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Leggiamo, una pagina al giorno, il libro “ PREGARE LA PAROLA” di Enzo Bianchi. Per accedervi click sulla voce del menu “ PREGARE LA PAROLA” o sull’icona che scorre di seguito .

Vangelo Domeniche e Festività

Domenica delle palme.

PalmemNella liturgia della domenica delle Palme due sono i vangeli che l’assemblea cristiana ascolta: il racconto dell’entrata di Gesù in Gerusalemme (quest’anno Mt 21,1-11) e, nella messa, il racconto della passione del Signore, dal tradimento di Giuda fino alla sepoltura del crocifisso.
L’omelia normalmente è ispirata a questo secondo testo, anche se, per la sua lunghezza, non può essere commentato per intero nella celebrazione. Vorrei dunque semplicemente mettere in evidenza nel racconto della passione secondo Matteo – quello proclamato nell’annata A – alcuni tratti che si differenziano rispetto ai racconti di Marco, che pure ne è la fonte primaria, e di Luca.
Innanzitutto la passione che Gesù soffre fino alla morte non è né un destino né un caso nella sua vita. Matteo mette in evidenza come Gesù, seppur “consegnato”, dunque oggetto di un’azione determinata da parte di altri (Giuda, i sacerdoti, Pilato), resti sempre soggetto, protagonista del racconto: la passione è vissuta da Gesù nella libertà e per amore. Gesù sa, e lo dice, che “il suo tempo è vicino” (cf. Mt 26,18), ma è un tempo, un’ora alla quale potrebbe sottrarsi.
Invece va con decisione verso la passione, dispone che i suoi discepoli facciano i preparativi per la cena pasquale (cf. Mt 16,17-19) e poi la presiede (cf. Mt 26,20-29). Mentre sono a tavola, annuncia che sarà tradito, perché sa che uno dei Dodici è giunto a quella situazione di non-fiducia in lui; ma pur conoscendo l’identità del traditore, non lo denuncia, non lo ferma, non lo isola dagli altri. Non lo giudica né lo condanna, ma rinvia Giuda alla sua coscienza, alla sua responsabilità. “Tu l’hai detto” di essere il traditore, ponendomi la domanda: “Sono forse io?” (Mt 26,25).
Gesù sa e domina ogni situazione, ed eccolo spezzare e dare il pane, segno del suo corpo, ai Dodici; eccolo prendere il calice del vino, segno del suo sangue, e darlo loro da bere come “sangue dell’alleanza sparso per le moltitudini in remissione dei peccati” (Mt 26,28). Secondo Matteo l’eucaristia è appunto “in remissione dei peccati”, remissione che non si ottiene più attraverso i sacrifici al tempio, ma bevendo il sangue di Cristo.
L’eucaristia è offerta a tutti i discepoli: tutti peccatori, traditori come Giuda, rinnegatori come Pietro, increduli come gli altri. Gesù non ha escluso nessuno dalla sua cena pasquale: l’eucaristia è dunque la cena per i peccatori, la chiesa è un’assemblea di peccatori che nell’eucaristia sono perdonati e fatti santi. Sì, le moltitudini degli uomini segnati dal peccato, nel sangue di Gesù, amore offerto fino all’estremo, trovano il perdono dei loro peccati.
E dopo la cena pasquale – Matteo lo evidenzia particolarmente – Gesù prega. Al Getsemani Gesù è tutto preghiera (per ben cinque volte nei vv. 36-44 ritorna il verbo “pregare”), preghiera che vorrebbe fosse condivisa dai tre discepoli che egli porta con sé, Pietro, Giacomo e Giovanni. Ma nonostante tenti per tre volte di farli pregare con sé, ogni suo sforzo è inutile: i discepoli, anche quelli più vicini a Gesù, nella preghiera lo lasciano solo. E come potranno non lasciarlo solo nella passione?
Poco prima di essere arrestato Gesù annuncia il suo essere colpito come pastore e la conseguente dispersione del suo gregge (cf. Mt 26,31; Zc 13,7), ma anche il nuovo raduno in Galilea dopo la resurrezione (cf. Mt 26,32). E quando uno dei discepoli tenta di reagire con la violenza al suo arresto, per esprimere nuovamente la sua libertà di fronte a quella cattura vergognosa Gesù interroga l’autore di quel gesto sulla sua fede in lui: “Credi che io non possa pregare il Padre mio, che mi manderebbe subito più di dodici legioni di angeli?” (Mt 26,53). Occorre credere in Gesù, nelle sue parole, in ciò che fa o sceglie di non fare, perché una sola è la sua volontà: realizzare la volontà del Padre, volontà testimoniata dalle Scritture.
In tutto il processo Gesù continua a essere protagonista degli eventi, continua a essere il mite che non condanna né giudica quando è ingiuriato e ingiustamente giudicato. Al sommo sacerdote che lo scongiura di dire se egli è il Cristo, Gesù non svela né nasconde ma, come aveva fatto con Giuda, richiama chi lo interroga alla propria responsabilità: “Tu l’hai detto” (Mt 26,64). E così fa nell’incontro con Pilato, quando alla domanda: “Sei tu il re dei giudei?”, risponde: “Tu lo dici” (Mt 27,11), e poi ritorna al silenzio.
In questo racconto della passione secondo Matteo, dove mi pongo io, discepolo? Sono come uno dei Dodici i quali, abbandonato tutto per seguire Gesù (cf. Mt 4,20-22), giunta la passione, “tutti lo abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56)? Sono come Pietro, che ha seguito Gesù ma “per vedere come sarebbe andata a finire” (ideîn tò télos: Mt 26,58), e quindi, non coinvolto nella vita di Gesù, finisco per smettere di conoscerlo e per conoscere solo me stesso (cf. Mt 26,34-35.69-75)?
Sono come Giuda, che non ha più fiducia in Gesù, che non lo dichiara Kýrios, Signore, come invece fanno gli altri undici (cf. Mt 26,22), ma lo chiama “rabbi, maestro” (cf. Mt 26,25.49), anche quando Gesù lo chiama “amico” (Mt 26,50), amato da lui fino a quell’ora, amato anche nel momento in cui lo tradisce? Sarò capace di vedere nella passione di Gesù non solo una morte ignominiosa, ma la morte del giusto, l’evento cosmico della morte del Figlio di Dio (cf. Mt 27,51-53)? A me la responsabilità della risposta!
Enzo Bianchi
 

