al contempo, valeva anche la prescrizione che essi dovevano abituarsi passo passo  ai comandamenti. A ciò poteva servire il pellegrinaggio già all’età di dodici anni: Il fatto che  Maria e Gesù abbiano partecipato al pellegrinaggio dimostra, dunque, ancora una volta la religiosità della famiglia di Gesù.
    Facciamo attenzione, in questo contesto, anche al senso più profondo del pellegrinaggio: andando tre volte all’anno verso il tempio. Israele rimane, per così dire, un popolo in pellegrinaggio, un popolo che è sempre in cammino verso il suo Dio e riceve la sua identità e la sua unità sempre di nuovo nell’incontro con Dio nell’unico tempio. La Santa Famiglia si inserisce in questa grande comunità in cammino verso il tempio e verso Dio.
          Nel viaggio di ritorno avviene una cosa inaspettata. Gesù non parte con gli altri, ma rimane a Gerusalemme. I suoi genitori si accorgono di questo soltanto alla fine del primo giorno di ritorno del pellegrinaggio. Per loro, evidentemente, era del tutto normale suppore che egli si trovasse da qualche parte nella grande comitiva. Luca usa per essa la parola synodia  – «comunità in cammino» – , il termine  tecnico della carovana: In base alla nostra immagine, forse troppo gretta, della Santa Famiglia, questo  fatto stupisce. Ci mostra, però, in modo molto bello, che nella  Santa Famiglia libertà e obbedienza erano ben conciliate l’una con l’altra.  Il dodicenne era lasciato libero di decidere se mettersi insieme con coetanei e amici e rimanere durante il cammino in loro compagnia. Alla sera, però, lo attendevano i genitori.
  Il fatto che Egli non fosse presente, non ha più niente a che fare con la libertà dei giovani, ma rimanda ad un altro livello, come si sarebbe reso evi­dente: rimanda alla missione particolare del Figlio. Per i genitori cominciarono con ciò giornate piene di angoscia e di preoccupazione. L’evangelista ci rac­conta che solo dopo tre giorni essi ritrovarono Gesù nel Tempio, dove stava seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava (cfr. Lc 2,46).
 I tre giorni sono spiegabili in modo molto concre­to: per una giornata Maria e Giuseppe erano andati verso nord, avevano impegnato un’altra giornata per il ritorno, e il terzo giorno finalmente trovarono Gsù.
Anche se i tre giorni quindi sono un’indicazione temporale molto realistica, bisogna tuttavia dar ra­gione a René Laurentin che qui percepisce un accen­no sommesso ai tre giorni tra Croce e Risurrezione. Sono giornate di sofferenza a causa dell’assenza di Gesù, giornate di un buio la cui gravità si sente nelle parole della Madre: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Cosi, dalla prima Pasqua di Gesù si stende un arco fino alla sua ultima Pasqua, quella della Croce.
La missione divina di Gesù rompe ogni misura umana e diventa per l’uomo sempre nuovamente un mistero oscuro. Per Maria, qualcosa della spada del dolore di cui aveva parlato Simeone ( cfr. Lc. 2,35) diventa percettibile in quell’ora. Più una persona si avvicina a Gesù, più viene coinvolta nel mistero della sua Passione.
La risposta di Gesù alla domanda della madre e im­pressionante: Ma come? Mi avete cercato? Non sapevate dove deve essere un figlio? Che cioè deve tro­varsi nella casa del Padre, «nelle cose del Padre» (Le 2,49)?  Gesù dice ai genitori: mi trovo proprio là dove è il  mio posto -presso il Padre, nella sua casa.
In questa risposta sono importanti soprattutto due cose. Maria aveva detto: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Gesù la corregge: io sono presso il Pa­dre. Non è Giuseppe mio padre, ma un Atro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù?
Con ciò e direttamente connessa la seconda cosa. Gesù parla di un «dovere» al quale Egli  si attiene. II Figlio, il bambino deve essere presso il padre. La pa­rola greca dei, che Luca qui usa, ritorna sempre nei Vangeli là dove viene presentata la disposizione della volontà di Dio, alla quale Gesù è sottomesso. Egli «deve» soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere, come dice ai discepoli dopo la professione di Pietro ( cfr. Mc. 8,31). Questo « deve » vale già anche in questo momento iniziale. Egli deve essere presso il  Padre, e cosi diventa chiaro che ciò che appare come disobbedienza o come libertà sconveniente nei con­fronti dei genitori, in realtà, è proprio espressione della sua obbedienza filiale. Egli è nel Tempio non come ribelle contro i genitori, bensì proprio come Colui che obbedisce, con la stessa obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione.
