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Don Domenico Sausa nuovo parroco di Campofelice di Roccella

Domenica prossima, XXV del T.O,  con la celebrazione Eucaristica presieduta dal nostro Vescovo Mon. Vincenzo Manzella, Don Domenico Sausa inizierà il suo ministero pastorale nella Parrocchia Santa Rosalia di Campofelice di Roccella, sede vacante dopo la nomina di Don Francesco Casamento a Direttore della Segreteria Regionale della Conferenza Episcopale Siciliana.
Don Domenico proviene dalla comunità di Montemaggiore Belsito che lo ha salutato così:
«Grazie per aver dispensato a piene mani il tuo ministero sacerdotale nella nostra comunità ,prima come coadiutore del non dimenticato padre Sclafani, poi come amministratore parrocchiale e dall’undici febbraio 2006 come parroco. Grazie dai nostri ammalati che hai seguito e visitato con sollecitudine e amore di pastore; grazie dai nostri bambini che hai seguito con amore di padre in tutte le fasi della loro vita sacramentale; grazie dai giovani che in te hanno trovato un punto di riferimento e che hai sempre spronato ad impegnarsi e a vivere la vita vera; grazie dalle confraternite che hai rivitalizzato e rilanciato facendoci capire che la loro importanza non è dovuta al loculo ma alla partecipazione attiva alla vita della chiesa; grazie dai catechisti di cui sei stato guida costante e maestro; grazie dai ministri straordinari che dal tuo esempio e dal tuo insegnamento hanno capito l’importanza dell’essere servitori dei fratelli non in nome proprio ma in nome della comunità; grazie dall’intera comunità montemaggiorese di cui più volte ti sei definito figlio …».
A Don Domenico  l’augurio di essere nella comunità di Campofelice, come diceva il compianto Don Angelino Mazzola,  colui che serve e lava i piedi a tutti, colui che arriva con le mani vuote, stimando unica ricchezza la comunità tutta.

