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1 Gennaio: Maria S.S. Madre di Dio

La prima domenica del nuovo anno si apre con la buona notizia: quelli che la religione considera i più lontani da Dio, in realtà per Gesù, per il vangelo, sono i più vicini a Dio.
« I pastori vanno e riscontrano che quanto è annunciato, è vero. …   E divengono talmente servi della Parola che annunciano non solo meraviglie ma comunicano lo stesso trasporto che li ha presi.
Maria, percepisce e ne viene presa e custodisce queste cose e le riscontra nel suo cuore.  Non basta che lo Spirito si posi su di noi ma occorre custodire lo Spirito e confrontarlo con la Scrittura che non fa altro che comunicarlo sempre più.» ( D. G. Dossetti )
« Ma la nostra attenzione oggi va in particolare all’ultimo versetto del brano evangelico: «Quando si compirono gli otto giorni prescritti per la circoncisione, al bambino fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre».
 È meditando su queste parole che possiamo approfondire la nostra contemplazione del mistero del Natale, il mistero dell’umanizzazione di Dio attraverso la venuta di Gesù nella carne in mezzo a noi.
 Otto giorni dopo la sua nascita, Gesù viene circonciso, con il gesto che lo rende appartenente al popolo dell’«alleanza santa» stipulata con Abramo (cf. Gen 17,10-11).
Nella carne di Gesù quella ferita incancellabile indica il suo essere figlio di Abramo, in alleanza perenne con il suo Dio: potremmo dire che quel segno inciso nel corpo di Gesù narra il suo essere ebreo, ed ebreo per sempre.
Luca ricorda questo evento per mostrare che la promessa fatta ai padri ora si è compiuta (cf. Lc 1,72-73); d’altra parte questo segno verrà trasceso dalla Nuova Alleanza, per la quale è necessaria la circoncisione del cuore, esigenza già predicata dai profeti (cf. Ger 4,4) e poi portata definitivamente a compimento da Gesù lungo tutta la sua vita (cf. Col 2,11)…
 Insieme alla circoncisione, Gesù riceve anche il nome, che si rivela conforme all’annuncio dell’angelo (cf. Lc 1,31). Giuseppe e Maria lo chiamano, appunto, Gesù, Jeshu‘a, che significa “il Signore salva” e, quindi, Salvatore …
.È nella forza di questo nome che Gesù vivrà tutta la sua vita a servizio degli uomini suoi fratelli, il suo «passare in mezzo a loro facendo il bene e guarendo, perché Dio era con lui» (cf. At 10,38); è questo il Nome santo in cui gli uomini saranno salvati (cf. At 2,21; 4,12), il Nome attraverso il quale saranno operati segni, il Nome grazie al quale il regno di Dio si estenderà e Satana sarà costretto ad arretrare (cf. Lc 10,17; At 3,6).  
 «Nato sotto la Legge», Gesù è però anche «nato da donna» (cf. Gal 4,4), e quella donna è Maria, la vergine di Nazaret scelta da Dio.
È per opera dello Spirito santo che Maria è diventata gravida, è per volontà di Dio che ha partorito quel Figlio che solo Dio poteva donare all’umanità.
L’Altissimo si è fatto bassissimo, l’infinito si è fatto finito, l’immortale si è fatto mortale, e questo nel grembo di Maria.
Sì, lo Spirito ha assunto la capacità di Maria di essere madre e ha trasformato la sua maternità in maternità divina: il frutto benedetto del ventre di questa donna è Gesù, la benedizione promessa ad Abramo e ora fatta carne, affinché tutte le genti siano benedette (cf. Gen 12,3) » ( E. Bianchi)
 
