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XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Dio cerca ciò che è perduto con grande attenzione.

Parabole Misericordia pro XXIVNel Vangelo di questa domenica XXIV del Tempo Ordinario le tre parabole delle misericordia, raccontate da Gesù davanti un uditorio di mormoratori invidiosi.
I farisei e gli scribi mormoravano perché a Gesù si avvicinavano tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo: «Costui – dicevano – riceve i peccatori e mangia con loro» (Luca 15,2).
Mormoravano coloro che vivono le pratiche religiose e perciò si ritengono in possesso di diritti acquisiti rispetto al Regno di Dio; tuttavia tale opposizione alla parola di grazia di Gesù non viene espressa in forma diretta, bensì mediante allusioni, riferimenti vaghi, piccole frasi che contengono mezze verità e sono messe in giro, sottintesi.
Dire una mezza verità, con dei sottintesi, è il modo con cui da sempre ci si mette contro il Vangelo della grazia.
Gesù non pronuncia una difesa; semplicemente ribadisce il messaggio della misericordia, perché la parola di Dio è luce e non ha bisogno di essere illuminata da altro.
In Luca 15 leggiamo così le più note parabole: quella della pecora smarrita e ritrovata (vv.. 4-7); quella della dramma perduta e ritrovata (vv. 8-10); e la parabola del figlio perduto e ritrovato (vv. 11-32).
Tutte e tre mostrano che c’è qualcosa di perduto (una persona, una cosa, un animale) e che Dio cerca ciò che è perduto con grande attenzione.
Dio vuole la salvezza di ciascuno di noi, anche di uno solo.
Chi sogna un cristianesimo con programmi preordinati di tipo cosmico, un cristianesimo che non può attardarsi nella ricerca di una pecora o di una dramma o di un figlio che ha lasciato la casa patema, difficilmente comprende e accoglie il Vangelo della grazia,
Ancora, le parabole mostrano una sorta di accanimento da parte del pastore, della donna e del padre.
Il Dio della misericordia infatti si prende a cuore il singolo uomo come se fosse l’unico, quasi a dire: Tu sei importante per me, tu mi manchi, per te metto in questione la mia vita.
Infine, Gesù sottolinea la gioia del ritrovamento; ne fa il tema dominante, contrapposto alle lacrime della ricerca.
Quando il pastore ritrova la pecora «se la mette in spalla tutto contento e va a casa, chiama gli amici e i vicini», affinché si rallegrino con lui.
La donna, ritrovata la dramma, «chiama le amiche e le vicine».
Il padre dice ai servi: «Presto! Portate il vestito più bello e rivestite mio figlio, mettetegli l’anello al dito e i suoi calzari ai piedi, portate il vitello grasso e ammazzatelo, mangiamolo e facciamo festa. E cominciarono a far festa».
Gioia, festa, banchetto, musica e danze sono collegate con il ritrovamento del perduto.
[ Nel raccontare queste parabole ]  Gesù ha davanti agli occhi un uditorio di mormoratori invidiosi.   ….I mormoratori invidiosi sono gente di casa, non estranei. …. 
 Gente di casa, che crede di conoscere il padre.
Il fratello maggiore credeva di conoscere suo padre e si meraviglia di quello che fa: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici» (v. 29).
Gente che crede di conoscere Dio e dice: Come mai si comporta così? È ingiusto, non doveva assolutamente farlo, non ha mai fatto così con me che lo conosco e che lo servo da tanti anni!
Gente perbene: persone che presumono essere giuste e disprezzano gli altri.
È il quadro completo, presentatoci dal vangelo, delle persone a cui Gesù si rivolge.
Potremmo caratterizzare l’uditorio dicendo che è gente dall’occhio cattivo. L’immagine la prendiamo dalla parabola degli operai mandati a ore diverse nella vigna (Matteo 20), là dove il padrone conclude il suo discorso all’ «amico» che si è lamentato di aver lavorato tutto il giorno e di aver avuto la medesima paga degli altri: «Sei invidioso perché io sono buono?» (v. 15). Nel testo greco questo «invidioso» è «ofthalmós sou ponerós», il tuo occhio è cattivo.
Con la metafora dell’occhio cattivo possiamo quindi indicare il pubblico cui Gesù si rivolge.
Mettendoci ora dalla parte dei mormoratori, possiamo chiederci: il Vangelo della misericordia non diventa, alla fine, un evangelo della faciloneria, del permissivismo, del disimpegno etico?
Forse ci è capitato talora di ripetere le parole dei farisei o di ascoltare altri che esprimono timore verso un messaggio che mette in pericolo l’osservanza delle leggi, il rigore delle tradizioni, la sicurezza dottrinale e morale di un gruppo.
La domanda è seria e non dobbiamo lasciare che entri nel nostro cuore perché, in tal caso, non comprenderemmo più il Vangelo della grazia.
Offro tuttavia qualche riflessione in proposito:
– Dio non muta; qualunque siano le conseguenze da noi paventate, egli è il Dio della misericordia.
– I timori di fronte al suo Vangelo di grazia esprimono probabilmente la paura di sottoporsi a questo regime.
Mi viene in mente Dietrich Bonhoffer che, per la sua tradizione protestante, poteva essere imputato di cedere al Vangelo della grazia e che ha sentito il bisogno di chiamarlo: «grazia a caro prezzo».
 Ci può essere in noi una nascosta ripugnanza ad accogliere Dio così com’è, a lasciarci invadere dalla sua misericordia, e preferiamo difenderci con la legge, con la giustizia, con il rigore etico del vangelo.
Ci può essere in noi una comprensione solo parziale del Vangelo della grazia e per questo lo allontaniamo istintivamente.
– Il Vangelo della grazia ha, come corrispondente in chi lo riceve, lo stigma della gratuità.
Non c’è niente di più esigente della gratuità, proprio perché non ha limiti a differenza del vangelo della legge – non sono obbligato, non sono il custode di mio fratello! -.
L’esigenza del Vangelo della grazia giunge a superare tutte le legalità e tutti i ruoli, perché ci tocca nel più intimo e ci invita al dono di noi stessi fino alla morte.
– Il Vangelo della grazia, quando non è accolto, lascia il morso dello scontento e della disperazione.
Non forza nessuno a donarsi, a uscire dal proprio egoismo, ma lascia l’uomo libero di chiudersi nella propria disperazione, nel rifiuto totale e quindi di perdersi nella propria solitudine personale e di gruppo, nella difesa a oltranza, fino ad accorgersi che non c’era nulla da difendere. ( Carlo Maria Martini )

