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II Domenica del T.O. – Seguendo si fa cammino dietro a Gesù e si arriva dove lui sta; e dove lui dimora, il chiamato, diventato discepolo, può dimorare, restare, abitare, sentirsi a casa.

santìAndrea e Tommaso mNel libro dell’Esodo, nel capitolo 12, si descrive la Pasqua, la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana.   In questo capitolo Dio comanda, attraverso Mosè, a ogni famiglia israelita, di prendere un agnello ucciderlo e mangiarlo.  Perché?
 La carne dell’agnello avrebbe trasmesso l’energia per iniziare questo cammino di liberazione verso la terra della libertà e il sangue li avrebbe preservati dal passaggio dell’angelo sterminatore che avrebbe seminato la morte.
L’evangelista Giovanni tiene molto presenti queste linee teologiche per presentare la figura di Gesù.
Leggiamo.
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli, e, fissando lo sguardo
 Il verbo “fissare” nel vangelo di Giovanni appare soltanto due volte e unicamente in questo episodio.  Fissare significa svelare la realtà più profonda di un individuo.
Qui Giovanni Battista fissa, cioè svela la realtà più profonda di Gesù, e poi alla fine del brano sarà Gesù che fisserà Simone, svelandone la realtà più profonda.
 Fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: “Ecco l’agnello di Dio”, ecco l’agnello che Dio ha mandato al suo popolo.
La carne di Gesù darà la capacità, la forza e l’energia per iniziare questo cammino di pienezza verso la liberazione. E il sangue non libererà dalla morte fisica, ma libererà dalla morte per sempre.
Il sangue dell’agnello trasmetterà all’uomo la stessa vita divina. Per questo gli conferirà una vita che è chiamata “eterna” non tanto per la durata (per sempre), quanto per la qualità indistruttibile.
Ebbene, i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, lo seguirono.
Quindi inizia questo processo di liberazione.
Gesù è indicato come l’agnello e ci sono già i primi discepoli che lasciano Giovanni Battista e seguono Gesù perché dentro di sé sentono questo bisogno di pienezza di vita, di liberazione. ( A. Maggi )
 «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Sono le prime parole che l’evangelista Giovanni pone sulle labbra del Gesù storico; sono le stesse che il mattino di Pasqua rivolgerà a Maria Maddalena: «Donna, chi cerchi?» (Gv 21,15).
Nell’intimo di noi stessi siamo alla ricerca di luce, di significato, di una pienezza che non può venirci dalle cose, dal denaro o dal possesso: è solo un Altro che può soddisfare questa domanda di vita. Dove incontrarlo? 
È significativo che, nell’introdurre la vocazione di Samuele, la prima lettura fa capire che Dio non ha una voce facilmente riconoscibile: il ragazzo la confonde con quella del sacerdote Eli. Sarà quest’ultimo ad aiutare Samuele a porsi in ascolto e, quindi, a lasciarsi trasformare da quella Parola.
La stessa cosa farà nel Vangelo il Battista con il suo orientare Giovanni e Andrea a Gesù, che li coinvolge in un cammino di condivisione: «Venite e vedrete» (Gv 1,39).
E i due non potranno più dimenticare la forza di quell’incontro, al punto che Giovanni ne annota persino l’ora: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39).
Il Signore entra nella storia delle persone, si inserisce nel tempo del loro orologio, provoca un incontro personale senza il quale non esiste vita credente.
Puoi infatti passare la vita sui libri, ma se manchi l’appuntamento con le quattro del pomeriggio, hai perso tempo; puoi studiare per anni in Seminario ed essere ordinato prete, ma solo quando dimori in Lui diventi veramente tale. Altrimenti, si resta dei burocrati, dei faccendieri del sacro, ripiegati su di sé e perciò incapaci di educare altri alla fede.
Il cammino incontro al Signore ha bisogno anche oggi di testimoni che – senza la pretesa di sostituirsi al Protagonista – aiutano a uscir fuori dall’utero protettivo della passività, dell’abitudine, di una religiosità scontata; educatori che portano a interrogarsi e a interrogare, fino a maturare la decisione personale di consegnarsi a Lui, avvertendo che con questo non hanno più ragione per dubitare della risposta. Il loro cuore è finalmente a casa.  (N. Galantino)
 Chi si mette sulle tracce di Gesù … deve cercare di conoscere il proprio cuore, di leggerlo e scrutarlo, in modo da essere consapevole di ciò che desidera e cerca. Pensiamoci, ma solo quando accogliamo o ci facciamo domande contraddiciamo la chiusura che ci stringe, e ci apriamo. L’emergere e il suono di una domanda vera sono come la grazia che viene e apre, anzi a volte scardina…
 Ma la ricerca, quando è assunta e consapevole, chiede di muoverci, di fare un movimento, di andare, cioè di seguire chi ha suscitato la domanda: “Venite e vedrete”, come Gesù risponde alla contro-domanda dei due: “Rabbi, dove dimori (verbo ménein)?”.
Seguendo si fa cammino dietro a Gesù e si arriva dove lui sta, dimora.
E dove lui dimora, il chiamato, diventato discepolo, può dimorare, restare, abitare, sentirsi a casa.
Ecco la dinamica del nostro incontro con il Signore: cercare, seguire, dimorare.
Queste sono anche le attitudini essenziali per conoscere e vivere l’amore.
L’amore è cercato dal desiderio, deve essere seguito su cammini a volte faticosi e pieni di contraddizioni, ma, se lo si segue, alla fine lo si conosce e in esso si resta, si dimora. Il vero amore è un abitare nell’amore dato e ricevuto.
Quel giorno in cui i primi discepoli hanno cercato Gesù, lo hanno seguito e sono restati presso di lui, è stato decisivo per tutta la loro vita, che da quel momento in poi non è stata altro che un cercare Gesù, un seguirlo e un cercare di vivere con lui, perseveranti con lui: è la vita cristiana! Davanti al discepolo c’è sempre e solo un Agnello, un Servo, in ogni caso una creatura mite, inoffensiva, che “porta” (cf. Gv 1,29) i pesi degli altri e non li mette sulle spalle degli altri; c’è qualcuno che dà la propria vita, spende la propria vita e la offre in sacrificio. ( E. Bianchi )

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