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OMELIA S. MESSA DEL CRISMA Basilica Cattedrale, Giovedì Santo 2013

CrismaQuesta suggestiva celebrazione che al mattino del Giovedì Santo vede raccolti attorno all’altare i presbiteri con il loro vescovo, in un certo senso, costituisce una “introduzione” al sacro triduo pasquale.
In essa vengono benedetti gli olii e il crisma che serviranno per l’unzione dei catecumeni, per il conforto dei malati e per il conferimento della cresima e dell’ordine sacro.
Gli olii e il crisma, intimamente collegati con il mistero pasquale, contribuiscono efficacemente al rinnovamento della vita della Chiesa attraverso i sacramenti.
Lo Spirito Santo, mediante questi segni sacramentali, non cessa di santificare il popolo cristiano.
Saluto tutti affettuosamente e vi ringrazio perchè ci siete con tutto l’impegno e l’entusiasmo che necessita per proseguire il cammino della storia e della Chiesa.
Con sincera gratitudine saluto soprattutto voi carissimi sacerdoti e diaconi che assieme al Vescovo portate il peso e la responsabilità del ministero.
Questo fraterno saluto raggiunga anche i sacerdoti anziani rammaricati perchè impediti per la loro condizione fisica a poter vivere con noi questo momento di comunione sacerdotale. Con grande commozione sono stato raggiunto telefonicamente da Mons. Musciotto il quale si scusava di non potere essere presente questa mattina a causa della sua infermità e intrattenendomi con i suoi ricordi legati a tutti gli incontri sacerdotali soprattutto all’appuntamento del giovedì santo, mi ha anche incaricato di porgervi il suo saluto e chiede a me e a voi una preghiera e una benedizione.
Non vi nascondo i sentimenti di tenerezza che la semplicità di mons. Musciotto ha suscitato in me.
Assieme a lui vogliamo ricordare gli altri fratelli anche loro impediti a motivo della loro salute: penso a don Rosolino La Mendola, a mons. Giovanni Di Giorgi, a Padre Domenico Castiglia, a mons. Giuseppe Scelsi, Don Nicola Cinquegrani, don Calogero Farinella, don Stefano Neglia, Mons. Raffaele Anselmo.
Un augurio particolare a quanti in quest’anno celebrano il loro anniversario giubilare: Don  Salvatore Di Marco e don Pietro Quattrocchi nel 50° anniversario e Mons. Gioacchino Duca nel 60°.
 Il Giovedì santo ci accomuna in un’unica realtà sacramentale in quanto ci ricorda il natale del nostro sacerdozio e ci riporta al giorno della nostra ordinazione sacerdotale.
Non possiamo nasconderci l’immensa gioia suscitata dalla fantasia dello Spirito Santo che ci ha regalato Papa Francesco.
Papa Francesco viene da una comunità povera ma percepiamo che sarà per tutta la Chiesa una vera ricchezza.
La pagina evangelica proclamata poc’anzi ci introduce nella sinagoga di Nazareth, dove Gesù aperto il rotolo di Isaia comincia a leggere: “Lo Spirito del Signore e su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18)
Gesù commenta le parole del profeta Isaia e afferma di essere lui l’unto del Signore, colui che il Padre ha mandato per annunziare ai poveri il lieto annunzio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista.
Noi sacerdoti con l’ordinazione presbiterale siamo stati chiamati a condividere la stessa missione di Cristo, ecco perchè siamo stati “unti” nel giorno della nostra ordinazione sacerdotale.
Come il Padre ha mandato il Figlio unto di Spirito santo, così il Figlio ha mandato i suoi dopo averli unti. La stessa unzione, dunque, per continuare nel mondo la sua presenza, la sua missione.
Gesù manda i suoi discepoli per continuare nel mondo la sua missione non un’altra missione, manda i suoi discepoli non per essere semplicemente segno della sua presenza ma per essere nel mondo la sua presenza.
Gesù applica a sé l’oracolo del profeta concludendo: “Oggi si è compiuta questa scrittura”.
Ogni qualvolta l’assemblea liturgica si raccoglie per celebrare l’Eucarestia si attualizza questo “oggi”. Si rende presente ed efficace il mistero di Cristo unico e sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza.
In questa luce, comprendiamo meglio quale valore abbia il nostro ministero sacerdotale.
Con l’animo colmo di gratitudine rinnoveremo tra poco le promesse sacerdotali. Questo rito ci riporta con la mente e il cuore al giorno indimenticabile in cui il Vescovo mediante l’imposizione delle mani e la preghiera ci ha introdotti nel sacerdozio di Cristo e noi abbiamo assunto l’impegno di unirci intimamente a lui, modello del nostro sacerdozio, e di essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio, lasciandoci guidare non da umani interessi ma solo dall’amore per Dio e per il prossimo.
Ci chiediamo: siamo rimasti sempre fedeli a queste promesse? O dobbiamo riconoscere che in qualche momento si è affievolito l’entusiasmo spirituale di quel giorno in cui certamente con cuore sincero ci siamo impegnati per la vita?
Benedetto XVI salutando i Cardinali il 28 febbraio scorso aveva già manifestato al suo successore la sua incondizionata riverenza e obbedienza. Nell’incontro storico a Castel Gandolfo avrà avuto modo di rinnovare di persona questa promessa.
