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XXXII Domenica del T.O. – Non è questa vita a fare da riferimento all’eternità, ma è l’eternità a illuminare e dare speranza alla vita terrena di ciascuno di noi!

sadduceiIn queste ultime domeniche dell’anno liturgico la Parola di Dio, invitandoci a fermare la nostra attenzione sulle verità ultime (i Novissimi) dell’esistenza umana, ci ripropone il nostro essere destinati alla vita eterna, come orizzonte di pienezza definitiva della nostra storia .  Ed è la VITA ETERNA che noi siamo chiamati a preparare attraverso scelte evangeliche,  come proclamiamo nel CREDO “«Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». ( N. Galantino )
La vita eterna è essa stessa un atto di creazione. Come quando le cose non erano, il fiato di Dio le fece sorgere dal grembo del nulla, così quando noi non saremo, dal grembo del nulla Dio farà sorgere la vita.
La resurrezione è un atto creativo che si proietta nell’al di qua, attraverso un’anticipazione che noi chiamiamo profezia.
Vivere profeticamente la fede non vuol dire abolire le leggi dell’al di qua.  Ad esempio le leggi che regolano i matrimoni sono leggi giuste, le leggi che a livello psicologico e fisiologico regolano l’amore e la procreazione, sono leggi che hanno il loro spazio ed il loro tempo e non vanno manomesse con funeste immaginazioni dell’aldilà. Però, dentro la trama della nostra esistenza, nel tempo e nella carne, c’è un’anticipazione – questo è il mistero di fondo – di ciò che avverrà.
Ciò che avverrà non è così estraneo, eterogeneo alle profonde attese della nostra natura da non poter combaciare con qualcosa che è dentro di noi, perché il Dio della creazione è lo stesso Dio della resurrezione.
Le cose create sono già mosse verso l’evento ultimo anche se noi non possiamo stabilire finalismi continuativi, perché le decisioni di Dio creano fratture. Solo in Lui l’unità si ricompone.  ( Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol 3)
Questa prospettiva nuova e definitiva – come ci ricorda anche la prima lettura – esige scelte straordinariamente impegnative, come quelle fatte dalla famiglia dei Maccabei.   >>> La loro fede nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà – per altro proclamata in una situazione di estrema drammaticità – suggerisce loro gesti e parole pieni di coraggio… : «È preferibile – dicono con fermezza – morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati…». La fedeltà che contraddistingue i sette fratelli (e la loro madre) è una fedeltà costosa, non fatta di inchini e adulazioni, ma segnata da coerenza e limpidezza, senza ambiguità… ( N. Galantino )
 Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù alle prese con i sadducei, i quali negavano la risurrezione. Ed è proprio su questo tema che essi  rivolgono una domanda a Gesù, per metterlo in difficoltà e ridicolizzare la fede nella risurrezione dei morti.

