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XXXI Domenica del T.O. – La nostra sia una comunità di fratelli e sorelle, che si servono gli uni gli altri, e tra i quali chi ha autorità è servo di tutti i servi.

La liturgia della Parola di oggi ci chiama a verificare l’autenticità della nostra risposta al Signore. Il Vangelo, in particolare, evidenzia due questioni di fondo, che chiunque desideri una vita autentica deve affrontare. La prima: essere o apparire. La seconda: la bramosia di potere. ( N. Galantino )
Sbaglieremmo se ritenessimo il vangelo di oggi esclusivamente rivolto ai farisei, cioè agli altri. ( Diaconia )
Ambientato negli ultimi giorni della vita di Gesù a Gerusalemme ( giorni carichi di aspettative e anche di tensioni)  Egli  rivolge critiche severe agli scribi e ai farisei da una parte, dall’altra lascia importanti consegne ai cristiani di tutti i tempi, quindi anche a noi.( Papa Francesco )
L’evangelista non intende riferirsi unicamente al giudaisimo del suo tempo, denunciando le nascoste radici della sua resistenza al vangelo e della sua opposizione alla comunità cristiana. Intende, invece, servendosi della polemica, smascherare atteggiamenti possibili e reali della stessa comunità cristiana.
Il tono di denuncia del vangelo è preparato dal testo di Malachia. Il profeta si rivolge ai sacerdoti del tempio e li richiama al loro dovere fondamentale. Essi, come custodi dell’alleanza con il Signore, devono istruire il popolo sulle condizioni richieste per restare nell’ambito del patto. Se non sono fedeli a questo compito non possono pretendere di trasmettere al popolo la benedizione promessa a quelli che vivono nell’alleanza. ( Diaconia)
Gesù  dice alla folla: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che dicono».
La “cattedra di Mosè” designava, in un tempo successivo a quello dell’evangelista (II–III sec. d.C.), un seggio distinto e ornato nelle sinagoghe, posto di fronte agli altri scranni sul quale potevano sedere soltanto coloro che avevano conseguito il titolo ufficiale di rabbi. (T&T)
E’ molto probabile che Matteo, più che pensare agli scribi e farisei del tempo di Gesù, intendesse  parlare alla sua comunità, dove vedeva serpeggiare queste “tentazioni” e dove cominciavano a manifestarsi queste deviazioni. Egli voleva segnalare alla sua comunità quanto stesse allontanandosi dal messaggio originario del nazareno.
Anche questo serve a preservarci dal rischio di mitizzare le prime generazioni cristiane, come se fossero un giardino di virtù e di incontaminata purezza e genuinità, luoghi ed esperienze di perfezione.
 I Vangeli , anzi tutti gli scritti del secondo testamento, non mettono mai in sordina, non nascondono mai le ombre della nostra umanità. Né Matteo, sulla scia di Gesù, vuole screditare e delegittimare chi esercita una funzione autorevole. Egli parla dalla “cattedra di Mosè” di cui altri si sono impossessati in modo indegno. La “cattedra di Mosè” era la vita, la parola, la testimonianza di questo “liberatore” mandato da Dio al suo popolo come profeta e guida.
Nemmeno Mosè era stato senza macchia  e senza fragilità, ma la sua vita era, nella memoria di Israele, la testimonianza di un uomo che ha cercato incessantemente le vie di Dio nel coerente servizio del popolo. Questa e la “cattedra di Mosè”….!
L’indignazione di Gesù, che Matteo a suo modo testimonia, sta nel fatto che chi ora siede su quella cattedra, chi vuole “guidare” il popolo, non ha più lo spirito e lo stile di vita di Mosè. Questo per Gesù e per Matteo è una vera e propria usurpazione, una”occupazione” illegittima ed immorale. La vita di queste “guide” non può salire in cattedra , tanto meno sulla cattedra di Mosè.
     Se guardiamo alla storia  dell’umanità  non facciamo fatica a constatare che i maggiori mali sono venuti da coloro che “siedono sulle cattedre”, dai titolari dei troni e dei poteri. Ciò vale per la società come per la nostra chiesa e qui non c’è nemmeno bisogno di esemplificare, tanta è l’evidenza di questa triste realtà nei secoli della nostra storia.
       La comunità cristiana ha un punto di riferimento sicuro nella persona e nei comportamenti di Gesù di Nazareth. Per noi è normativo l’esempio di Gesù.
Egli, che pure aveva la consapevolezza di aver ricevuto da Dio una grande missione, visse tra i discepoli e con la gente in atteggiamento di semplicità, di disponibilità, di profonda partecipazione, in spirito di servizio.
.Egli si identificò con le persone deboli e marginali della società del suo tempo.