XXIII Domenica del T.O. – La sequela : amare più di quanto … portare la croce … rinunciare agli averi ….

Sequela (2)Nel vangelo di questa domenica Luca presenta le tre radicali condizioni che Gesù ha posto a quanti lo vogliono seguire.
Il Contesto:  Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che, per un malinteso senso del messia, lo segue pensando poi di andare a spartirsi il potere e il bottino.
Pensano che Gesù sia il glorioso messia, il figlio di Davide, che va a restaurare il defunto regno di Israele, e non hanno compreso che Gesù è il figlio di Dio, quello che non va a togliere il potere, ma a donare la propria vita a Gerusalemme.
E scrive l’evangelista, vangelo di Luca, cap 14 versetti 25-33, che “una folla numerosa andava con lui”.
A questo equivoco, Gesù , “si voltò e disse loro …”, ed è la prima radicale condizione, «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita»”, in greco adopera il termine ‘psyché’ che significa ‘se stesso’, «non può essere mio discepolo». ( A. Maggi )
 
Questa parola è illuminata da un’altra pronunciata da Gesù quando vennero a riferirgli che i suoi famigliari, da cui egli si era allontanato…. lo cercavano con insistenza: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica».
Sì, per il cristiano il legame d’amore con Gesù, Parola di Dio fatta carne (cf. Gv 1,14), deve avere l’assoluta precedenza su ogni altro vincolo, anche di sangue: è Cristo che egli deve amare con tutto il cuore, la mente e le forze (cf. Dt 6,5).
Attenzione, non si tratta di una richiesta totalitaria: non bisogna amare lui soltanto, ma lui più degli altri nostri amori; bisogna amare, come lui ha amato (cf. Gv 13,34), tutte le altre persone, senza alcuna distinzione…  ( E. Bianchi )
 