V Domenica di quaresima: Il Signore non risuscita i morti, ma dona ai vivi una vita capace di superare la morte.

_lazzaroLa Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù. ( E. Bianchi )
 … La risurrezione di Lazzaro come è prospettata da Giovanni, non può essere messa nel conto di tanti miracoli compiuti dal Signore così come vengono elencati dai Sinottici.
È vero che ognuno di questi miracoli è ad un tempo partecipazione alla morte e partecipazione alla risurrezione per anticipazione, ma è vero che qui lo è in una maniera fortissima, veramente tipica, e perciò Cristo vive qui la risurrezione perché vive la passione.[…]
 Cristo come uomo non può redimere dalla morte: lʼamore è totale e come fratello non ce la farebbe – soltanto come fratello – ma come Dio, essendo veramente lʼamore di Dio totale, spirituale e viscerale, investe tutta lʼumanità e allora, nella sua umanità, combatte contro le potenze e le vince.
Come uomo è impotente, e come Dio è vittorioso delle potenze che combattono contro di lui in quel momento e che gli vorrebbero impedire di realizzare la sua volontà. […]
Lʼamore di Dio che si canalizza in noi attraverso lʼumanità del Cristo con la quale prendiamo contatto attuale e pieno nel Sacramento, ci anticipa tutto lʼuniverso della Risurrezione. Ed è veramente il Sacramento la nostra vita eterna (G. Dossetti, Omelia nella V domenica di quaresima A, 19 marzo 1972: dalla viva voce, senza la revisione dellʼautore).
 Lo stupore per la creazione è morto in noi. Allora, di fronte alla promessa della Resurrezione diciamo: «Ma come è possibile questo?».
La possibilità si misura sullo Spirito di Dio, presso il quale niente è impossibile. «Credi in questo?» disse Gesù a Marta. Ecco il dialogo estremo, il centro focale di ogni nostra riflessione di credenti. «Credi in questo?».
Non è mica frequente che i credenti e i frequentatori delle chiese siano interpellati sulla Resurrezione. Per lo più essi vanno verso il futuro con le risorse immaginative di cui la natura è ricca.
Essi immaginano un paradiso proiettandovi tutto l’insieme dei desideri inappagati: se lo fabbricano (e i predicatori aiutano all’opera) in modo che sia una consolazione che si sorregge sull’assenza di spirito critico e sulla mancanza di confronto diretto con le contraddittorie parole che vengono dalla Scrittura. La quale, notate, mentre ci parla della vita non ce ne dà la descrizione.
La vita che non ha bisogno di aggettivi è la vita di fronte alla quale ogni altra vita è pallida analogia, riflesso insufficiente.
 Essa è la forza dello Spirito di Dio che si comunica a noi.
Allora la certezza della fede del credente nasce come certezza sufficiente a se stessa; non ha argomenti su cui appoggiarsi, perché anzi, dentro i confini del finito, dell’esperienza, tutto è contro questa certezza.
Eppure essa è una certezza che si impone: si annuncia e si testimonia.
Allora noi comprendiamo quale sia il compito del cristiano: come cristiani non abbiamo da fare altro che lottare per la vita.
Questa parola, filtrata attraverso le accezioni scientifiche e filosofiche, si frange di fronte all’immaginazione, perde ogni significato accettabile.
 Cos’è la vita?
Quando diciamo questa parola nella interiorità profonda, che è anteriore allo stesso concetto, sentiamo che essa raccoglie in sé una totalità: la vita è Dio.
Allora noi possiamo andare verso il futuro poggiandoci su questa certezza, perché essa non è consolatoria o marginale, in quanto – come ho spiegato prima – emerge da un impegno quotidiano a lottare per la vita, ad alzare tutte le pietre di tutti i sepolcri. Quest’amore indicibile per la liberazione dell’uomo, per la pace, la gioia, la fraternità è ciò che rende credibile l’ultimo annuncio.
Vorrei dire, noi dovremmo parlare poco di Resurrezione perché, come disse Gesù scendendo dal Tabor, «non raccontate queste cose fino a che io non sarò risorto».
E noi dobbiamo dire che queste cose non si possono raccontare se non quando saremo nel paese che Dio ci ha preparato.
C’è una specie di segreto arcano su questa verità.