Un giorno, ormai prossimo alla sua cattura e alla sua crocifissione, volle lavare i piedi  ai dodici perché essi comprendessero, aldilà di quel gesto, che il loro maestro non aveva mai voluto pavoneggiarsi, farsi grande, farsi servire.
Mettendo in mezzo al gruppo un bambino, aveva voluto correggere con fermezza e con pazienza i discepoli che andavano a gara per sapere chi di loro fosse il più grande, il più importante.
Si tratta  di una “questione”, anzi di una conversione, che riguarda ciascuno di noi. Ognuno/a di noi forse deve scendere da qualche piedistallo. Ci vuole il cammino di una vita per imparare a demolire i nostri baldacchini, per imparare a non montare mai in cattedra, per ritrovare la gioia del cercare insieme.
Ma, dentro la nostra chiesa, dobbiamo dire forte che le “cattedre” papali ed episcopali per troppo tempo sono diventate puro esercizio del potere. Per troppo tempo i detentori delle cattedre sono stati “pastori” che spadroneggiavano sul gregge. E’ bastato che diventasse vescovo di Roma un uomo giusto, amante dei più deboli, coerente, schierato contro le arroganze dei potenti, che il mondo  sentisse il profumo del Vangelo vissuto. Un pastore che ha il cuore tutto sulla strada e la vita lontana dai rituali del palazzo: è sembrato un miracolo.
Silenziosamente e faticosamente sta nascendo una chiesa “altra” che individua i veri pastori, quelli di cui fidarsi; uomini e donne ai quali riconoscono preparazione, saggezza, coerenza di vita e capacità pastorali.
Sul territorio e in rete davvero qua e là germinano comunità e gruppi che generano ministri e pastori per la chiesa del futuro. Questo è il passo da compiere: saper rifiutare le cattedre che sono solo espressione di potere e di ufficialità e sostenere, accompagnare quelle donne e quegli uomini che si sentono chiamati ad assumere dei ministeri all’interno del popolo di Dio, in spirito di servizio. ( D. Franco Barbero)
Noi discepoli di Gesù non dobbiamo cercare titoli di onore, di autorità o di supremazia. Io vi dico che a me personalmente addolora vedere persone che psicologicamente vivono correndo dietro alla vanità delle onorificenze. Noi, discepoli di Gesù non dobbiamo fare questo, poiché tra di noi ci dev’essere un atteggiamento semplice e fraterno. Siamo tutti fratelli e non dobbiamo in nessun modo sopraffare gli altri e guardarli dall’alto in basso. No. Siamo tutti fratelli. Se abbiamo ricevuto delle qualità dal Padre celeste, le dobbiamo mettere al servizio dei fratelli, e non approfittarne per la nostra soddisfazione e interesse personale. Non dobbiamo considerarci superiori agli altri; la modestia è essenziale per una esistenza che vuole essere conforme all’insegnamento di Gesù, il quale è mite e umile di cuore ed è venuto non per essere servito ma per servire.( Papa Francesco)
Al termine del brano di oggi  vengono riportate due massime che ricorrono anche in altri contesti: ” Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.” La prima massima è riportata anche in Mt 20,26-27, essa contiene un forte richiamo ad abbandonare situazioni di privilegio per mettersi umilmente al servizio dei fratelli, esattamente come ha fatto Gesù nei confronti dell’umanità.  ( T&T)
Il termine servo  è diacono. Il vero grande nella comunità non è colui che impone i pesi, ma colui che li toglie, colui che aiuta a portarli, colui che si mette a servizio, perché dice Gesù  “chi invece si esalterà” , cioè si innalzerà al di sopra degli altri,  “sarà umiliato” , e  “chi si abbasserà” , chi si metterà a servizio,  “sarà esaltato”  . Il rischio che Gesù vuole evitare è che nella sua comunità si stabiliscano rapporti mediante il dominio di alcuni e la sottomissione degli altri. Questo non ha nulla di evangelico, non ha nulla di cristiano. La comunità dei seguaci di Gesù è una comunità di fratelli, dove gli uni vivono per il bene e il benessere degli altri. ( A Maggi )
Ecco dunque la vera “costituzione” data alla chiesa: una comunità di fratelli e sorelle, che si servono gli uni gli altri, e tra i quali chi ha autorità è servo di tutti i servi. Nella chiesa non c’è possibilità di acquisire meriti di anzianità, di fare carriera, di vantare privilegi, di ricevere onori: occorre essere servi dei fratelli e delle sorelle, e basta! Il fondamento di questa comunità è proprio l’evento nel quale il Figlio dell’uomo, Gesù, si è fatto servo e ha dato la sua vita in riscatto per le moltitudini, cioè per tutti. Gesù non ha dominato, ma ha sempre servito fino a farsi schiavo, fino a lavare i piedi, fino ad accettare una morte ignominiosa, assimilato ai malfattori ( E. Bianchi )
 
 
 
 

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