….  L’adesione a Gesù deve andare al di là dei vincoli familiari, e, in particolare, c’è l’immagine della moglie perché nella parabola che Gesù in precedenza ha comunicato ai suoi, uno degli ostacoli che uno presenta per andare a questo banchetto del regno è “ho preso moglie perciò non posso venire”.
Quindi la prima condizione radicale è che l’adesione a lui deve andare al di sopra dei vincoli familiari, …. 
 La seconda condizione radicale è l’accettazione del disprezzo della società e quindi la grande solitudine.
 Infatti, afferma Gesù, «Colui che non porta la propria croce»”, letteralmente “chi non solleva la propria croce”, “«E non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»”.
E’ la seconda volta che appare il tema della croce, tema che, ricordo, non riguarda mai la
sofferenza, i momenti tristi che la vita inevitabilmente fa incontrare, mai la croce nei vangeli ha questo significato, ma sollevare la croce significa accettare il disprezzo della società perché quelli che venivano condannati a questa infamia erano considerati la feccia della società.
E, in particolare, Gesù si rifà al momento preciso in cui il condannato doveva lui sollevare l’asse orizzontale della croce. Da quel momento doveva andare verso il luogo dell’esecuzione circondato da ali di folla per le quali era un dovere religioso insultare e malmenare il condannato. ( A. Maggi )
 
Dio è un dio del ‘portare’.
Il Figlio di Dio portò i nostri peccati nella carne, portò perciò la croce, portò tutti i nostri peccati e, portandoli, effettuò la riconciliazione.
 Perciò anche chi lo segue è chiamato a portare.
L’essere cristiani consiste nel portare.
 Come Cristo mantenne la comunione col Padre portando i pesi del mondo, così, portando i pesi, chi segue Gesù è in comunione con lui.
 L’uomo può scrollarsi di dosso il peso impostogli, ma non si libera, in questo modo, del peso in genere; anzi, porta ora un peso molto maggiore, più insopportabile; per sua propria volontà porta il peso, scelto da lui, della sua persona.
 Gesù ha chiamato tutti coloro che si sono caricati di vari dolori e pesi, perché buttino i loro pesi e prendano su di sé il giogo di Gesù che è mite, il suo peso, che è leggero.
Il suo giogo, il suo peso, è la croce.
 Camminare sotto questa croce non è miseria e disperazione, ma ristoro e pace per l’anima, è massima gioia.
Non camminiamo più sotto i pesi e le leggi fatte dagli uomini, ma sotto il giogo di colui che ci conosce e cammina lui stesso sotto la croce insieme a noi.
 Sotto il suo giogo noi siamo certi della sua vicinanza e della sua comunione. chi lo segue trova Gesù stesso, se prende su di sé la sua croce. (D. Bonhoeffer, Sequela p. 74)
 
Gesù accompagna queste sue parole con due brevi parabole.
Come per costruire una torre o affrontare una battaglia è indispensabile calcolare in anticipo con intelligenza le proprie forze, così anche per seguire lui: il discepolo, infatti, è chiamato non solo a incominciare ma anche a «portare a compimento» la sua sequela.
Sì, la vita cristiana non è questione di un momento o di una stagione, ma richiede perseveranza fino alla fine, fino alla morte. E la perseveranza esige un grande amore per Gesù Cristo, l’amore da cui nasce la disponibilità ad andare con lui anche dove noi non vorremmo; ovvero, implica la fede che sarà lui, Cristo, il quale nel suo amore per noi «porterà a compimento ciò che ha iniziato in noi» (cf. Fil 1,6). ( E. Bianchi )
 
 [ La terza condizione ], «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»”.
 La rinuncia a tutto quello che si possiede, non mettere la sicurezza in quello che si ha, ma mettere la propria sicurezza in quello che si da, perché Gesù vuole al suo seguito soltanto persone libere.
Infatti le tre condizioni per  la sequela sono tutte scelte di libertà e per la libertà.
In particolare questo fatto della rinuncia agli averi si rifà a quanto Gesù aveva detto in precedenza nella parabola del banchetto, dove tra i pretesti per non partecipare alla mensa c’era quello di chi diceva “ho comprato un campo” oppure  “ho comprato cinque paia di buoi.
Quindi il possesso degli averi di quello che si ha è un impedimento.
Bene, allora sono tre condizioni radicali, tutte quante all’insegna della libertà; soltanto chi è pienamente libero può seguire il Signore. Gli altri?  ….  ( A MAGGI )
 

Ricordando il Cardinale Carlo Maria Martini a un anno del suo ritorno alla casa del Padre.

chiesadicefalu.itMartini mOggi  il primo anniversario della scomparsa del cardinale Carlo Maria Martini, avvenuta il 31 agosto 2012 a Gallarate, a causa dell’aggravamento del morbo di Parkinson di cui soffriva già da diversi anni.
Fare memoria dei Padri è un atto di giustizia“: ha detto Papa Francesco “E Martini è stato un padre per tutta la Chiesa. Anche noi alla ‘fine del mondo’ facevamo gli esercizi con i suoi testi“, ….
Un film-documentario per ricordare il cardinale Martini è stato in proiezione il 29 Agosto alla Mostra di Venezia.  Il regista è Salvatore Nocita.
Cliccando sull’icona a destra del post è possibile aprire il trailer del Film.

