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XXII Domenica del T.O. – La scelta dell’ultimo posto è la scelta che ci rivela il mistero dell’Incarnazione

Nella prima lettura   tratta dal libro del Siracide viene ribadito  come la caratteristica fondamentale dell’agire deve essere la mitezza  e come, di contro,  il pericolo grave dell’agire umano sia la violenza.    Conosce Dio chi sta lontano dal male, perché Dio è purissimo ed eterno bene. A chi sta nel bene, Dio rivela la profondità del suo bene, del suo amore.

La potenza del Signore è grande ed abbatte tutti i superbi e gli orgogliosi della terra. Invece il Signore si lascia trovare e glorificare dagli umili.

Il superbo vive in una misera condizione. È senza Dio. La sua condizione è veramente misera. L’unico rimedio è la sua conversione .   Il cuore sapiente invece medita medita le parabole, cioè la parte più recondita della sapienza e non si scoraggia di fronte ad esse perché sa che Dio è capace di dare la sua luce ai semplici come è scritto: la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice (Sal 19,8).

La parola entra in un orecchio attento e penetra nell’intimo del cuore dove è custodita e meditata (cfr. Lc 2,19: Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore).   L’orecchio che si chiude a ciò che è vano e si apre alla verità impedisce al veleno della menzogna di penetrare nell’intimo del cuore

 

La Seconda lettura   fa memoria  di Esodo 19 ma è innegabile un certo cambiamento.   al Sinai la manifestazione di Dio è accompagnata da segni tangibili e molto forti, tanto da terrificare i presenti; ora invece il monte è molto più dimesso (il monte Sion è poco più che una blanda collina), si parla di una città, Gerusalemme, accostata all’aggettivo celeste, e di un’adunanza festosa di uomini e angeli, attorno a e al suo sangue sparso. Insomma, si assiste ad un processo di “interiorizzazione”: non grandi segni esteriori, ma una liturgia composta e lieta, ricca di tantissime presenze invisibili.

Questa è una splendida immagine della Chiesa e della liturgia cristiana (o di come dovrebbero essere), ma un processo simile si è verificato anche per l’ebraismo, quando, perduto il tempio, il culto è entrato nelle sinagoghe e nelle case, assumendo aspetti interiori simili ai nostri. Qualcosa del genere sta avvenendo, a quanto ci dicono amici recentemente conosciuti, anche nel mondo islamico: anche se non è ancora una linea maggioritaria, sta tuttavia emergendo, specie nella diaspora, un altro Islam, quello della testimonianza e non del sistema, quello dell’interiorità e non del legalismo, fondato su una lettura spirituale e non fondamentalista del Corano. Allora il testo di oggi può essere inteso anche come un grande sguardo profetico sul cammino dei popoli e delle fedi, per la speranza e la pace di tutti» (F. Scimè, Note omiletiche).

 

Nel brano del Vangelo possiamo distinguere   due interlocutori: gli invitati ( prima parte della parabola) e colui che invita ( seconda parte).

AGLI  INVITATI  l’ammonimento di rivestirsi di uno stile nell’aderire  all’invito al banchetto : scegliere l’ultimo posto, scelta che rivela il mistero dell’Incarnazione.

All’attuale umiliazione, cui Gesù volontariamente si è sottomesso, succederà la glorificazione e lo stesso accade al discepolo che lo segue.   Egli lo vuole all’ultimo posto perché il Padre nell’ultimo giorno gli dica: “Amico, vieni [lett.: Sali] più avanti!”.  Avrai onore [lett.: gloria]. È la gloria stessa del Cristo che viene comunicata al discepolo.

“Dunque, non dobbiamo cercare di nostra iniziativa l’attenzione e la considerazione altrui, ma semmai lasciare che siano gli altri a darcele. Gesù ci mostra sempre la via dell’umiltà … perché è quella più autentica, che permette anche di avere relazioni autentiche. … L’ultimo posto – dicono i Rabbini – è il posto di Dio che crea il mondo e poi si ritira dalla sua totale onnipotenza per fare posto alla creatura   

“Nella seconda parabola, Gesù si rivolge a colui che invita e, riferendosi al modo di selezionare gli invitati… Anche qui, Gesù va completamente contro-corrente, manifestando come sempre la logica di Dio Padre. “  ( Papa Francesco)”

Gesù ci avverte che il pranzo o la cena di festa sono tali solo quando sono offerti gratuitamente, senza attendersi un contraccambio. Per questo, soprattutto nella comunità cristiana, occorre apprestare la tavola invitando quelli che nessuno invita. ( E Bianchi )

Essere cristiani vuol dire volere un banchetto dove ci sono i poveri, gli zoppi… cioè dove tutti entrano in fraternità finalmente festosa.  Questo è l’essere cristiani. Il nome di Dio viene dopo.  È meglio che non si pronunci, per ora, perché ci imbroglia, perché reintroduce un’idea creata dalle classi del potere. Solo se io amo il povero posso pensare a Dio senza sbagliare.  Se non penso all’uomo, penso a Dio sbagliando. Questa è la verità che ci viene dal Vangelo. ( Ernesto Balducci )

“Chi nella sua vita ha provato una volta la misericordia di Dio, non desidera che servire. Non lo attira più l’alto trono del giudice; egli vuole vivere  in basso con i miseri e gli umili, perché Dio lo ha  trovato lì in basso” (Dietrich Bonhoeffer)

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