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IV Domenica del T.O. – Mentre, sul Sinai, Mosè ha proclamato i comandamenti, che erano riservati al popolo d'Israele, su questo monte, che sostituisce il Sinai, Gesù, che è Dio, proclama la nuova alleanza, che è valida per tutta l'umanità.

Le beatitudini sono indubbiamente il capolavoro del vangelo di Matteo, un capolavoro non soltanto dal punto di vista teologico, vedremo la sua ricchezza spirituale, ma anche letterario.
Vediamo allora nel capitolo 5, nel vangelo di Matteo, questo testo straordinario.
 Scrive l’evangelista:  “vedendo le folle, Gesù salì sul monte”, vedendo le folle Gesù non si distanzia, non prende le distanze, ma le vuole attivare dove? Su “il” monte.
 Questo monte è preceduto dall’articolo determinativo, il monte, non è un monte qualunque, ma non si dice quale monte è.
Qual è il significato di questo?
Il monte, nella tradizione biblica, ebraica, indicava e il monte Sinai, dove Dio, attraverso Mosè, diede, stipulò l’alleanza con il suo popolo, ma anche la sfera, la condizione divina. Quindi Gesù, attraverso la proclamazione di queste beatitudini, vuole portare le folle, ogni persona, quindi è un invito valido per sempre, a raggiungere la condizione divina.
Si pose a sedere” , nell’atteggiamento del maestro,  “si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si  mise a parlare e insegnava loro dicendo” , e qui l’evangelista presenta le beatitudini.
È un lavoro minuzioso quello che ha fatto Matteo: ha calcolato non soltanto il numero delle beatitudini, ma persino con quante parole comporre queste beatitudini, secondo le tecniche letterarie dell’epoca.
Le beatitudini sono esattamente 8, perché il numero 8, nella tradizione spirituale, nel cristianesimo primitivo, indicava la risurrezione di Gesù, che è risuscitato il primo giorno dopo la settimana. Per questo i battisteri, luogo dove si riceveva battesimo, avevano sempre la forma ottagonale. Allora il numero 8 indica la vita che non viene interrotta dalla morte. L’evangelista vuole indicare che, con l’accoglienza di queste beatitudini, si ha dentro di sé una vita, che poi sarà capace di superare la morte.
 Ma non solo: l’evangelista calcola anche il numero di parole con le quali comporre le beatitudini, e sono esattamente 72, e l’evangelista proprio ha voluto creare questo numero perché,ad un certo momento, si vede che c’è una ripetizione di un qualcosa che non era necessario per il testo.
Perché 72? Perché, secondo il calcolo contenuto nel libro della Genesi, al capitolo decimo, nella versione greca, i popoli pagani, conosciuti a quel tempo, erano 72.
Qual è l’intento dell’evangelista?
Mentre, sul Sinai, Mosè ha proclamato i comandamenti, che erano riservati al popolo d’Israele, su questo monte, che sostituisce il Sinai, Gesù non da Dio riceve la nuova alleanza, ma Lui, che è Dio, proclama la nuova alleanza, che è valida per tutta l’umanità.
La prima delle beatitudini è la più importante di tutte, perché è la chiave perché possano esistere tutte le altre, e Gesù inizia proclamando: “Beati” .
Qual è il significato di questa espressione? È una felicità talmente grande, che si pensava irraggiungibile su questa terra.
A quel tempo, in quella cultura, i beati erano gli dèi, che godevano dei privilegi non concessi agli umani.
Dall’ espressione greca “beato”, deriva poi l’esclamazione nostra in italiano, quando diciamo “magari”, ecco la radice è la stessa, qualcosa di desiderato, qualcosa che ci sembra impossibile, quindi è il massimo della felicità. Ma, per comprendere le beatitudini, questa acclamazione di Gesù “beati”, bisogna sempre metterla dopo le situazioni, o le indicazioni che lui mette.
I primi beati sono  “i poveri in spirito”.