Alle 17,30 ll’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, ha presieduto in Duomo celebrazione eucaristica vigiliare, nella quale si è fatto memoria del Cardinale Martini. Ecco il testo dell’omelia.

 
1. «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Vangelo, Mt 4,16). L’evangelista Matteo, per descrivere l’inizio del ministero pubblico di Gesù, utilizza le parole di una profezia di Isaia (cf. Is 8,23-9.1). Una descrizione efficace, che ben esprime l’iniziativa di Dio nei confronti della umana condizione.
Non si può forse dire di ogni uomo che “abita in regione e ombra di morte”? Questa, come un sordo rumore di fondo, accompagna tutta la nostra vita. Non è proprio la morte, soprattutto quella delle persone a noi care e quella degli innocenti, ad aprire dolorosamente l’interrogativo circa il bene della vita? Se non c’è, infatti, risposta alla morte, se non esiste una luce in grado di dissipare l’ombra della morte, uno scetticismo dalle molte sfumature s’impadronisce di noi.
Nessuno può sottrarsi a queste domande. Esse attraversano, senza distinzione, l’esistenza di credenti e di non credenti, incamminati sulla stessa strada.
Nell’iniziativa che Gesù prende dopo la cattura di Giovanni, si apre a noi una strada per guardare in faccia la bruciante questione della morte: in prima persona nel territorio intorno a Cafarnao Gesù «incominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino”». E allora «il popolo vide una grande luce…» (Vangelo, Mt 4,16-17).
«Cristo è morto per noi» (Epistola, Rm 5,18): così Paolo esplicita il cuore abbagliante di questa grande luce.
 
2. Celebrare l’Eucaristia nel primo anniversario della dipartita dell’Arcivescovo Carlo Maria è un’occasione privilegiata per rendere grazie a Dio del bene compiuto nel suo ministero episcopale. Il suo sguardo appassionato per tutti gli uomini continua ad accendere la speranza «che non delude» (Epistola, Rm 5,5). Non delude perché proviene dall’amore stesso di Dio che gratuitamente si riversa nei nostri cuori. Non viene meno neppure quando siamo «deboli…» «peccatori…» e «nemici» (Epistola, Rm 5,6-8). L’Arcivescovo Carlo Maria fu indomito portatore di questa «speranza affidabile» (Spe salvi 1 e 2) che deriva dalla fede incrollabile nella Risurrezione di Gesù. Fra le pagine che il Cardinale ha dedicato alla morte e alla risurrezione ve n’è una assai penetrante che narra della straordinaria modalità con cui Gesù appare, risorto, ai suoi. Reincontrando la Maddalena, i discepoli di Emmaus, Pietro sul lago di Tiberiade Gesù, che avrebbe potuto rimproverarli perché, presi dalla paura, l’avevano in vario modo abbandonato, invece «non giudica il comportamento che hanno avuto, non critica, non condanna, non rinfaccia i ricordi dolorosi della loro debolezza, ma conforta e consola» (C. M. Martini, La trasformazione di Cristo e del cristiano alla luce del Tabor. Esercizi spirituali, BUR-Rizzoli, Milano 2004, 166). Consola perché non approfitta «dell’umiliazione altrui per schernire, schiacciare mettere da parte, ma riabilita, ridà coraggio ridà responsabilità» (ibid., 167). Con la luce della Sua risurrezione li inoltra, in pienezza di verità, sulla strada di una responsabile novità.
 