Però essa si spende, si paga e si rivela in una specie di solidale, indissolubile amore per la vita dell’uomo, per la liberazione che possiamo compiere perché le ossa non siano aride e le speranze non siano finite, in una specie di passione per tutta la novità che può germogliare in un mondo che sembra spesso destinato alla dissoluzione della morte, all’odio – che è l’altra faccia dell’amore – o tutto ciò che significa morte, violenza, trama contro la vita… (Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – Vol. 1 – Anno A)
 Gesù viene a cambiare il concetto della vita e della morte.
Il Signore non risuscita i morti, ma dona ai vivi una vita capace di superare la morte.
La vita eterna non è più una speranza per il futuro, ma una certezza del presente.
…. Gesù chiede a Marta: «Credi questo?»” “E Marta risponde: «Sì, o Signore, io credo»”. Ora finalmente non sa, ma crede e dà adesione,  «Che tu sei il Cristo il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo»”.  [ c’era la scomunica per quanti riconoscevano in Gesù il messia]
  Fintanto che la comunità crede che Gesù sia un profeta, un inviato da Dio, gode di simpatia nel popolo, anche tra i capi. Ma, quando riconosce che Gesù è il messia, è lì che incominciano i problemi. 
 [ Dinanzi alla morte di Lazzaro ] le sorelle e i Giudei piangono ed è il pianto che significa disperazione per qualcosa che non c’è più.
Ebbene Gesù, vedendo tutto questo, qui traducono con ‘si commosse profondamente’ non si commosse; il verbo indica ‘sbuffare’; Gesù freme perché vede che la sua comunità la pensa esattamente come i suoi nemici, i Giudei. Non hanno ancora compreso la novità che lui già aveva detto, che la vita che lui comunica è capace di superare la morte.
Gesù già l’aveva detto: “Chi osserva la mia parola non morirà mai”, ma ancora non è stato capito. Allora, “Molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?»Cioè, siete voi che lo avete messo da qualche parte.
E Gesù non ‘scoppiò in pianto’, ma lacrimò.
L’evangelista distingue il pianto dei Giudei e delle sorelle, che è un pianto di disperazione, e il lacrimare di Gesù che è espressione di dolore.
Allora Gesù, sempre fremendo, si reca al sepolcro – era una grotta – “contro di essa era posta una pietra”. ...  
“Tolsero dunque la pietra e Gesù gridò a gran voce …”, lui si rivolge ad un vivo, “«Lazzaro, vieni fuori!»perché il regno dei morti non è il luogo per un discepolo di Gesù.
Chi ha dato adesione a Gesù, ha lo spirito, e lo spirito è vita. E là dove c’è la vita, non ci può essere la morte. ( A Maggi )
 “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11,43) è il grido che il Signore fa risuonare nel tempo per liberare non solo dalla prigionia della morte, bensì dalla prigionia del tempo vissuto nell’illusione e nella frustrazione. Chi si lascia risuscitare come Lazzaro dal Dio che gli viene incontro e piange sulla sua creatura mostrando quanto la ama (cf Gv 11,33-36), vive l’esperienza della liberazione dal non senso, dall’angoscia di un tempo chiuso all’orizzonte dell’eternità. ..
Dire a qualcuno: “Lazzaro, vieni fuori!” significa proporgli la gioia e la pace di gustare il presente come ora della venuta del Signore, attesa del suo ritorno per prenderci con Lui nella gloria. (C. M Martini )
[ Al momento resurrezione di Lazzaro] tre i verbi imperativi che Gesù comanda alla sua comunità e sono “togliere”, “sciogliere” e “lasciare”.
Il primo “togliete la pietra”: siete voi che avete messo questa pietra che impedisce la comunicazione tra i morti e i vivi.
 «Scioglietelo»”, sciogliendo il morto è la comunità che si scioglie dalla paura della morte.
 «Lasciatelo andare»”. Ma dove deve andare Lazzaro?  O meglio, dove deve andare il morto?  Deve continuare il cammino verso il Padre.
Il verbo ‘andare’ nel vangelo di Giovanni è usato per Gesù per indicare il suo itinerario verso il Padre.  Allora cosa vuol dire l’evangelista attraverso queste immagini?
Che è la comunità che deve liberarsi dall’idea della morte come fine della persona perché, fintanto che si piange una persona come morta, non la si può sperimentare come vivente.
Allora bisogna sciogliere il morto, lasciarlo andare verso il Padre, dove Lazzaro già è, vivo, vivente più che mai. ( A Maggi )
 