 Va subito detto che Gesù non proclama mai beati i poveri. I poveri sono disgraziati, che è compito della comunità cristiana togliere dalla loro situazione di infelicità. Gesù non chiede ai suoi discepoli di andarsi ad aggiungere ai tanti, troppi poveri che la società sforna, ma di impegnarsi per eliminare le cause della loro povertà. Gesù proclama: ”beati i poveri in spirito” , o di spirito.
La particella greca si può tradurre in tre maniere, vediamo quale può essere il significato. Poveri “di” spirito, cioè quelli che sono carenti di spirito, i cretini, ma non è possibile che Gesù proclami come massima aspirazione dell’uomo la stupidità, quindi la scartiamo. Può essere poveri “in” spirito, cioè una persona che, pur possedendo dei beni, ne è spiritualmente distaccata e, guarda caso, questa è stata proprio la spiegazione portata avanti dalla chiesa.
Ma Gesù non chiede una povertà spirituale, ma chiede una povertà immediata. Quando s’ incontrerà o scontrerà con il ricco, non gli chiederà di distaccarsi spiritualmente dalle sue ricchezze, ma chiede un distacco immediato e reale. Allora la terza possibilità è poveri “per” lo spirito, cioè non quelli che la società ha reso poveri, ma quelli che liberamente, volontariamente, per lo spirito, per questa forza interiore che hanno dentro, scelgono di entrare in questa condizione, che non significa, come abbiamo detto, andarsi ad aggiungere ai tanti, troppi poveri, che la società continuamente sforna, ma significa diminuire il proprio livello di vita, il proprio tenore di vita, per permettere, a quelli che lo hanno troppo basso, d’innalzarlo un po’.  Questi sono i poveri nello spirito, sono coloro che accettano di condividere generosamente quello che sono e quello che hanno.  I poveri in spirito, quelli che fanno questa scelta, Gesù li proclama beati “perché di essi è” , il verbo è al presente, non è una promessa al futuro, ma una possibilità immediata, al presente, “perché di essi è il regno dei cieli”.
Purtroppo, in passato, questo regno dei cieli ha creato tanta confusione, è stato compreso come un regno nei cieli, come se fosse l’ aldilà, ed infatti si diceva appunto ai poveri che loro erano beati, perché sarebbero andati in paradiso.
Nulla di tutto questo.
Matteo è l’unico evangelista che adopera quest’ espressione “regno dei cieli”, laddove tutti gli altri usano l’espressione “regno di Dio”.
Già Gesù aveva proclamato l’invito necessario alla conversione, perché era vicino il regno di Dio. Con l’accoglienza delle beatitudini, il regno di Dio diventa una realtà. Ma cosa significa questo “regno dei cieli”? Che Dio governa i suoi.
 E come governa Dio i suoi? Non emanando leggi, esterne all’uomo, che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’ amare. Allora Gesù dice: quelli che liberamente, volontariamente, scelgono questo, beati perché, da questo momento preciso, in cui fanno questa scelta, accolgono questa beatitudine, permettono a Dio di manifestarsi come Padre nella loro esistenza. ( A. Maggi )

Potremmo dire che questa prima beatitudine riassume tutte le altre.
“Beati quelli che piangono”, che sotto il peso del duro mestiere di vivere sono afflitti, feriti fino a doversi lamentare o, semplicemente, a piangere. Ci sono uomini e donne per i quali la vita difficilmente appare come un dono che li rallegra e che noi non sappiamo o non vogliamo consolare. Felicitazioni perché è certo che “saranno consolati” da Dio stesso (passivo divino) e già ora attraverso lo Spirito santo possono dare un senso alla loro sofferenza e non disperare. Secondo il profeta Isaia, anche consolare gli afflitti fa parte della missione del Messia (cf. Is 61,2), ma non si dimentichi che piangente è stato anche Gesù, nella sua vita (cf. Lc 19,41) e nella sua passione (cf. Eb 5,7).