Mons. Mariano Campo, una ricchezza per la nostra Chiesa di Cefalù

Mons. Mariano Campo  nasce a Caltavuturo, il 23 settembre 1892 e muore a Cefalù il 29 gennaio 1976.
 Ancora bambino, dopo gli studi elementari,  entra nel seminario di Cefalù dove gradualmente matura la sua chiamata al sacerdozio unita a una intensa passione letteraria e umanistica, attenta alle correnti culturali più vive del momento in Italia e in Europa.
La vocazione agli studi filosofici maturò in un secondo momento, grazie anche all’incontro con una figura di spicco del clero e della vivace cultura palermitana del primo Novecento: monsignor Onofrio Trippodo.
Nel 1911 è iscritto alla facoltà di Lettere dell’università di Palermo e sostiene regolarmente gli esami fino al 1913.   Successivamente Roma –  collegio Capranica – per conseguire la licenza in diritto canonico.
 Nel 1915 viene ordinato sacerdote.
Poi la grande guerra venne a intralciare i suoi studi.
Adempie agli obblighi militari: fu tenente cappellano meritandosi, tra l’altro, la medaglia di guerra perché ferito nella sua opera di assistenza e di conforto prestata sul Piave.
 A guerra finita ritorna a Cefalù come direttore spirituale del seminario.
Si laurea con Giovanni Alfredo Cesareo nel 1921, discutendo una tesi sullo studio del linguaggio.
  Nel 1929 il vescovo di Cefalù, Giovanni Pulvirenti (proprio quello che in seguito all’assassinio di Matteotti, ricorrendo poco dopo il 25° di regno di Vittorio Emanuele III aveva rifiutato di cantare il Te Deum di ringraziamento) gli consente  di trasferirsi a Milano per perfezionare gli studi presso la Cattolica.
 Dalla sede ambrosiana tra il 1929 e il 1939 effettua diversi e ripetuti spostamenti in Germania e in Austria dove dal 1933 e il 1934 strinse amicizia con il giurista Salvatore Riccobono e il germanista  Nicola Accolti Gil Vitale
Nel 1939 pubblica in due volumi lo studio Cristiano Wolff e il razionalismo precritico (Milano) base delle successive esplorazioni del pensiero di Kant.
Ha insegnato filosofia alla Cattolica, al liceo San Carlo, ed è stato libero docente di Storia della filosofia presso la facoltà di Lettere nonché lettore presso il Magistero.
 Dopo la guerra la pubblicazione “ Genesi del criticismo kantiano” (Varese, 1953). e dal 1954  docente straordinario a Trieste ove operò fino al 1967.
 Visse gli ultimi anni della sua vita a Cefalù .
 Fondamentali i suoi contributi agli studi filosofici attraverso alcune raccolte di saggi sulla genesi del criticismo kantiano, sulla filosofia moderna, sull’arte e sulla vita spirituale.
Copiosa la produzione in versi per lo più di ispirazione religiosa, raccolta nel volume “Frammento”.
 Nel Giugno 2010  è stato pubblicato l’epistolario che copre l’intero arco della sua vita con il fraterno amico di Isnello Mons. Mariano Caldarella, a cura di Paolo Grillenzoni ( Università del sacro Cuore di Milano – Dipartimento di  Filosofia della facoltà di Lettere e Filosofia ). L’evento è stato celebrato a Cefalù il 15 Giugno al Teatro comunale.
 L’opera – “Lettere a Caldarella”  – raccoglie  469 lettere, con varietà di toni e di colori nonché con ricchezza di allusioni e di incontri – da Gemelli a Olgiati, da Franceschini a Vanni Rovighi, da Guardini a von Hildebrand solo per ricordare qualche nome –  e compendia vivacemente quarant’anni di vita culturale.
 E’ un  epistolario tra Mons. Campo e Mons, Caldarella, Isnellese, ottimo e austero presbitero della chiesa Cefaludese  e Rettore del Seminario per moltissimi anni mai staccatosi dalla Sicilia .
 Le lettere sono state raccolte dopo la morte di Mons. Caldarella, dal nipote, Mons. Di Martino, discepolo di Mons. Campo, che le ha date per lo studio e per la pubblicazione al prof. Grillenzoni.
 Sono preziose perché  ci consentono, in certo qual senso, di avvicinarci all’animo ed ai sentimenti di mons. Campo .
Così lo ricordava, nell’evento tenutosi a Cefalù, Don Santino Di Gangi, arciprete di Castelbuono:
 “Ho avuto la fortuna di assisterLo anche negli ultimi momenti. … Alla domanda rivoltagli il giorno prima della morte: “monsignore, Lei chiederebbe al Signore di rimanere in terra per lavorare oppure vuole andare da Lui ?”   mons. Campo ha alzato le mani, ha aperto gli occhi – era in precoma – e chiaramente ha risposto: “Seguirti, Signore!”.  …. l’emblema di tutta la vita, “seguirti, Signore!”   è quello che è stato Mons. Campo per l’intera vita.
 
Di recente ( 28 Gennaio 2012 ) è stato ricordato anche su un articolo apparso sull’Osservatore Romano a cura di Raffaele Alessandrini che riporta lo stralcio di una delle lettere. Vi si racconta di aver tenuto una conferenza per i giovani della Federazione Universitaria Cattolica Italiana — siamo nel pieno della presidenza di Igino Righetti e della guida spirituale di don Giovanni Battista Montini.
 «Sono stato invece che a Trieste, a Firenze: capirai, con mia riluttanza e timore, obbligatovi dall’insistenza dell’Assistente generale Mons. Montini della F.u.c.i. Orecchio toscano, roccaforte di strapaese, zona d’influenza di Papini, cultura d’eccezione… Grazie a Dio, me la sono cavata discretamente. Non t’immaginare però chissà che cosa, che tempio aperto e beante di curiosità, che viso d’armi goliardico… No. Una cappella appartata e opportuna (ma una cappella artistica quella dei Pittori’ […]) e un gruppo modesto ma cortese e attento di universitari in gran parte fucini e fucine. Insomma ne sono sollevato con una gran riconoscenza verso il Signore, e con un’impressione cara di ammirazione verso giovani davvero buoni e generosi. Ne ho ricavato – per conto mio – un maggiore allargamento di vedute e di cuore, uno stimolo a superare quella mia stupida timidità d’orgoglio e di leziosità, una volontà di guardar meglio attorno a me nel cuore dei giovani e nella realtà moderna, e una disposizione più franca e tonizzata a lavorare ed agire»
 
Tutta la biblioteca di Mons. Campo è custodita nel Seminario di Cefalù, piccolo tesoro dove è possibile reperire volumi introvabili.

