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S.S. Trinità: mistero di comunione, di un Dio che ama l’uomo al punto di volerlo introdurre nella sua stessa vita.

La verità “pesante”, nella quale lo Spirito Santo deve introdurre i discepoli, è la croce.
Essa è davvero uno scandalo per chi cerca un Dio potente, che risolva i problemi dell’uomo; se non lo fa, a che serve?
Eppure, la festa di oggi ci dice che è proprio la croce a rivelare la natura intima di Dio: essa, infatti, ci mostra l’indicibile dedizione reciproca di Dio e di Gesù, “obbediente sino alla morte e alla morte di croce”, dice la Lettera ai Filippesi; nello stesso tempo, Dio è supremamente coinvolto in quell’atto di dono, poiché, dice Giovanni, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”.
Nell’amore ci sono l’amante e l’amato, e chi ama desidera l’altro proprio come altro, vive l’alterità come dono, non come limite, non come distruzione dell’unità, ma come  generazione dell’unità.
Concretamente, quando Dio si rivolge al mondo, ribelle e peccatore, il suo dono non può prendere altra forma che quella della croce; altrimenti, egli non potrebbe raggiungere l’ultimo degli uomini nell’abisso del suo peccato. Tuttavia, il dono del Figlio non può restare lo spettacolo che l’uomo contempla dall’esterno: ciò che si è compiuto a Gerusalemme e che viene celebrato nella liturgia è l’offerta alla creatura di lasciarsi introdurre nella relazione del Padre e del Figlio. Ma questo può avvenire solo grazie allo Spirito Santo, Dio in noi, che costruisce la nostra risposta, ci “guida a tutta la verità”: nel linguaggio giovanneo, la “verità” è la realtà intima di Dio che si comunica all’uomo).
 La Trinità è dunque un mistero di comunione, di un Dio che ama l’uomo al punto di volerlo introdurre nella sua stessa vita.      Ma a coloro ai quali interessa solo la potenza di Dio, la Trinità non dice nulla.
Gli imperatori dopo Costantino la negavano, perché dall’uguaglianza delle Persone divine sarebbe derivata l’uguaglianza delle persone umane, distruggendo il principio gerarchico, necessario per l’ordine del mondo.
L’Islam la nega, proprio perché nega nello stesso tempo la morte in croce di Gesù: Dio non può abbassarsi veramente al livello dell’uomo (la morte ne è la condizione), perché, in ultima analisi, al Dio dell’Islam l’uomo non interessa veramente; Egli è benigno verso la sua creatura, le dona i principi del ben vivere e l’indicazione per ottenere la felicità dopo la morte, ma non può accettare che l’uomo entri veramente nella vita divina.
Tuttavia, anche in ambiente cristiano, la Trinità imbarazza coloro che riducono la fede all’etica e la salvezza a una felicità non meglio definita, che meritiamo con le buone opere.
Infatti, la Trinità rivela che Dio non è il legislatore e il giudice, ma che egli è l’origine: nulla potremmo se egli non ci amasse per primo; e nello stesso tempo egli è il compimento, poiché la “salvezza” altro non è che la comunione, la gioia dell’incontro e dell’inclusione nell’amore divino: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).
 La Trinità postula una forma di Chiesa accogliente e fraterna, meno custode della moralità e dell’ordine e più compagna di strada dell’uomo, ministra di speranza, capace di porgere consolazione.
 La storia del Buon Samaritano dimostra che non ci si può prender cura l’uomo ferito se non si scende da cavallo.
Don Giuseppe Dossetti jr

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