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XII Domenica del T. O. – …Anche se magari crediamo di avere una fede matura, di essere cristiani adulti, nella prova interroghiamo Dio sulla sua presenza, arriviamo anche a contestarlo e talvolta a dubitare della sua capacità di essere un Salvatore.

Tempesta sedNon finiremo mai di domandarci (e tutte le risposte saranno amare!) perché proprio i credenti, in tutta la storia, si siano distinti per la paura.
È davvero un segno del mistero del male!
La nostra vita di credenti organizzati è stata sempre contrassegnata da ricerche di garanzie diverse dall’unica garanzia che è la potenza messianica del Cristo.
Se davvero sul panorama delle istituzioni terrene ce ne fosse una che, a differenza delle altre, non conta sul bilancio economico, non conta sulle alleanze politiche, non conta sul prestigio culturale, non conta sulla distribuzione dei poteri, ma conta solo sulla parola del Cristo, allora solo per questo si romperebbe il panorama impenetrabile della realtà di questo mondo, si aprirebbe uno spiraglio verso le cose nuove, verso un mondo che non è come questo.  ( E. Balducci)
 [Nel brano del vangelo di oggi]  I discepoli, in preda all’angoscia, al vedere Gesù addormentato si spazientiscono. Decidono dunque di svegliarlo e, con modi non certo reverenziali, gridano: “Maestro, non t’importa nulla che siamo perduti?”.  ( E. Bianchi )
 «Ma che fa il Maestro? Dorme?». Quante volte anche nel nostro cuore è sorta questa domanda, rivolta a Dio? Forse, ogni volta che, “nella notte” della vita, è scoppiata una tempesta tumultuosa e abbiamo intravisto la rovina. Che fa Dio? Perché non interviene, perché non mi salva? Perché continua a dormire tranquillo mentre la “barca” affonda? Ma egli seguita a tacere. Non reagisce come io mi aspetterei, non segue i miei schemi e i miei tempi. «Chi è dunque costui…?», «Chi è il Dio nel quale credo?», «Chi è Gesù per me?». Forme diverse per un’unica domanda radicale, cui ogni credente deve dare risposta.
La vicenda dei discepoli narrata nel brano evangelico odierno ci aiuta a trovare la risposta a questa domanda. Ma non una risposta teorica, bensì una risposta inserita in una storia concreta e carica di difficoltà. Non solo. È una storia che prende inizio da un invito di Gesù: «Passiamo all’altra riva».
Non un mero invito a “spostarsi” geograficamente, ma l’esortazione a un “movimento” interiore più profondo. «Passiamo all’altra riva», cioè : usciamo dalle nostre sicurezze (religiose, personali, culturali, ecc.), apriamoci ad altre realtà, portiamo la nostra esperienza agli altri, avviamoci verso soluzioni nuove. E dinanzi a questo invito, i discepoli accettano, si mettono in cammino!
Ma quante difficoltà!
Marco le elenca tutte, con il simbolismo tipico del Vangelo: era sera; e poi, il vento… il mare, immagine del caos abitato da forze ostili… la barca che si riempie d’acqua. Ma soprattutto la più grossa e inaspettata: Gesù dorme, la sua presenza appare quasi inutile! E questo autorizza i discepoli a lamentarsi con lui: «Non ti importa che moriamo?». Un lamento così simile ai nostri, quando ci ribelliamo di fronte al “silenzio” di Dio… (Monsignor Nunzio Galantino)
 Sì, la poca fede fa gridare ai credenti: “Dio dove sei? Perché dormi? Perché non intervieni?” (cf. Sal 35,23; 44,24; 59,6, ecc.). Dobbiamo confessarlo: anche se magari crediamo di avere una fede matura, di essere cristiani adulti, nella prova interroghiamo Dio sulla sua presenza, arriviamo anche a contestarlo e talvolta a dubitare della sua capacità di essere un Salvatore.
  La sofferenza, l’angoscia, la paura, la minaccia recata alla nostra esistenza personale o comunitaria ci rendono simili ai discepoli sulla barca della tempesta. Per questo Gesù li deve rimproverare con parole dure. Non solo chiede loro: “Perché siete cosi paurosi?”, ma aggiunge anche: “Non avete ancora la fede?”. Discepoli senza fede, senza adesione a Gesù: lo seguono, lo ascoltano, ma non mettono in lui piena fiducia…
Ed ecco che di fronte a queste parole così critiche di Gesù, ma anche di fronte al prodigio che hanno visto con i loro occhi, affiora nei discepoli una domanda: “Chi è veramente questo rabbi, questo maestro, se anche il vento e il mare gli sono sottomessi?”. Eppure anche da questo evento non sapranno trarre una lezione, perché, quando giungerà per Gesù e per loro la grande tempesta, l’ora della sua passione e morte, verranno meno a causa della loro mancanza di fede. Di fatto, questa prova della tempesta sul mare è annuncio della grande prova che li attende a Gerusalemme; ma allora tutti lo abbandoneranno e fuggiranno (cf. Mc 14,50)…. Poi di fronte a Gesù morto e sepolto, verificheranno un grande fallimento del maestro e del loro gruppo. E solo la tomba vuota e il contemplare Gesù vivente, risorto da morte, genereranno in loro una fede salda, che li porterà a confessare Gesù quale vincitore sul male e sulla morte. Allora, in quanto testimoni del Risorto, diventeranno anche capaci di affrontare, a loro volta, la tempesta che si abbatterà su di loro: la persecuzione a causa del nome di Gesù e della fede in lui.
Quando Marco scriveva il suo vangelo e lo consegnava alla chiesa di Roma, la piccola comunità cristiana nella capitale dell’impero era nella tempesta e regnava in essa una grande paura, tale da impedire a quei cristiani la missione presso i pagani. Così Marco li invita a non temere l’“uscita” missionaria, li invita a conoscere le prove che li attendono come necessarie (cf. Mc 10,30); prove e persecuzioni nelle quali Gesù, il Vivente, non dorme, ma è in mezzo a loro.
La tempesta sul mare di Galilea è una metafora della lotta contro le potenze del male, lotta che Gesù Cristo ha vinto. Gesù appare dunque come Giona, ma un Giona al contrario: non riluttante, ma missionario verso i pagani, in obbedienza a Dio. In ogni caso, Giona e Gesù sono due missionari di misericordia, ed entrambi la predicano a caro prezzo: scendendo nel vortice delle acque e affrontando la tempesta (cf. Gn 2,1-11), perché solo attraversandola si vince il male. Ecco perché Gesù dirà che alla sua generazione sarà dato solo il segno di Giona (cf. Mt 12,39-41; 16,4; Lc 11,29-32), ossia la parabola della misericordia annunciata a prezzo della discesa nelle acque di morte, a prezzo dell’andare a fondo.
Quanto è cristiana la frase: “Naufragium feci, bene navigavi”! “Ho fatto naufragio, ma ho navigato bene”, perché sono approdato nel regno di Dio. ( E. Bianchi )
 
 
 

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