C'è ancora posto per l'arte del donare ?

( Da ” La Stampa ” 16 Settembre ” – Enzo Bianchi )
Esiste ancora il dono, oggi? In una società segnata da un accentuato individualismo, con i tratti di narcisismo, egoismo, egolatria che la caratterizzano, c’è ancora posto per l’arte del donare?
Ecco una domanda a mio avviso decisiva: nell’educazione, nella trasmissione alle nuove generazioni della sapienza accumulata, c’è attenzione al dono e all’azione del donare come atto autentico di umanizzazione? C’è la coscienza che il dono è la possibilità di innescare i rapporti reciproci tra umani, qualunque poi sia l’esito?
Da una lettura sommaria e superficiale si può concludere che oggi non c’è più posto per il dono ma solo per il mercato, lo scambio utilitaristico, addirittura possiamo dire che il dono è solo un modo per simulare gratuità e disinteresse là dove regna invece la legge del tornaconto. In un’epoca di abbondanza e di opulenza si può addirittura praticare l’atto del dono per comprare l’altro, per neutralizzarlo e togliergli la sua piena libertà.
Si può perfino usare il dono – pensate agli «aiuti umanitari» – per nascondere il male operante in una realtà che è la guerra. Questa ambiguità che pesa sul donare e può pervertirne il significato non è nuova: già nell’antichità si diceva «Timeo Danaos et dona ferentes», «Temo i Greci anche quando portano doni»… Ma c’è pure una forte banalizzazione del dono che viene depotenziato e stravolto anche se lo si chiama «carità»: oggi si «dona» con un sms una briciola a quelli che i mass media ci indicano come oggetti – lontani! – per i quali vale la pena provare emozioni…
Dei rischi e delle possibili perversioni del dono noi siamo avvertiti: il dono può essere rifiutato con atteggiamenti di violenza o nell’indifferenza distratta; il dono può essere ricevuto senza destare gratitudine; il dono può essere sperperato: donare, infatti, è azione che richiede di assumere un rischio. Ma il dono può anche essere pervertito, può diventare uno strumento di pressione che incide sul destinatario, può trasformarsi in strumento di controllo, può incatenare la libertà dell’altro invece di suscitarla. I cristiani sanno come nella storia perfino il dono di Dio, la grazia, abbia potuto e possa essere presentato come una cattura dell’uomo, un’azione di un Dio perverso, crudele, che incute paura e infonde sensi di colpa.
Situazione dunque disperata, la nostra oggi? No! Donare è un’arte che è sempre stata difficile: l’essere umano ne è capace perché è capace di rapporto con l’altro, ma resta vero che questo «donare se stessi» perché di questo si tratta, non solo di dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò che si è – richiede una convinzione profonda nei confronti dell’altro.
Donare significa per definizione consegnare un bene nelle mani di un altro senza ricevere in cambio alcunché. Bastano queste poche parole per distinguere il «donare» dal «dare», perché nel dare c’è la vendita, lo scambio, il prestito. Nel donare c’è un soggetto, il donatore, che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all’altro, indipendentemente dalla risposta di questo. Potrà darsi che il destinatario risponda al donatore e si inneschi un rapporto reciproco, ma può anche darsi che il dono non sia accolto o non susciti alcuna reazione di gratitudine.
Donare appare dunque un movimento asimmetrico che nasce da spontaneità e libertà. Perché? Possono essere molti i tentativi di risposta, ma io credo che il donare sia possibile perché l’uomo ha dentro di sé la capacità di compiere questa azione senza calcoli: è capax boni , è capax amoris , sa eccedere nel dare più di quanto sia tenuto a dare. È questa la grandezza della dignità della persona umana: sa dare se stesso e lo sa fare nella libertà! È l’ homo donator . Certo, c’è un rischio da assumere nell’atto del donare, ma questo rischio è assolutamente necessario per negare l’uomo autosufficiente, l’uomo autarchico. E se il dono non riceve ritorno, in ogni caso il donatore ha posto un gesto eversivo: attraverso il donare ha acceso una relazione non generata dallo scambio, dal contratto, dall’utilitarismo. Ha immesso una diastasi nelle relazioni, nei rapporti, fino a porre la possibilità della domanda sul debito «buono», cioè il «debito dell’amore» che ciascuno ha verso l’altro nella communitas . Sta scritto, infatti: «Non abbiate alcun debito verso gli altri se non quello dell’amore reciproco» (Rm 13,8).