“Beati i miti”. Ecco un commento alla prima acclamazione (per questo alcuni manoscritti la collocano al secondo posto). Infatti nel Sal 37,11 l’originale ebraico parla di “poveri”, termine reso con “miti” dalla versione greca dei LXX. Il regno di Dio non forse come sinonimo “la terra promessa” da ereditare? Ascoltando questo grido di Gesù, inoltre, si ricordano le parole con cui egli incarna tale beatitudine: “Io sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29), come il Servo del Signore profetizzato da Isaia, profeta non violento, uomo che non si impone (cf. Mt 12,15-21; Is 42,1-4).
“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”, che nel cuore hanno il desiderio che si compia non la propria giustizia ma quella di Dio, la giustizia che Dio vuole e fa, rendendo giusto il credente umile. È una giustizia che salva e che opera come nel Messia, reso da Dio “giusto e salvato” (nosha‘: Zc 9,9; cf. Mt 21,5). Non si può restringere questa beatitudine ai soli cristiani: molte persone che non hanno conosciuto Cristo hanno questa fame e per essa lottano, spendono la vita, restando “giusti”, coerenti con la loro passione. Chi può contestare questa felicitazione di Gesù? Chi può restringerla? Beati, perché Dio li sazierà con la giustizia definitiva del Regno, perché ci sarà il giudizio finale del Figlio dell’uomo e chi avrà avuto questa fame e agito di conseguenza sarà proclamato benedetto e invitato nel Regno (cf. Mt 25,34).
“Beati i misericordiosi”, quelli che praticano questo atteggiamento, carico di tenerezza e di perdono verso gli altri: tutti sono debitori verso gli altri, tutti hanno qualcosa che deve essere perdonato. E allora Gesù annuncia: felicitazioni a chi fa misericordia, perché Dio farà misericordia a lui (cf. Mt 6,14-15; 7,2; 18,35; Gc 2,13). Misericordia è cuore per i miseri, è perdono per chi ha peccato, è cura per chi si trova nel bisogno e nella sofferenza. Proprio su questa beatitudine saremo giudicati alla fine dei tempi: chi avrà omesso di fare misericordia all’affamato, all’assetato, allo straniero, all’ignudo, al malato, al prigioniero, non troverà misericordia (cf. Mt 25,41-45).
“Beati i puri di cuore”, quelli che hanno il cuore, fonte del loro sentire e operare, integro, indiviso, conforme a quello di Gesù. A Dio si chiede di avere un cuore unificato (cf. Sal 86,11), di togliere il cuore di pietra e donare un cuore di carne (cf. Ez 11,19; 36,26), in modo da non avere un cuore doppio (cf. Sal 12,3). Se c’è questa trasparenza, questa integrità, allora si ha il dono di vedere Dio nella fede e di vederlo nel Regno faccia a faccia.
“Beati gli operatori di pace”, quelli che lavorano per la riconciliazione, per la comunione tra i fratelli e le sorelle, tra tutti gli esseri umani; quelli che fanno cadere i muri, non erigono barriere, costruiscono ponti, rinnovano con convinzione il dialogo, si esercitano nella comunicazione mite e sincera. Costoro sono chiamati figli di Dio perché questa è la prima azione di Dio verso l’umanità: radunarla nella pace, riconciliarla.
Infine, “beati i perseguitati per la giustizia”, beatitudine sviluppata con una parola rivolta direttamente ai discepoli: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno”… Felicitazioni alle vittime dell’ingiustizia, dell’oppressione e della tirannia, perché hanno saputo fare resistenza e dunque affermare la giustizia di Dio contro l’ingiustizia di questo mondo. I discepoli devono saperlo: in un mondo ingiusto, il giusto è di imbarazzo, quindi è osteggiato e, se necessario, anche ucciso (cf. Sap 2,1-20). Come è accaduto ai profeti, come è accaduto a Giovanni il Battista, com’è accaduto a Gesù, così accade a chi segue la loro via. Ma, paradossalmente, felicitazioni, perché hanno piena comunione con Gesù in tutto, anche nelle sofferenze!
E così san Basilio può commentare: “Ogni nostra lotta per vivere le beatitudini è stata iniziata da Gesù Cristo stesso, che ce ne ha dato l’esempio”. Sì, è lui il primo a cui sono indirizzate le beatitudini. ( E. Bianchi )
 

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