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VI Domenica del T.O. – Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli esclusi perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi, perché sappiano che il futuro è in mano loro.

lebbrosiNon si può consentire la promiscuità tra chi è fuori e chi è dentro.
Il lebbroso evoca tipi ancestrali della nostra memoria collettiva: è il malato peccatore. Che fosse anche un peccatore, secondo la visione pre-scientifica, appare chiaro nel Levitico, perché il lebbroso guarito doveva pagare, e cioè doveva compiere un atto pubblico di espiazione in quanto la lebbra da cui era stato affetto era sicuramente il risultato del peccato.
Si tratta di situazioni storicamente lontane da noi, che ci fa perfino effetto rievocare. L’immondo non era solo un escluso, ma doveva gridare lui stesso «sono immondo». L’esclusione lo toccava dentro, nella coscienza.
Questo contrasto tra l’accampamento e il lebbroso lo possiamo proiettare lungo i secoli. Esso fa luce si di un contrasto permanente, e in sé anche insuperabile.
La convivenza umana deve darsi infatti delle regole volte alla propria difesa, a garantire alcuni principi di stabilità, di ordine interno.
 Il che implica esclusione.
 E siccome la nostra società vuole ispirarsi ai grandi principi dell’uguaglianza e della emancipazione, essa si trova a compiere una impossibile quadratura del cerchio.
Fa finta di voler inserire in sé l’escluso, ma non ci riesce, perché dovrebbe contestare se stessa nei propri principi costitutivi.
È la drammatica dialettica in cui siamo inseriti. […]
L’accampamento esclude coloro che lo minacciano nella sua integrità.
I drogati sono i lebbrosi del ventesimo secolo.
La società non ha altro luogo di esclusione che la prigione, che è fuori dell’accampamento, ma anche dentro l’accampamento.
 È dentro, ci sono le leggi; è fuori perché chi è dentro è un escluso, e sarebbe l’escluso ideale se arrivasse a dire: sono un immondo!.
Un escluso conserva la sua identità finché si sente un soggetto autonomo, capace di iniziative.
Quando si spegne questa identità e l’escluso si lascia integrare nella logica dell’accampamento, l’accampamento esulta. […]
Che si fa, infatti, per questi esclusi?
Ci si mette dinanzi a loro con le tavole della legge che abbiamo noi nell’accampamento, secondo le quali ognuno faccia quel che vuole?
Si può davvero sancire questo principio di libertà fino a rispettare anche il lento declino verso la morte di chi è ormai in preda di un meccanismo distruttivo?
Siamo in una contraddizione estrema.
Ne potrei citare tante altre, che accrescono la nostra inquietudine morale, in questi anni. L’inquietudine nasce dal desiderio di allargare i confini dell’accampamento perché ci sia posto anche per quelli che sono esclusi e dalla necessità di salvare in ogni caso le regole dell’accampamento perché la violenza distruttiva non sorga dall’interno; sarebbe la catastrofe.
Questa tribolazione morale, giuridica e politica è l’ultimo lembo della nostra dignità.
Se non avessimo questa tribolazione, saremmo finiti del tutto, anche noi.
 Riprendendo ora il discorso nei suoi termini più universali, si noti la collocazione che ha Gesù in questa dialettica.
Gesù è davvero un escluso, un immondo.
Ha preso su di sé il «corpus peccati».
È un immondo perché sta con gli immondi.
Pensate alla sapienza – mi permetto di dir così, con una punta di cinismo – delle disposizioni del Levitico.
Essa consiste nel mirare a fare dell’escluso non un riottoso, non un ribelle, un randagio che fuori dei confini dell’accampamento tenta di minacciare la pace dell’accampamento, ma uno che accetta la propria esclusione fino a proclamarla, fino a mettere in guardia gli altri da se stesso.
Se volessi definire con una parola sola la missione di Gesù potrei dire: Gesù è andato fra gli immondi per insegnare loro a smettere di dirsi immondi, a guardare l’accampamento e scoprire che l’accampamento è immondo.
Questa è la rivoluzione, il capovolgimento.
 Se prendete le beatitudini vedete che sono fatte di immondi.
 I beati sono gli immondi.
 I poveri, i perseguitati per la giustizia, gli afflitti… sono degli immondi, sono esclusi dall’accampamento, con diverse gradazioni.
Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli esclusi perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi, perché sappiano che il futuro è in mano loro.
Guai invece a quelli dell’accampamento: guai agli Scribi, ai Farisei, agli anziani, ai ricchi… guai ai dirigenti dell’accampamento.
Questa è la singolarità di Gesù.
 Egli fu trattato come un immondo.
Le imputazioni a suo riguardo erano proprio queste: stava con i peccatori, aveva detto che le meretrici e i pubblicani avrebbero giudicati gli altri nel giorno del giudizio, aveva profetizzato il crollo del pilastro della struttura portante dell’accampamento, cioè del tempio: «non rimarrà pietra su pietra».
Era veramente un immondo agli occhi dell’accampamento.
Così dobbiamo ricostruirci, in sintesi, il dramma che Gesù ha rappresentato per la sua città, la quale ha fatto di tutto per inserirlo nei propri quadri, per farne un profeta accomodante.
Ma Gesù non ha accettato.
Egli non è mai andato nel Pretorio e nel Sinedrio come ospite gradito, ha rappresentato la minaccia per le due strutture, quella del potere politico e quella del potere ideologico. Perciò è stato crocifisso come un immondo. «Come un delinquente voi lo avete appeso ad un legno» dice Pietro, nel primo discorso dopo la Pentecoste.
L’identità storica di Gesù è questa, ed è una identità che permane, che non ci permette di bloccarlo in una arcaica identità, come purtroppo si fa.
Qual è la lettura che per lo più si faceva di questa brano del lebbroso?
 Cosa è la lebbra?
 È il peccato!
Cosa fa Gesù?
Ci libera dal peccato!
C’è anche una aggiunta: va’ dal sacerdote, va’ a confessarti e ritorna nella Chiesa!
Questa era la spiegazione comoda che nell’accampamento si è fatta. Naturalmente non sempre e non da tutti: sono parole, queste, che non si soffocano.
Capisco anche – mi permetto di dirlo – come la Chiesa cattolica per secoli abbia anche proibito di leggere la Scrittura in volgare. La gente che si accosta a queste cose prima o poi capisce.
E se gli immondi capiscono, che succede?
 È successo che gli immondi hanno capito. (Ernesto Balducci “Il Vangelo della pace” vol. 2 anno B)
 

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