Partono da un caso immaginario:  “Una donna ha avuto sette mariti, morti uno dopo l’altro”, e chiedono a Gesù: “Di chi sarà moglie quella donna dopo la sua morte?”.   (dalle  omelie di papa Francesco  Piazza San Pietro  Domenica, 10  novembre 2013; Lc 20,27.34-38 )
È buona cosa sapere che al tempo di Gesù era dominante una concezione materiale del Regno messianico e delle realtà a esso connesse, perciò si credeva che la resurrezione avrebbe permesso ai morti del passato di prendere parte al Regno per essere giudicati e ritrovare nella beatitudine una fecondità straordinaria.
 Affermava, per esempio, rabbi Gamaliele: “Verrà un tempo in cui la donna partorirà ogni giorno una volta”.
 La resurrezione era pensata come rianimazione del cadavere, ritorno alla vita corporea precedente: una concezione a dir poco enigmatica, che aprirebbe numerosi problemi…
Gesù invece risponde con autorevolezza, interpretando diversamente l’idea della resurrezione: egli rivela che questo mondo passa e che la novità del regno dei cieli non conterrà più la necessità inscritta nella vita biologica di uomini e donne. Per Gesù, tra questo mondo e il mondo che viene c’è un contrasto radicale, non perché questa terra e questo cielo debbano essere distrutti e tornare al nulla, ma nel senso che l’assetto e la necessitas inscritti in essi non saranno più presenti.
 Il mondo che viene è una realtà altra da quella che conosciamo: vi entreranno quanti, in base al giudizio universale da parte di Dio (cf. Mt 25,31-46), saranno ritenuti degni, i “benedetti dal Padre” (Mt 25,34).
 Il giudizio provocherà una crisi e una cernita: quelli che sulla terra hanno vissuto secondo la volontà di Dio – la conoscessero o meno –, prenderanno parte al Regno. Su quelli che invece hanno contraddetto questa volontà che è l’amore, nient’altro che l’amore verso gli altri, ovvero sui “maledetti” (Mt 25,41) , non c’è alcuna parola nel vangelo secondo Luca: su di loro un silenzio totale, come se non fossero degni di essere rialzati dal nulla della morte…
Ecco come Gesù alza il velo sulla realtà dell’altro mondo, nella quale vi sarà una ri-creazione inimmaginabile, una trasfigurazione radicale che possiamo solo intravedere pensando agli angeli, ai messaggeri di Dio, creature non mortali, non corruttibili. Gesù aggiunge inoltre che nel Regno cesserà ogni attività di prosecuzione della specie, dunque ogni attività sessuale, perché non si morirà più.
Confessiamo onestamente che su questa realtà che non conosciamo e che ci è annunciata in modo allusivo non sappiamo dire, non sappiamo immaginare. A noi dovrebbe bastare l’essere convinti che la realtà dopo la resurrezione della carne sarà comunione con Dio e con tutti gli umani e che in questa comunione nulla andrà perduto dell’amore che abbiamo vissuto, amando e accettando di essere amati. Questo ci dovrebbe bastare: un’eterna comunione d’amore, una condizione in cui non ci saranno più il pianto, il lutto, la separazione, il dolore, la morte (cf. Is 25,16; Ap 7,17; 21,4), perché saremo “figli di Dio”.
Quanto alle parole di Gesù: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito”, non possiamo dimenticare che per secoli sono state lette come un invito a vivere già qui il celibato per il Regno.  Né dimentichiamo che, proprio a partire da quest’affermazione, i monaci hanno parlato del proprio stato come della “vita angelica”.
Oggi invece leggiamo tali parole con un’ermeneutica diversa, non ritenendole più un fondamento alla condizione del celibato per il Regno. Sappiamo infatti che Gesù si serviva delle immagini della sua cultura, comprensibili al suo uditorio, per porre l’accento sull’annuncio della resurrezione della carne quale speranza per i suoi discepoli.
Ma a mio avviso il punto teologico e rivelativo culminante di questa discussione con i sadducei sta in un’affermazione di Gesù contenuta nel brano parallelo di Marco e di Matteo: “Voi vi ingannate, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio” (Mc 12,24; Mt 22,29), quella dýnamis che può operare, creare e ri-creare… Accusa terribile, rivolta a quei sacerdoti ai quali competeva dare al popolo la conoscenza di Dio (cf. Os 4,6)!
Ed ecco, nelle parole conclusive di Gesù, la correzione di questa non-conoscenza: Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe(Es 3,6).
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché in lui tutti vivono. L’alleanza tra Dio e il suo popolo, tra Dio e gli umani tutti, è tale che nulla e nessuno potrà romperla: non certo la morte, perché egli è fedele e nella morte si presenta a noi con le braccia aperte, in attesa di prenderci con sé come figli e figlie amati per sempre. ( E Bianchi )
La vita che Dio ci prepara non è un semplice abbellimento di  questa attuale: essa supera la nostra immaginazione, perché  Dio ci stupisce continuamente con il suo amore e con la sua misericordia.
Pertanto, ciò che accadrà è proprio il contrario  di quanto si aspettavano i sadducei. Non è questa vita a fare da riferimento all’eternità, all’altra vita, quella che ci aspetta,  ma è l’eternità – quella vita – a illuminare e dare speranza alla  vita terrena di ciascuno di noi (dalle  omelie di papa Francesco Piazza San Pietro  Domenica, 10  novembre 2013; Lc 20,27.34-38 )
“Chi non lavora alle cose penultime (terrene) come se fossero le ultime, non sarà allenato e pronto a vivere quelle ultime (eterne). (Dietrich Bonhoeffer)
Resurrezione è nascere di nuovo, dall’alto non dal ventre materno ma dallo spirito ( Marco Vannini )
 

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