 «Oggi celebriamo la Maternità di Maria. Questa maternità gloriosa, strumento di salvezza, non possiamo disgiungerla dall’Incarnazione, dalla Circoncisione e dal Nome. Entrando in contatto con questa maternità, iniziamo a essere partecipi della benedizione in Gesù.
Il mistero della sua natività, dell’adorazione dei pastori, di Maria, della circoncisione, del Nome è legato fin dal principio a un segno di sangue.
Qual è il punto di vincente tra la devozione imperfetta con Maria e il vero rapporto con lei? È accettare che la rinascita avvenga attraverso il sangue.
Maria …. non può e non vuole dispensarci, da un rapporto di sangue.
Questo non l’ha fatto con Gesù e, non può farlo con noi perché custodisce nel cuore tutto il disegno di Dio. Tanto più è intimo il rapporto con Dio, Maria non si frappone al disegno di Dio, ma ci aiuta a realizzarlo. Ci accompagna e ci ottiene lo spirito della fortezza per realizzare il disegno di Dio.
A Maria dobbiamo chiedere che non ci eviti il martirio, ma che ci conforti a sostenerlo.
Questo lo fa non solo nei confronti di ciascuno ma in rapporto alla Chiesa: non evita alla Chiesa il martirio ma ottiene alla Chiesa la Pentecoste dove lo Spirito ci è dato perché possiamo testimoniare il nome di Gesù.
Maria assistendo gli Apostoli non ottiene che siano tolti dal martirio ma che siano segnati dal fuoco dello Spirito. Non ha evitato al Cristo la morte ma lo ha consolato con la sua presenza». ( d. G. Dossetti, appunti di omelia, 1.1.1972)
 
 
 