 
 

IV Domenica di quaresima: " se il mondo prescinde da Dio è tenebra".

cieco natoVorrei mettermi in ascolto di queste parole; vorrei tacere ed ascoltare altri che mi aiutassero a capirle e vivere.
Questi Vangeli Quaresimali hanno una potenza che si lega al mistero della Chiesa e al mistero del Battesimo.
Il nostro battesimo è risvegliato nell’intimo del nostro essere, fatto zampillare nella nostra anima è lo spirito nostro percosso dallo Spirito Santo e se ne sprigionano scintille che possono diventare fuoco.
Se noi ascoltassimo e vivessimo questo Vangelo (Samaritana, Cieco nato, Lazzaro) capiremmo che sono rieffusione dello Spirito che ci è stato dato.
Siamo riportati a quell’istante benedetto che ci ha visti, chiamati e accolti nel Battesimo di fuoco, e di questo mai renderemo grazie abbastanza. Sento che questo Vangelo mi accusa e sento il rischio di quella parola: il vostro peccato rimane ma sento anche che mi assolve; e se sono assolto è per pura grazia, di quella grazia che mi dà quando mi è stato detto: Io ti battezzo … e tutte le altre parole. Mettendoci in ascolto in questo abisso di luce, ascoltiamo solo alcune parole.
          Prima lettura v. 1 il Signore dice: perché ho visto per me tra i figli ecc. il Signore ha visto David e quando lo presenta dice che era rosso “dorato”, con gli occhi belli; non è per descriverlo o per dire delle qualità originalmente in David, ma è per dire che il Signore se ne era innamorato e vedendolo lo aveva fatto bello, aveva creato in David questa bellezza.
Collegando questo testo al Vangelo si vuole proclamare che il Cristo, sole sfolgorante, sorgente di ogni bellezza, il Padre lo ha fatto per sé.
Questo è vero anche per ciascuno di noi: il Padre ci ha visti tutti in un bagliore di riflessi dorati. Rileggessimo così 1Sm in Cristo nella Chiesa, in me e in ciascuno di noi.
         Poi la parola dell’Apostolo: ci richiama alla nostra condizione precedente: tenebre: uno solo prima era luce, tutti gli altri tenebra; quello solo di cui è detto: In principio era il Verbo, «Luce da Luce»; quello solo è stato visto luce, amato e prediletto; tutti gli altri erano tenebra.
Noi questa sera dobbiamo sentire in modo fortissimo, ciascuno per sé e poi per tutti questo, di essere solo tenebra; rispetto a Dio, anche se non ci fosse stato il peccato, il mondo è tenebra come dice in Gn 1.
Solo se il mondo si sottomette a Lui è buono; se si stima in sé non è più luce ma tenebra, perché la luce non è in esso, ma in Colui che è Luce fin dall’inizio. Se il mondo prescinde da Dio è tenebra.
È così; la possibilità di essere diversamente è solo da Lui solo nella misura in cui confessiamo e magnifichiamo Lui Luce nel Signore: appena non siamo più nel Signore e ci scostiamo, torniamo a essere tenebra, però se così, è l’infinita esultanza per aver scoperto questo nella Parola di Dio; ci deve far capire e qui ci accusa: camminare nella luce e il frutto della luce è in ogni bontà, giustizia, verità: le prendiamo queste tre parole come motto; le prendiamo come punto di esame ogni mattina nell’atto penitenziale: ogni gesto non buono che corrisponde al gesto più semplice di bontà ci recide dall’essere figli della Luce: giustizia ci dice di rispecchiare  in un rapporto sano quella di Dio. In verità dobbiamo dirci una cosa tagliente: non diciamoci né grandi né piccole bugie. Quando risentiremo queste parole (le letture domenicali sono un pane settimanale) … verità è la confessione di Gesù però ora esaminiamoci in queste piccole cose che ci fanno male.