La prima possibilità del dono avviene attraverso la parola: parola donata, data all’altro. Oggi siamo forse meno consapevoli di cosa significhi «dare la parola, donare la parola», ma il dono della parola è il sigillo sulla fiducia, sul credere negli altri. Senza fede negli altri non c’è cammino di umanizzazione, ma l’eloquenza della fiducia è proprio il donare la parola, che è promessa e accensione di responsabilità verso l’altro. Nelle più quotidiane e autentiche «storie d’amore», proprio perché l’incontro diventi storia, perché l’attimo diventi tempo, occorre la parola data, la promessa.
Ma dal dono della parola si deve tendere, attraverso una serie di atti di dono, al dono della vita. Questo dono estremo è possibile là dove un uomo o una donna hanno ragioni per cui vale la pena dare la vita, spendere la vita, dedicare tutta una vita a… Sono le stesse ragioni per cui vivono, per le quali la loro vita trova senso. Dare la propria vita è però l’operazione più difficile, che urta contro le nostre fibre e il nostro senso di autoconservazione. Noi siamo abitati dalla pulsione biologica a vivere, a ogni costo, anche senza gli altri e magari contro gli altri… Ma ecco la possibilità di dare noi stessi, la nostra vita per gli altri. Non c’è via intermedia.
La tentazione dell’uomo è quella di dare, piuttosto che se stesso, altre cose a lui estranee: è la logica dei sacrifici offerti a Dio… Ma quello non è un dono, ed è significativo che nel cristianesimo la sola offerta possibile sia quella di se stessi, del proprio corpo, della propria vita per gli altri. Si tratta di non sacrificare né gli altri né qualcosa, ma di dedicarsi, mettersi al servizio degli altri affermando la libertà, la giustizia, la vita piena. Ma cosa significa donare se stessi? Significa dare la propria presenza e il proprio tempo, impegnandoli nel servizio all’altro, chiunque sia, semplicemente perché è un uomo, una donna come me, un fratello, una sorella in umanità. Dare la propria presenza: volto contro volto, occhio contro occhio, mano nella mano, in una prossimità il cui linguaggio narra il dono all’altro.
Ma il dono all’altro – parola, gesto, dedizione, cura, presenza – è possibile solo quando si decide la prossimità, il farsi vicino all’altro, il coinvolgersi nella sua vita, il voler assumere una relazione con l’altro. Allora, ciò che era quasi impossibile e comunque difficile, faticoso, diviene quasi naturale perché c’è in noi, nelle nostre profondità la capacità del bene: questa è risvegliata, se non generata, proprio dalla prossimità, quando cessa l’astrazione, la distanza, e nasce la relazione.
C’è una parola di Gesù – non riportata nei Vangeli, ma ricordata dall’apostolo Paolo nel suo discorso a Mileto riferito negli Atti degli apostoli che è molto eloquente: «C’è più gioia nel donare che nel ricevere». Esperienza reale di chi sa farsi prossimo avvicinandosi all’altro perché l’altro, anche quando avesse il volto del lebbroso, se è visto faccia a faccia, chiede alle nostre viscere di soffrire insieme, chiede la compassione, chiede il dono della presenza e del tempo, chiede il dono di noi stessi. L’atto del donare provoca gioia al donatore perché è un atto concreto che lega il donatore al cosmo, all’altro: è un atto percepito come speranza di comunione. L’accumulazione che non conosce la logica del dono, invece, accresce sempre la dipendenza dalle cose e separa l’uomo dall’uomo, l’uomo dagli altri. Non c’è vera gioia senza gli altri, come è vero che non c’è speranza se non sperando insieme. Ma la speranza è frutto del donare, della condivisione, della solidarietà.
In questo donare e ricevere, proprio perché l’azione è oltre la giustizia che si nutre delle regole dell’eguaglianza, si fa spazio l’amore che è ispirato dalla sovrabbondanza, come dice Paul Ricoeur, appare cioè il « buon debito dell’amore». L’azione del dare la parola, del donare le cose espropriandole da se stessi, del dare la presenza e il tempo non chiede restituzione, ma richiede che l’iniziativa del dono sia proseguita, continuata. Il donare non può essere sottoposto alla speranza della restituzione, di un obbligo che da esso nasce, ma lancia una chiamata, desta una responsabilità, ispira il legame sociale. Il debito dell’amore regge la logica donativa alla quale è peculiare il carattere della gratuità, l’assenza della reciprocità. Com’è vera la parola di Gesù sull’arte del dono: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (Mt 6,3)! Ogni vita umana è istituita dal debito dell’amore, grazie al quale l’altro è colui del quale si è responsabili, una persona che, una volta incontrata, ha diritto a essere destinataria dell’amore in virtù della prossimità che si è creata.