30 Dicembre – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

 
S FamigliaNella domenica in cui  la Chiesa ci chiede di fare memoria dei genitori di Gesù, di questa famiglia in cui Gesù è nato, è stato allevato ed è cresciuto, riportiamo l’ “Epilogo” dell’ultimo libro di Papa Benedetto XVI ( L’Infanzia di Gesù ) ” Gesù dodicenne nel tempio
Oltre alla narrazione sulla nascita di Gesù, San Luca ci ha conservato ancora un prezioso piccolo dettaglio della tradizione circa l’infanzia – un dettaglio in cui traspare in modo singolare il mistero di Gesù.  Ci viene raccontato che ogni anno per la Pasqua in genitori di Gesù andavano in pellegrinaggio a Gerusalemme. La famiglia di Gesù era pia, osservava la Legge.
          Nelle descrizioni delle figure di Gesù a volte viene rivelato solo l’aspetto di contestazione, il procedere di Gesù contro una devozione falsa. Così Gesù appare come un liberale o un rivoluzionario. In effetti, nella sua missione  di Figlio, Gesù ha introdotto una nuova dimensione nel rapporto dell’uomo con Dio. Questo però non è un attacco alla pietà d’Israele. La libertà di Gesù non è la libertà del liberale. È la libertà del figlio e così è la libertà di colui che è veramente pio.  Come Figlio, Gesù porta una nuova libertà, ma non quella di colui che è senza legame, bensì la libertà  di Colui che è totalmente unito alla volontà del Padre e che aiuta gli uomini a raggiungere la libertà dell’unione interiore con Dio.
         Gesù non è venuto per abolire, ma per portare a compimento ( cfr. Mt. 5,17) Questa connessione proviene dall’essere Figlio , tra una novità radicale e una fedeltà altrettanto radicale, appare proprio anche nella breve narrazione di Gesù dodicenne; anzi direi che essa è il vero contenuto teologico a cui mira il racconto.
 Torniamo a genitori di Gesù. La Torà prescriveva che per le tre grandi feste – la Pasqua, la festa delle settimane e la festa delle Capanne – ogni Israelita dovesse presentarsi nel tempio ( cfr. Es 23,17; 34,23s; Dt 16,16s ). La questione se anche le donne fossero obbligate a questo pellegrinaggio era discussa tra le scuole di Shammai e di Hillel. Per i ragazzi l’obbligo vigeva a partire dal tredicesimo anno compiuto. Ma al contempo, valeva anche la prescrizione che essi dovevano abituarsi passo passo  ai comandamenti. A ciò poteva servire il pellegrinaggio già all’età di dodici anni: Il fatto che  Maria e Gesù abbiano partecipato al pellegrinaggio dimostra, dunque, ancora una volta la religiosità della famiglia di Gesù.
    Facciamo attenzione, in questo contesto, anche al senso più profondo del pellegrinaggio: andando tre volte all’anno verso il tempio. Israele rimane, per così dire, un popolo in pellegrinaggio, un popolo che è sempre in cammino verso il suo Dio e riceve la sua identità e la sua unità sempre di nuovo nell’incontro con Dio nell’unico tempio. La Santa Famiglia si inserisce in questa grande comunità in cammino verso il tempio e verso Dio.
          Nel viaggio di ritorno avviene una cosa inaspettata. Gesù non parte con gli altri, ma rimane a Gerusalemme. I suoi genitori si accorgono di questo soltanto alla fine del primo giorno di ritorno del pellegrinaggio. Per loro, evidentemente, era del tutto normale suppore che egli si trovasse da qualche parte nella grande comitiva. Luca usa per essa la parola synodia  – «comunità in cammino» – , il termine  tecnico della carovana: In base alla nostra immagine, forse troppo gretta, della Santa Famiglia, questo  fatto stupisce. Ci mostra, però, in modo molto bello, che nella  Santa Famiglia libertà e obbedienza erano ben conciliate l’una con l’altra.  Il dodicenne era lasciato libero di decidere se mettersi insieme con coetanei e amici e rimanere durante il cammino in loro compagnia. Alla sera, però, lo attendevano i genitori.
  Il fatto che Egli non fosse presente, non ha più niente a che fare con la libertà dei giovani, ma rimanda ad un altro livello, come si sarebbe reso evi­dente: rimanda alla missione particolare del Figlio. Per i genitori cominciarono con ciò giornate piene di angoscia e di preoccupazione. L’evangelista ci rac­conta che solo dopo tre giorni essi ritrovarono Gesù nel Tempio, dove stava seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava (cfr. Lc 2,46).
 I tre giorni sono spiegabili in modo molto concre­to: per una giornata Maria e Giuseppe erano andati verso nord, avevano impegnato un’altra giornata per il ritorno, e il terzo giorno finalmente trovarono Gsù.
Anche se i tre giorni quindi sono un’indicazione temporale molto realistica, bisogna tuttavia dar ra­gione a René Laurentin che qui percepisce un accen­no sommesso ai tre giorni tra Croce e Risurrezione. Sono giornate di sofferenza a causa dell’assenza di Gesù, giornate di un buio la cui gravità si sente nelle parole della Madre: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Cosi, dalla prima Pasqua di Gesù si stende un arco fino alla sua ultima Pasqua, quella della Croce.
La missione divina di Gesù rompe ogni misura umana e diventa per l’uomo sempre nuovamente un mistero oscuro. Per Maria, qualcosa della spada del dolore di cui aveva parlato Simeone ( cfr. Lc. 2,35) diventa percettibile in quell’ora. Più una persona si avvicina a Gesù, più viene coinvolta nel mistero della sua Passione.
La risposta di Gesù alla domanda della madre e im­pressionante: Ma come? Mi avete cercato? Non sapevate dove deve essere un figlio? Che cioè deve tro­varsi nella casa del Padre, «nelle cose del Padre» (Le 2,49)?  Gesù dice ai genitori: mi trovo proprio là dove è il  mio posto -presso il Padre, nella sua casa.