Ci sarebbe un altro criterio riepilogativo: vagliando sempre ciò che piace al Signore: dobbiamo domandarci: ho fatto ciò che piace a Gesù, al bellissimo tra i figli dell’uomo? Queste non sono delle indicazioni morali perché partono dal considerare noi essere peccatori che incontrano il mistero di Gesù. Perché possiamo sentire e che si attualizzi in noi la parola: Sorgi ecc. Ecco il mistero che si spalanca dopo queste considerazioni. Questa parola diventa vera insieme? Lui la dice, ma noi la lasciamo operare in noi? Mi sentirò accusare se dirò: ho i conti pari, voi dite di vederci. Ma se mollo e lo confesso in pieno dinanzi a Te e ai fratelli questa parola me la dice e mi travolge. Ci lasceremmo dominare da questa parola dominante.
         E poi c’è il Vangelo. Che cosa si può dire? C’è la rivelazione spiegata, i testi precedenti sono parabola di questo di ciò che è detto qui: passeggiava, sempre passeggia è sempre bello anche quando è crocifisso. Vede questo uomo cieco, uomo cieco, tutti, dalla nascita e gli pongono una domanda: ha peccato? Domanda insidiosa e insufficiente; se la domanda è: è più peccatore, Gesù dice no; lui è peccatore come tutti – perché si manifestino ecc. e poi c’è la parola bellissima: Noi dobbiamo operare ecc..
Questa è la realtà continua, sempre vera, anche oggi: Viene la notte, quella forza travolgente del demonio che uccide e dell’opera dell’uomo che vuole il suicidio.
Di questo se ne accorgono anche gli uomini che non hanno le chiavi del mistero.
La notte è in noi, attorno a noi. E noi siamo povera gente, che con gli atti che facciamo, cerchiamo di impedire la notte. E allora comprendiamo le altre parole. Finché sono nel mondo ... La luce del mondo si è accesa qui.
Se non c’è la fede nella risurrezione dell’uomo Gesù, avvenuta qui, non si accende nessuna luce.
Non lasciamo prenderci troppo dal cieco per non perdere di vista Lui: tutte le altre sono contro figure.
Le battute del cieco nato sono rivelazione progressiva del mistero di Gesù.
Il cieco è guarito in modo progressivo: attraverso una serie di atti successivi: spalma, lo fa andare, deve tornare.
È una progressione per la vista e per la rivelazione del Cristo: un profeta, dice, ha detto bene ma quasi niente – fino a “credo” e si butta a terra e in quel momento lo vede – Ce ne ha messo per giungere a questo: discute, testimonia, è maledetto, lo rincontra e solo qui gli è chiesto: crediChi ti parla: è il Cristo Signore – Così è per noi: la meraviglia è questo: ci ha scelti dall’eternità e ci salva in un istante e nello stesso tempo è prolungato nel tempo in una crescita maggiore.
Se ci fissiamo in un dono e non accettiamo un dono successivo, cessiamo di credere perché c’è sempre un dono successivo perché nessun dono è Dio.
Io ho creduto di convertirmi 41 anni fa (per la canonizzazione si d. Bosco) e dopo ho pensato di convertirmi 50 volte, ma ora devo credere di convertirmi davanti a Lui; accettiamo questa progressione con tutto quello che ci strappa di più e con tutto quello che ci dona di più. ( Appunti omelia di D. Giuseppe Dossetti )
 

***

 Cliccando sull’immagine accanto
si potrà aprire il video di un’omelia
del Card. Martini sul cieco nato
www.chiesadicefalu.it

 

III Domenica di quaresima: "Ci sono molti non assetati di niente perché hanno ormai tirato le somme ed hanno accettato la vita così come viene"