Ricordando Don "Pino" Puglisi

A 56 anni, il 15 Settembre 1993, davanti al portone di casa, in piazza Anita Garibaldi, poco distante dalla sua chiesa di S. Gaetano il martirio nel sangue di Don Pino Puglisi, per il quale è in corso il processo di beatificazione.
  Il sorriso sempre sul suo volto, anche prima di morire, dinanzi alla pistola puntata sul viso.
Alle 18, a Palermo, in cattedrale, il cardinale di Palermo Paolo Romeo celebrerà una Messa in memoria alla presenza di monsignor Luciano Giovannetti, vescovo di Fiesole e presidente della Fondazione Giovanni Paolo II, che lo ha  definito, durante la visita in Sicilia, a Catania e a Siracusa, del novembre 1994  “Coraggioso testimone del Vangelo“.
E’ probabile che sarà annunziata la data della beatificazione.
Don Giuseppe nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta.
Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal Cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1967 è nominato) cappellano presso l’Istituto per orfani di lavoratori «Roosevelt» e vicario presso la parrocchia Maria SS.ma Assunta Valdesi. Sin da questi primi anni segue con attenzione i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo – segnato da una sanguinosa faida – dove rimane fino al 31 luglio 1978 riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono.
In questi anni segue anche le battaglie socia­li di un’altra zona della periferia orientale della città, lo «Scaricatore». Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del Seminano minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente direttore del Centro Diocesano Vocazioni.
 Nel 1983 diventa responsabile del Centro Regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro Diocesano Vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano. Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole.
Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal 78 al 93. Dal 23 aprile 1989 sino alla morte svolse il suo ministero sacerdotale presso la Casa Madonna dell’accoglienza dell’Opera Pia Card. E. Ruffini in favore di giovani donne e ragazze in difficoltà.
Nel 1992 assume l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Arcivescovile di Palermo. A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui Presenza del Vangelo, Azione Cattolica, Fuci, Equipe Notre Dame.
Il 29 settembre 1990 è nominato parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio. L’annunzio di Gesù Cristo desiderava incarnarlo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.
La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.
 Questa sua attività pastorale come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie ha costituito un movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati.
Lo ricordiamo con le sue parole:
 “Il discepolo di Cristo è un testimone.
La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio.
Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza.
Ricordate San Paolo: “Desidero ardentemente persino morire per essere con Cristo”.  Ecco, questo desiderio diventa desiderio di comunione che trascende persino la vita”.
 
 “E’ importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi.
Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste.
Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole.
E le parole devono essere confermate dai fatti”.
 
 Ognuno di noi sente dentro di sé una inclinazione, un carisma.
Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile.
Questa chiamata, questa vocazione è il segno dello Spirito Santo in noi.
Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita”.
 
 Nessun uomo è lontano dal Signore.
Il Signore ama la libertà, non impone il suo amore. Non forza il cuore di nessuno di noi.
Ogni cuore ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere.
Lui bussa e sta alla porta. Quando il cuore è pronto si aprirà.”.
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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