In questa risposta sono importanti soprattutto due cose. Maria aveva detto: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Gesù la corregge: io sono presso il Pa­dre. Non è Giuseppe mio padre, ma un Atro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù?
Con ciò e direttamente connessa la seconda cosa. Gesù parla di un «dovere» al quale Egli  si attiene. II Figlio, il bambino deve essere presso il padre. La pa­rola greca dei, che Luca qui usa, ritorna sempre nei Vangeli là dove viene presentata la disposizione della volontà di Dio, alla quale Gesù è sottomesso. Egli «deve» soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere, come dice ai discepoli dopo la professione di Pietro ( cfr. Mc. 8,31). Questo « deve » vale già anche in questo momento iniziale. Egli deve essere presso il  Padre, e cosi diventa chiaro che ciò che appare come disobbedienza o come libertà sconveniente nei con­fronti dei genitori, in realtà, è proprio espressione della sua obbedienza filiale. Egli è nel Tempio non come ribelle contro i genitori, bensì proprio come Colui che obbedisce, con la stessa obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione.
San Luca descrive la reazione di Maria e Giuseppe alla parola di Gesù con due affermazioni: «Essi non compresero ciò che aveva detto loro», e «Sua ma­dre custodiva tutte queste parole nel suo cuore» (Lc 2,50.51). La parola di Gesù è troppo grande per il momento. Anche la fede di Maria è una fede «in cam­mino», una fede che ripetutamente si trova nel buio e, attraversando il buio, deve maturare. Maria non comprende la parola di Gesù, ma la custodisce nel suo cuore e lì la fa arrivare pian piano alla maturità.
Sempre di nuovo le parole di Gesù sono più grandi della nostra ragione. Sempre di nuovo superano la nostra intelligenza. La tentazione di ridurle, di manipolarle per farle entrare nella nostra misura, è comprensibile. Fa parte dell’esegesi giusta proprio l’umiltà di rispettare questa grandezza che, con le sue esigenze, spesso ci supera, e di non ridurre le parole di Gesù con la domanda circa ciò di cui possiamo «crederlo capace». Egli ci ritiene capaci di grandi cose. Credere significa sottomettersi a questa grandezza e crescere passo passo verso di essa.
In questo, Maria viene presentata da Luca mol­to consapevolmente come colei che crede in modo esemplare: «Beata colei che ha creduto», le aveva det­to Elisabetta (Lc 1,45). Con l’annotazione, ripetuta due volte nel racconto dell’infanzia, secondo cui Ma­ria custodiva le parole nel suo cuore (cfr. Lc 2,19.51), Luca rimanda – come s’è detto – alla fonte, alla quale egli attinge per la sua narrazione. Al tempo stesso Maria appare non soltanto come la grande credente, ma come l’immagine della Chiesa, che custodisce la Parola nel suo cuore e la trasmette.
«Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso […] E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51s). Dopo il momento in cui aveva sfolgorato l’obbedien­za più grande nella quale viveva Gesù, Egli ritorna alla situazione normale della sua famiglia – nell’umil­tà della vita semplice e nell’obbedienza verso i suoi genitori terreni.
All’affermazione circa la crescita di Gesù in sa­pienza ed età, Luca aggiunge la formula tratta dal Primo Libro di Samuele, che la si riferisce appunto al giovane Samuele,( cfr. 2,26 ): cresceva in grazia ( benevolenza, gradimento ) davanti a Dio e agli uomini.
Con ciò, l’evangelista si rifà ancora una volta al colle­gamento tra la storia di Samuele e la storia dell’infan­zia di Gesù, collegamento apparso per la prima volta nel Magnificat, il canto di lode di Maria in occasione dell’incontro con Elisabetta. Questo inno di gioia e di lode di quel Dio che ama i piccoli e una nuova versio­ne della preghiera di gratitudine con la quale Anna, la madre di Samuele, che era senza figli, ringrazia per il dono del bambino con cui il Signore aveva posto fine alla sua sofferenza. Nella storia di Gesù -cosi ci dice l’evangelista con la sua citazione – la storia di Samue­le si ripete ad un livello più alto e in modo definitivo.
 E importante anche ciò che Luca dice sulla crescita di Gesù non solo in età, ma anche in sapienza. Da una parte, nella risposta del dodicenne si e reso evidente che Egli conosce il Padre – Dio – dal di dentro. Egli solo conosce Dio, non soltanto attraverso persone umane che lo testimoniano, ma Egli lo riconosce in se stesso. Come Figlio, Egli sta a tu per tu con il Pa­dre. Vive alla sua presenza. Lo vede. Giovanni dice che Egli è 1’Unico che «è nel seno del Padre» e perciò può rivelarlo (Gv 1,18). E proprio ciò che diventa evidente nella risposta del dodicenne: Egli è presso il Padre, vede le cose e gli uomini nella sua luce.
Tuttavia e anche vero che la sua sapienza cresce. In quanto uomo, Egli non vive in un’astratta onniscienza  ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere. Cosi appare qui, in modo molto chiaro, che Egli ha pensato ed imparato in maniera umana.
Diventa realmente chiaro che Egli è vero uomo e vero Dio, come s’esprime la fede della Chiesa. Il profondo intreccio tra l’una e l’altra dimensione, in ultima analisi, non lo possiamo definire. Rimane un mistero e, tuttavia, appare in modo molto concreto nella breve narrazione sul dodicenne – una narra­zione che cosi apre al tempo stesso la porta verso il tutto della sua figura, che poi ci viene raccontato dai Vangeli.
 