3. «Nella conversione e nella calma sta la vostra forza» (Lettura, Is 30,15). Il Cardinal Martini diceva che per poter partecipare, da poveri uomini, a questa forza di «consolazione regale» propria di Gesù bisogna «avere in sé un grande tesoro, una grande gioia» (La trasformazione, 167).
La memoria viva del Cardinale si fa per noi questa sera invito ad accogliere, come ci ha detto san Paolo, anche in mezzo alle tribolazioni di varia natura, quella pace che fa fiorire «la pazienza, la virtù provata e la speranza» (cf. Epistola, Rm 5,3-4).
Quella offerta a tutti gli uomini dal grande tesoro che è Gesù Cristo morto e risorto è, insiste Paolo, «la speranza della gloria di Dio» (Epistola, Rm 5,8). Una speranza in forza della quale passato, presente e futuro, inscindibilmente intrecciati dalla misericordia di Dio, formano l’ordito della nostra storia personale, della storia della Chiesa e del mondo. La luce della fede che ci ha portato Gesù (cf. Papa Francesco, Lumen fidei 1), illumina il cammino che la Provvidenza ha donato alla nostra Chiesa. Un’unità che si esprime e risplende nella pluriformità di accenti e di risposte personali alla grazia di Dio.
 
4. Significativamente l’Arcivescovo Carlo Maria ha dedicato la sua prima Lettera pastorale alla preghiera contemplativa. In essa egli definisce l’uomo in questi termini: «Aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull’Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto» (La dimensione contemplativa della vita I).
Apertura, sporgenza, eccentricità, insoddisfazione… non sono tutte categorie appropriate per descrivere la tensione positiva alla vita e alla vita “per sempre” che inquieta il cuore in ogni uomo rendendolo consapevole di non essere lontano da nessun altro uomo? Non esistono domande autentiche di un uomo che non siano di tutti gli uomini; le “periferie esistenziali” – per usare l’espressione di Papa Francesco – sono innanzitutto i confini della stessa esperienza di ciascuno di noi.
La dimensione contemplativa dell’esistenza restituisce l’uomo a se stesso, affermava l’allora Arcivescovo di Milano in quella prima Lettera pastorale. Questo insegnamento riletto ora, alla fine del suo pellegrinaggio terreno, esprime bene il centro della sua personalità, della sua testimonianza di vita, della sua azione pastorale, della sua passione civile, dell’indomito tentativo di indagare gli interrogativi brucianti dell’uomo di oggi. Per questo la ricca complessità della sua persona e del suo insegnamento continuano ad interrogare uomini e donne di ogni condizione. La dimensione contemplativa della vita del Cardinal Martini rappresenta l’antefatto, l’orizzonte, il precedente di tutta la sua riflessione e di tutta la sua azione. Ciò che è stato e che viene detto e scritto sulla sua figura, sul suo pensiero e sulla sua opera diventerebbe facilmente unilaterale se non venisse collocato in questa unificante prospettiva.
Al termine della Santa Messa ci recheremo a pregare sulla tomba del Cardinale. Questo gesto che la liturgia chiama di suffragio – con cui onora la memoria dei defunti e offre il sacrificio eucaristico perché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1032) – chiede ad ognuno di noi una risposta personale che ci spalanchi al campo che è il mondo intero. È una conversione che ha la forma – ce lo ha ricordato il profeta nella Lettura – di un «abbandono confidente» (Lettura, Is 30,15).
Invochiamo, per intercessione della Santissima Vergine Maria, la grazia di un simile abbandono. Amen.
 

Papa Francesco sceglie il successore di Mons. Bertone per la Segreteria di Stato.

parolin_pietroPapa Francesco sceglie Mons.  Pietro Parolin per la Segreteria di Stato, l’annuncio probabilmente domani. Si chiude così “l’era Bertone”.
Mons. Pietro Parolin. Veneto, 58 anni,  è stato ordinato sacerdote nell’80 ed è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1986.
Nel 2002 è stato nominato sottosegretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, in pratica «viceministro degli Esteri», dove ha collaborato prima con il cardinale Sodano e poi con Bertone.
Nel settembre 2009 Benedetto XVI, che qualche settimana prima lo aveva nominato nunzio in Venezuela, lo ha consacrato vescovo.
L’avvicendamento del Cardinale Bertone  è stato comunicato martedì scorso, 27 agosto, al decano del Sacro collegio, Angelo Sodano che è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco e diventerà operativo dopo quarantacinque giorni dall’annuncio, cioè a metà ottobre.
Il cardinale Bertone, 79 anni, rimarrà presidente della Commissione cardinalizia sullo Ior ma solo fino al completamento del Report del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa sulle procedure antiriciclaggio del Vaticano e della Santa Sede.
I concili nei secoli
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