Gesù e la samaritanaSono tre i personaggi femminili nel vangelo di Giovanni, ai quali Gesù si rivolge con l’appellativo “donna”, che significa “sposa, moglie” e rappresentano in qualche modo le spose di Dio.
 Il rapporto tra Dio e il suo popolo, attraverso i profeti, in particolare da Osea in poi, il profeta della Samaria, era raffigurato come quello di un matrimonio. Dio era lo sposo e il popolo la sua sposa.
In questo vangelo Gesù si rivolge chiamandola “donna”, cioè “sposa”, la madre alle nozze di Cana, la madre rappresenta il popolo che è stato sempre fedele a Dio, testimone della nuova alleanza che Gesù verrà a proporre, perché in quella vecchia non c’è vino, cioè manca l’amore.
Poi Gesù, nel brano che adesso vediamo, si rivolge con lo stesso appellativo “donna”, moglie, alla donna adultera, la sposa adultera, che lo sposo va a riconquistare non attraverso delle minacce o dei castighi, ma con un’offerta ancora più grande di amore. Infine, il terzo ed ultimo personaggio femminile al quale Gesù si rivolgerà chiamandola “donna” è Maria di Magdala che rappresenta la nuova comunità, la sposa del Signore.
 In questo brano c’è l’intenzione di Dio, che è Gesù, di recuperare la sposa adultera.
 Ecco perché nel versetto che purtroppo la liturgia ha eliminato da questa lettura (i versetti 3 e 4) si legge che “Gesù lasciò la Giudea, si diresse di nuovo verso la Galilea” e, scrive l’evangelista, “doveva perciò attraversare la Samaria”. Questo “doveva attraversare la Samaria”, non si deve a un itinerario geografico…., ma a motivi teologici.
 E’ lo sposo che va a recuperare la sposa adultera.
  L’evangelista ci presenta una donna samaritana, anonima.
Quando i personaggi sono anonimi significa che sono personaggi rappresentativi di una realtà che l’evangelista vuole presentare. E Gesù, indifferente ai conflitti della razza, della religione e del sesso, si rivolge a questa donna chiedendole da bere.  E’ una cosa che un uomo giudeo non avrebbe mai fatto, chiedere a una donna, e per di più ad una samaritana, una nemica, che è considerata impura.
Infatti la donna samaritana si meraviglia e chiede a Gesù: “«Come mai tu che sei giudei, chiedi da bere a me che sono donna»”, e lo sottolinea, un uomo non rivolge la parola a una donna, e poi questa è samaritana.
I samaritani, per la loro idolatria che adesso vedremo, erano considerati impuri, nemici di Dio e nemici di tutti gli uomini. E l’evangelista diplomaticamente sottolinea: “I giudei infatti non hanno rapporti con i samaritani”, ovvero se le davano di santa ragione tutte le volte che si trovavano.
Bene, Gesù ha chiesto un minimo segno di accoglienza, di ospitalità, per poi rispondere lui con il suo dono.
E “Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio»”.
 Lo sposo va a riconquistare la sposa adultera, non attraverso le minacce, ma con un’offerta ancora più grande del suo amore. E dice Gesù: “se tu conoscessi questo dono e colui che ti da da bere, tu stessa gli avresti chiesto acqua viva”, cioè l’acqua della sorgente.
Ed ecco che qui il dialogo si svolge tra due differenti termini che riguardano il luogo di quest’acqua. Dispiace che i traduttori non ne tengano conto.
Mentre la donna parla di pozzo, che significa un luogo dove c’è l’acqua, ma l’acqua non è viva e, soprattutto, esige lo sforzo dell’uomo, in questo caso della donna, per attingere l’acqua.
Il pozzo è l’immagine della legge e l’acqua è quella che da la vita. Mentre la donna parla di pozzo, cioè lei non conosce un dono gratuito, Gesù le parla di sorgente. Nella sorgente l’acqua è viva, l’acqua zampilla, e soprattutto non richiede nessuno sforzo da parte della donna che ha sete, se non quello di bere.
 Infatti Gesù le risponde: “«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete»”, immagine della legge.
 La legge non riesce a rispondere al desiderio che ogni uomo porta dentro. Perché, per la legge, l’uomo è sempre limitato, inadeguato, inadempiente.
Ma Gesù dichiara: “«Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno»”.