 
 

Con la coscienza e il cuore del Pastore vorrei consegnarvi i miei auguri che giungono a ciascuno di voi senza il timbro della formalità o dell’occasione.

ManzellaFratelli e figli carissimi amati dal Signore,
 E’ Natale. Celebriamo la silenziosa e rivoluzionaria irruzione di Dio nella storia.
E’ un evento che non si arresta nel tempo. Ha il sigillo dell’eternità.
Sono tanti i possibili sentimenti che possono fiorire nei nostri cuori: stupore, meraviglia, pace, dubbio, incredulità. L’elenco potrebbe ancora proseguire.
Altrettanto numerose è possibile che siano le domande che ognuno di noi può porsi di fronte al grande mistero dell’Incarnazione: Dio si fa uomo. Abbraccia la storia animato da una sola verità: consegnare a tutti il Suo Amore. Nessuno può toglierci la certezza che Dio ci ama.
 Il Natale che ci apprestiamo a celebrare è avvolto dalla “nebbia” della crisi.
Sono tempi duri, difficili, amari. Nelle nostre famiglie si lotta giorno per giorno per non vivere lo smarrimento che segue alla sfiducia nel domani.
La vita è appesantita dal crollo di una certezza preziosissima per dare identità al futuro: il lavoro. In tanti lo stanno perdendo. Numerosi lo cercano come l’acqua in un immenso deserto. Tantissimi nostri giovani non l’hanno mai avuto. E’ proprio vero: un uomo senza lavoro è come un corpo umano senza scheletro. Non può sostenersi. Non può camminare.
I nostri animi anche in questi giorni di festa sono “graffiati” da martellanti preoccupazioni. In tanti temono di non poter più riuscire a pagare la rata del mutuo, le varie bollette. C’è un freno alla tradizionale corsa ai regali. C’è un ritorno all’essenziale, alla sobrietà.
 Dinnanzi a una situazione storica tanto travagliata donare e formulare degli auguri diventa un impegno carico di responsabilità.
Gli auguri prima che siano stilati in una lettera, una email, un sms devono sedimentare nella coscienza dei nostri cuori. Ed io con la coscienza e il cuore del Pastore vorrei consegnarvi i miei auguri che giungono a ciascuno di voi senza il timbro della formalità o dell’occasione.
  Il mio augurio per questo Santo Natale e il nuovo anno è un invito a non far morire la Speranza.
Sperare non significa uscire o ignorare i problemi del nostro oggi, delle nostre famiglie.
Sperare è vedere la luce dove c’è il buio.
Sperare è diventare luce per gli altri senza rifugiarci o lasciarci condurre nei “nidi” delle illusioni, dei sogni, delle utopie o delle nostalgie dei tempi passati.
Sperare per noi cristiani, in modo del tutto particolare, è continuare a vedere l’irruzione di Dio nella storia, attorno a noi. Cristo nato nella mangiatoia di Betlemme continua a nascere in ogni uomo di buona volontà che non chiude gli occhi del suo cuore al buio del presente.
Per tutti oggi c’è una luce che si chiama speranza: è il domani, il saper guardare oltre, il condividere. E’ il non seguire le buie meteore della rassegnazione, della sfiducia, della disperazione.
 Cristo, il Povero Bambino Gesù è Luce! La Sua Nascita, il Dio-con-noi, è la Buona Novella. E’ la sorgente alla quale attingere per riuscire a celebrare il Natale non solo come un solenne ricordo di un evento straordinario di oltre due millenni fa, ma come la Luce che continua a irradiarsi nell’oggi consegnandoci le ragioni per Sperare nel Suo Amore e nell’uomo.
L’augurio di Santo Natale è l’augurio a seguire la “stella cometa” della “Santa Speranza”. Per iniziare o continuare il cammino di discepoli di Cristo, di figli della Speranza.
 Affettuosamente vi benedico.
  Cefalù, 23 Dicembre 2012

firma manz

Il Papa scrive per il Financial Times sul Natale

++ PAPA: OGGI SUO ARTICOLO SUL FINANCIAL TIMES ++
Il Papa ha scritto un articolo per il “Financial Times” rispondendo a una richiesta della redazione del giornale, che, dopo la pubblicazione del suo libro sulla infanzia di Gesù, ha chiesto a Benedetto XVI un commento in occasione del Natale. L’articolo si intitola:
“Tempo di impegno nel mondo per i cristiani”
Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse.
Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.
La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo”.
I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un “censimento del mondo intero”, voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.
Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.
La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?
Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.
E’ nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.
I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.
Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.
In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



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CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

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