San Luca descrive la reazione di Maria e Giuseppe alla parola di Gesù con due affermazioni: «Essi non compresero ciò che aveva detto loro», e «Sua ma­dre custodiva tutte queste parole nel suo cuore» (Lc 2,50.51). La parola di Gesù è troppo grande per il momento. Anche la fede di Maria è una fede «in cam­mino», una fede che ripetutamente si trova nel buio e, attraversando il buio, deve maturare. Maria non comprende la parola di Gesù, ma la custodisce nel suo cuore e lì la fa arrivare pian piano alla maturità.
Sempre di nuovo le parole di Gesù sono più grandi della nostra ragione. Sempre di nuovo superano la nostra intelligenza. La tentazione di ridurle, di manipolarle per farle entrare nella nostra misura, è comprensibile. Fa parte dell’esegesi giusta proprio l’umiltà di rispettare questa grandezza che, con le sue esigenze, spesso ci supera, e di non ridurre le parole di Gesù con la domanda circa ciò di cui possiamo «crederlo capace». Egli ci ritiene capaci di grandi cose. Credere significa sottomettersi a questa grandezza e crescere passo passo verso di essa.
In questo, Maria viene presentata da Luca mol­to consapevolmente come colei che crede in modo esemplare: «Beata colei che ha creduto», le aveva det­to Elisabetta (Lc 1,45). Con l’annotazione, ripetuta due volte nel racconto dell’infanzia, secondo cui Ma­ria custodiva le parole nel suo cuore (cfr. Lc 2,19.51), Luca rimanda – come s’è detto – alla fonte, alla quale egli attinge per la sua narrazione. Al tempo stesso Maria appare non soltanto come la grande credente, ma come l’immagine della Chiesa, che custodisce la Parola nel suo cuore e la trasmette.
«Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso […] E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51s). Dopo il momento in cui aveva sfolgorato l’obbedien­za più grande nella quale viveva Gesù, Egli ritorna alla situazione normale della sua famiglia – nell’umil­tà della vita semplice e nell’obbedienza verso i suoi genitori terreni.
All’affermazione circa la crescita di Gesù in sa­pienza ed età, Luca aggiunge la formula tratta dal Primo Libro di Samuele, che la si riferisce appunto al giovane Samuele,( cfr. 2,26 ): cresceva in grazia ( benevolenza, gradimento ) davanti a Dio e agli uomini.
Con ciò, l’evangelista si rifà ancora una volta al colle­gamento tra la storia di Samuele e la storia dell’infan­zia di Gesù, collegamento apparso per la prima volta nel Magnificat, il canto di lode di Maria in occasione dell’incontro con Elisabetta. Questo inno di gioia e di lode di quel Dio che ama i piccoli e una nuova versio­ne della preghiera di gratitudine con la quale Anna, la madre di Samuele, che era senza figli, ringrazia per il dono del bambino con cui il Signore aveva posto fine alla sua sofferenza. Nella storia di Gesù -cosi ci dice l’evangelista con la sua citazione – la storia di Samue­le si ripete ad un livello più alto e in modo definitivo.
 E importante anche ciò che Luca dice sulla crescita di Gesù non solo in età, ma anche in sapienza. Da una parte, nella risposta del dodicenne si e reso evidente che Egli conosce il Padre – Dio – dal di dentro. Egli solo conosce Dio, non soltanto attraverso persone umane che lo testimoniano, ma Egli lo riconosce in se stesso. Come Figlio, Egli sta a tu per tu con il Pa­dre. Vive alla sua presenza. Lo vede. Giovanni dice che Egli è 1’Unico che «è nel seno del Padre» e perciò può rivelarlo (Gv 1,18). E proprio ciò che diventa evidente nella risposta del dodicenne: Egli è presso il Padre, vede le cose e gli uomini nella sua luce.
Tuttavia e anche vero che la sua sapienza cresce. In quanto uomo, Egli non vive in un’astratta onniscienza  ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere. Cosi appare qui, in modo molto chiaro, che Egli ha pensato ed imparato in maniera umana.
Diventa realmente chiaro che Egli è vero uomo e vero Dio, come s’esprime la fede della Chiesa. Il profondo intreccio tra l’una e l’altra dimensione, in ultima analisi, non lo possiamo definire. Rimane un mistero e, tuttavia, appare in modo molto concreto nella breve narrazione sul dodicenne – una narra­zione che cosi apre al tempo stesso la porta verso il tutto della sua figura, che poi ci viene raccontato dai Vangeli.
 
 
 

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