Il suo messaggio, la sua persona, è la risposta di Dio al desiderio di pienezza che ogni persona si porta dentro. E, aggiunge Gesù: “«Anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà in lui …»”, quindi non è più un’acqua esterna, ma un’acqua interiore “«… una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna»”.
 L’amore di Dio, che attraverso Gesù viene comunicato all’uomo, nella misura in cui l’uomo lo accoglie e lo trasmette agli altri, in questo dinamismo di un amore ricevuto e di un amore comunicato, realizza, fa crescere e matura la sua esistenza per sempre. Rende la vita indistruttibile.
Quindi non è un’esperienza di osservanza di una legge esterna all’uomo, ma l’esperienza di una forza interiore, perché Dio non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’amore.
A questo punto, stranamente, Gesù chiede alla donna di andare a chiamare il marito.  La risposta della donna è che non ha marito. E Gesù le fa notare che ha avuto cinque mariti.
Cosa significa questo?
 Abbiamo visto che la donna è anonima; i personaggi anonimi sono personaggi rappresentativi, quindi la donna rappresenta la Samaria, e cosa sono questi cinque mariti? Questa regione era stata popolata da coloni provenienti da altre nazioni i quali avevano portato le loro divinità. Per cui su cinque monti c’erano cinque templi a cinque divinità. Poi, sul monte Garizim, il tempio a Jahvè. Quindi adoravano Jahvè, ma insieme agli altri dei. E, nella lingua ebraica, “signore” e “marito” hanno lo stesso significato.
La donna capisce.
Capisce che quello che quello che ha chiamato Signore adesso è un profeta, e si richiama alla tradizione. “«I nostri padri hanno adorato su questo monte, voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare»”. Ha compreso il richiamo di Gesù ed è disposta a tornare al vero Dio. Solo che vuole sapere dove.
Ci sono tanti santuari, specialmente quello importante del Garizim, dove adorano il Dio di Israele, ma c’è anche quello di Gerusalemme . Allora lei è disposta a tornare a Dio, ma vuole sapere dove.
Ecco la novità importante che Gesù proclama a questa donna samaritana, la fine del tempio, la fine del culto.
“«Credimi o donna»”, le si rivolge chiamandola “donna”, sposa, “«Viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre».
Lei s’è richiamata ai padri, “i nostri padri”, Gesù la invita ad accogliere il Padre, lei pensava di andare in un luogo per offrire a Dio, ora è iniziata l’epoca in cui è Dio che si offre agli uomini, chiede di essere accolto per aumentare la loro capacità d’amore e renderli capaci di un amore generoso e incondizionato come il suo.
Ecco l’importante annunzio di Gesù: “«Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità»”.
Spirito e verità è un’espressione che indica l’amore fedele. L’unico culto che Dio chiede non parte dagli uomini verso Dio, ma dal Padre verso gli uomini. E’ la comunicazione del suo amore che l’uomo fa proprio, e l’unico culto che Dio gli chiede è il prolungamento di questo amore.  Spirito e verità significa un amore vero.
Quand’è che l’amore è vero?
Quando l’amore è fedele. Infatti … e qui c’è la traduzione della CEI … “«Infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano»”. E meglio andare al testo originale, dove l’evangelista dice: “«Infatti il Padre cerca tali adoratori»”
E’ tanta l’urgenza del Padre di manifestarsi agli uomini, che il Padre li cerca per realizzare il suo disegno d’amore.
Ed ecco l’espressione stupenda di Gesù: “«Dio è spirito»”; Spirito non è qualcosa di astratto, ma significa l’energia vitale creatrice. “«E quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità»”, in amore fedele. Quindi Dio è energia d’amore creatrice che chiede soltanto di essere accolto dall’uomo per prolungare il suo amore per tutta l’umanità.
 Questa è la novità apportata da Gesù. E’ la fine del tempio, perché non c’è più bisogno del tempio, e la fine del culto, che era una diminuzione dell’uomo nei confronti di Dio.
L’uomo doveva togliersi qualcosa per darla a Dio. Nel nuovo culto è Dio che si offre agli uomini perché con lui e come lui, si diano a tutta l’umanità. ( A. Maggi )