Chi crede nell’obbedienza la pratica senza tergiversare e senza arzigogolare con elucubrazioni mentali che conduco semplicemente a giustificare le proprie posizioni per fare quello che pare e piace.
Quanto esempio, anche in questo, ci ha dato Papa Benedetto che nel “servizio della preghiera” a cui si è votato sancisce la sua grande fede e, pur nella sua figura esile e fragile, rivela lo spessore e la statura dell’uomo di Dio.
Il forte rinnovamento che ci aspettiamo da Papa Francesco non potrà consistere in un colpo di bacchetta magica che come per miracolo risolva tutti i problemi che noi conosciamo.
Il rinnovamento avverrà solo se noi saremo docili all’azione santificatrice dello Spirito Santo che in questo momento soffia attraverso   l’ opera di Papa Francesco.
Il rinnovamento avverrà se torneremo ad essere più umili, più poveri, più casti come il poverello d’Assisi
e come la radicalità del Vangelo esige.
Il rinnovamento avverrà se tutto quello che ci è dato di cogliere in questo tempo di grazia non si riduce solo a un fatto mediatico che può pure commuoverci e stupirci ma non convertirci.
Il cambiamento avverrà se ci lasceremo toccare il cuore e saremo capaci di tornare al senso più genuino del nostro essere discepoli del Signore.
Simone di Cirene, passato alla storia come il Cireneo, è stato costretto a incarnare il ruolo del discepolo del Signore perchè obbligato a portare la croce di Gesù.
Povero Simone! Tornava a casa dalla campagna e lo caricarono della croce perchè la portasse dietro a Gesù (cfr. Lc 23,26).
Simone è stato costretto a portare la croce e in qualche modo la storia l’ha premiato.
Noi, invece, siamo stati invitati a prendere la croce: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (cfr. Mc 8,34). Ogni giorno… non di tanto in tanto… ogni giorno…
Invitati, dunque, non costretti. Invitati e liberamente abbiamo accettato di abbracciare la croce.
Quanto mi ha fatto riflettere l’omelia di Papa Francesco tenuta ai Cardinali nella Capella Sistina l’indomani della sua elezione. “Quando camminiamo senza croce, quando edifichiamo senza la croce, quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani… si! Possiamo essere vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore.
La strada che Papa Francesco sembra aver deciso di percorrere con sempre maggiore forza è quella della “purificazione”, una strada fatta propria anche da Benedetto XVI.
Non possiamo non imbroccare anche noi la stessa strada.
Non possiamo consentire che il Santo Padre resti solo a percorrere questa strada segnata certamente dalla volontà di Dio.
Chi sa leggere le pagine di storia attuale e quotidiana che stiamo vivendo può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento che attraverso forme inattese e gesti pieni di vita e di significato rende tangibile la vivacità di una Chiesa mossa dalla presenza e dall’azione efficace dello Spirito Santo.
Per una nuova fecondità occorrerà convincersi che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento.
Occorrerà convincerci perchè la Chiesa vada avanti che solo un’autentica conformazione a Cristo ci libererà da una certa “mondanità spirituale” che ha offuscato l’immagine della Chiesa.
Questa espressione “mondanità spirituale” ce l’ha regalata Papa Francesco per metterci in guardia da uno stile che non è consono al nostro essere discepoli.
“Mondanità” è tutto ciò che di frivolo ci offre il mondo e noi siamo in questo mondo ma non siamo di questo mondo.
“Non conformatevi alla mentalità di questo mondo” (cfr. Rm 12, 1) ci esorta l’Apostolo Paolo.
Alla domanda su quale fosse la cosa peggiore che può accadere alla Chiesa l’allora Cardinale Bergoglio in una intervista rilasciata nel 2007 per la rivista “30 giorni” così rispondeva: “Il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa è quello che Henri De Lubac, teologo Gesuita e poi Cardinale, chiama mondanità spirituale. È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi che siano nella Chiesa; è peggiore, più disastrosa della lebbra”.
La mondanità spirituale è mettere al centro se stessi, è “il vivere per darsi gloria gli uni con gli altri”.
“Semplificando – spiega Bergoglio – ci sono due immagini di Chiesa. Da una parte la Chiesa evangelizzatrice che esce da sé, dall’altra la “Chiesa mondana  che vive in sé, da sé, per sé”.
Siamo chiamati a uscire dal recinto dell’orto delle proprie convinzioni considerate spesso inamovibili.
Perchè non riusciamo più a interessare il mondo con le nostre parole? Ma proprio perchè sono parole nostre!
Il mondo non è interessato alle nostre teorie e opinioni private ma è ancora interessato e sa ancora stupirsi di fronte alla autenticità e alla semplicità dell’annuncio della Parola di Dio.
È quello che è avvenuto con l’elezione di Papa Francesco.
A Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, affidiamo la nostra vita di consacrati, perchè nella fedeltà al Figlio suo Gesù, possiamo con gioia proseguire il nostro cammino nella Chiesa e per la Chiesa.
A lui, sommo ed eterno sacerdote, gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen (Ap 1,6).

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