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SS. Corpo e Sangue di Gesù – L’Eucaristia è la sintesi di tutta l’esistenza di Gesù

La PRIMA LETTURA  è dominata dalla figura di Meilkisedek.

Melchìsedek è uno degli anelli più forti che unisce le due parti della Scrittura. È fondamentale per la nostra esperienza della Scrittura. Accostando la linea dell’elezione che ci concentra sull’eletto in Cristo e l’altra linea cioè l’universalità, si vede come Melchìsedek è una cerniera. Egli si pone in rapporto a tutta l’esperienza sacrificale e la ricapitola tutta in Cristo. Iddio scrive tutta la storia spirituale e delle fedi in modo unitario e questo ci fa sentire come l’Evangelo sia tutto.

È terribile abbaglio cercare altrove la salvezza o il rimedio al male per noi o per gli altri. Qui nello sfondo c’è il Vangelo di oggi. Di fronte a quello che i discepoli dicono di andare a cercare altrove, c’è un gesto che ripetiamo ogni giorno. E qui c’è la totalità e l’unità ed è solo in rapporto alla fede che questa benedizione si attualizza e prende in sé i bisogni dell’umanità (.G. Dossetti-Eremo di san Salvatore, appunti di omelia, 9.6.1977).

Nella SECONDA LETTURA  la descrizione della liturgia eucaristica. Le note delle bibbie ci avvertono che questa è la più antica descrizione scritta della Cena, anteriore alle narrazioni evangeliche! Paolo afferma di aver ricevuto da una tradizione già affermata quello che ora trasmette ai suoi fratelli di Corinto. Mi sembra molto importante fermare la nostra attenzione particolarmente sul ver.26, dove si sottolinea il legame assoluto tra la morte di Gesù e questa celebrazione. Perché esplicitamente e solamente “la morte” di Gesù? Perché la Croce è l’evento supremo della povertà di Dio totalmente immerso nella vicenda umana, e perché la sua Croce è quindi l’evento supremo dell’Amore di Dio per tutta l’umanità. E dunque il suo sacrificio d’amore è la fonte e la potenza della vita nuova donata da Dio. La Cena è la memoria suprema, e la suprema attualizzazione, di tale sacrificio d’amore. Da questa Cena tutto nasce e ad essa tutto si riferisce. Il “modo indegno” di celebrarla è la distanza e la contradizione della nostra vita rispetto a quello che la Cena esprime e dona. Allora, la Cena, che è evento supremo della nostra salvezza, diventa rivelazione e giudizio della nostra distanza e della nostra opposizione al dono di Dio. Tuttavia, questa “condanna” non vuole essere l’ultimo giudizio sulla vita di ciascuno e di tutti, ma, come ascoltiamo ai vers.31-32, è severo appello “per non essere condannati insieme con il mondo”. L’Eucaristia è appello divino alla nostra conversione e alla salvezza.( G. Nicolini)

Il VANGELO ci presenta l’episodio del miracolo dei pani (cfr Lc 9,11-17) che si svolge sulla riva del lago di Galilea. Gesù è intento a parlare a migliaia di persone, operando guarigioni. Sul far della sera, i discepoli si avvicinano al Signore e Gli dicono: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo» (v. 12). Anche i discepoli erano stanchi. Infatti erano in un luogo isolato, e la gente per comprare il cibo doveva camminare e andare nei villaggi. E Gesù vede questo e risponde: «Voi stessi date loro da mangiare» (v. 13). Queste parole provocano lo stupore dei discepoli. Non capivano,  forse si sono anche arrabbiati, e rispondono: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente» (ibid.).

Invece, Gesù invita i suoi discepoli a compiere una vera conversione dalla logica del “ciascuno per sé” a quella della condivisione, incominciando da quel poco che la Provvidenza ci mette a disposizione. E subito mostra di aver bene chiaro quello che vuole fare. Dice loro: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa» (v. 14). Poi prende nelle sue mani i cinque pani e i due pesci, si rivolge al Padre celeste e pronuncia la preghiera di benedizione. Quindi, comincia a spezzare i pani, a dividere i pesci, e a darli ai discepoli, i quali li distribuiscono alla folla. E quel cibo non finisce, finché tutti ne hanno ricevuto a sazietà.

Questo miracolo – molto importante, tant’è vero che viene raccontato da tutti gli Evangelisti – manifesta la potenza del Messia e, nello stesso tempo, la sua compassione: Gesù ha compassione della gente. Quel gesto prodigioso non solo rimane come uno dei grandi segni della vita pubblica di Gesù, ma anticipa quello che sarà poi, alla fine, il memoriale del suo sacrificio, cioè l’Eucaristia, sacramento del suo Corpo e del suo Sangue donati per salvezza del mondo.

L’Eucaristia è la sintesi di tutta l’esistenza di Gesù, che è stata un unico atto di amore al Padre e ai fratelli. Anche lì, come nel miracolo della moltiplicazione dei pani, Gesù prese il pane nelle sue mani, elevò al Padre la preghiera benedizione, spezzò il pane e lo diede ai discepoli; e lo stesso fece con il calice del vino. Ma in quel momento, alla vigilia della sua Passione, Egli volle lasciare in quel gesto il Testamento della nuova ed eterna Alleanza, memoriale perpetuo della sua Pasqua di morte e risurrezione. La festa del Corpus Domini ci invita ogni anno a rinnovare lo stupore e la gioia per questo dono stupendo del Signore, che è l’Eucaristia. Accogliamolo con gratitudine, non in modo passivo, abitudinario. Non dobbiamo abituarci all’Eucaristia e andare a comunicarci come per abitudine: no! Ogni volta che noi ci accostiamo all’altare per ricevere l’Eucaristia, dobbiamo rinnovare davvero il nostro “amen” al Corpo di Cristo. Quando il sacerdote ci dice “il Corpo di Cristo”, noi diciamo “amen”: ma che sia un “amen” che viene dal cuore, convinto. È Gesù, è Gesù che mi ha salvato, è Gesù che viene a darmi la forza per vivere. È Gesù, Gesù vivo. Ma non dobbiamo abituarci: ogni volta come se fosse la prima comunione. ( Papa Francesco)

 

 

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