***

In questi brani l’emblema dell’impossibile è la roccia che fa scaturire l’acqua. Perché la roccia della realtà, questa roccia arida, faccia sgorgare l’acqua, ci vuole la fede.
Occorre avere questa fede, che è fede teologale in Dio ma anche fede umana.
Dobbiamo avere la fede che se vogliamo, se ci impegniamo, l’impossibile si fa possibile e la roccia ruvida e secca si apre e diventa vena d’acqua zampillante.
Questa fede dobbiamo comunicare!
Forse questo è il fervore che ci viene chiesto dai giovani assetati che preferiscono andarsene da questo mondo che è troppo disumano; forse è questo che ci chiedono. Certo noi abbiamo, piuttosto che la pretesa di essere salvatori dei disperati, la qualità di disperati che devono salvarsi.
È questo il vero modo di porsi in mezzo agli uomini senza la pretesa di essere salvatori del mondo: cerchiamo di salvarci, cerchiamo cioè di trovare acqua a questa sete o almeno di far nascere questa sete perché già la sete è nobiltà.
Ci sono molti non assetati di niente perché hanno ormai tirato le somme ed hanno accettato la vita così come viene.
 Come dicevo, la stupidità orale li sostiene, li sorregge.
Se non si uccidono è perché hanno sposato la mediocrità e la rassegnazione dell’esistente, ma, se scatta il momento autenticamente umano della non rassegnazione, entrano in pericolo.
Vorrei che ciascuno di noi si proponesse il piccolo compito di dare, in certi momenti e in certe circostanze, a chi è disperato una ragione di vita, di poter essere, in un altro momento, un alimento di speranza in colui che rischia di non averla più.
Questo ci sarà chiesto domani nel giudizio di Dio.
Allora, se ci mettiamo in questa situazione chi di voi può dirsi: io non ho niente da fare, non ho impegni da assolvere?
Ognuno di noi ha un suo orizzonte di contatti e di rapporti dove questa disperazione bussa, si fa viva, aspetta. Dio voglia che non restiamo indifferenti lasciando che l’assetato muoia di sete.

(Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – Vol. 1 – Anno A)

***

…… Guardate come noi moderni abbiamo fretta. Noi corriamo sempre, noi abbiamo poco tempo, ….. abbiamo l’ansia di guadagnar tempo, di abbreviare le distanze. Siamo degli affannati. C’è ancora su questi sentirsi frettolo­si qualcuno che ci aspetta e noi non vorremmo che ci aspettasse, perché quasi sembra di interrompere il nostro cammino.  
Questo qualcuno è .. .la nostra fede, è Cristo che ci dice: «Fermati un istante, pensa un momento, vieni da me ». « Fermati un momento ».  « Che cosa vuoi? ».  « Dammi da bere? ».
Cristo domanda ancora a noi qualche cosa. Cristo si è fatto mendicante davanti a noi.
Lo sentono specialmente le generazioni giovani che Cristo è esi­gente.
« Ma perché ti sei incontrato sul mio cammino e arresti l miei passi, ché io ho tanta ansia di arrivare e tu mi dici: dammi quello che sto cercando? ».    «lo ti aspettavo perché avevo bisogno di te, ti domandavo i tuoi anni, la tua giovinezza, ti domandavo qualche cosa: un posto nella tua vita, ti domandavo che tu rivolgessi a me i tuoi pensieri ed i tuoi passi. Dammi da bere.  Di quello che tu stai cercando su questa terra dammi qualche cosa, rivolgi a me i risultati della tua civiltà, i risultati della tua fati­ca, mettimi al vertice dei tuoi desideri ».
E voi sentite la risposta della Samaritana, di questo colloquio simbolico fra l’umanità e Cristo, la nostra risposta di uomini moder­ni che hanno il coraggio di dire a Cristo: «Ma che c’entri Tu? Sia­mo degli estranei, non abbiamo più dialogo da combinare, noi ab­biamo la nostra vita e Tu sei l’uomo di ieri, Tu sei il passato, Tu sei un altro mondo, Tu sei un sogno che non mi interessa più ».
Noi rispondiamo istintivamente con un no al Signore. Sarà tante volte un no temperato di qualche indulgenza, di qual­che tolleranza: si viene ancora in chiesa, si resta ancora cristiani di nome, si viene … quando si nasce, quando ci si sposa, quando si fa un funerale, quando si fa una festa. La re­ligione non resta altro che una decorazione, qualcosa di superfluo, tanto per integrare il panorama della vita, ma non ci interessa, c’è una distanza.
E allora badate, ed è la mia voce che quest’ oggi fa eco a quella di Cristo e ancora arresta i vostri passi … e viene a di­re così: «Uomo moderno se tu sapessi chi è quel Cristo a cui vai rifiutando il dono delle tue cose, della tua vita”  …  È il creatore del cielo e della terra, dei tuoi poveri doni e, se ti chiede, non è per renderti povero e per mortificarti, ma per arric­chirti ancora di più, è per darti qualcosa di più grande e di più corrispondente, di più proporzionato, di più adeguato ai tuoi desideri.    Se noi sapessimo veramente che cosa è il cristianesimo … noi non avremmo l’impressione che Cristo sia il preten­dente che viene a rubarci il tempo e le nostre cose ed a piegare i nostri desideri verso di Lui, ma capiremmo che Cristo veramente …  è il centro della esistenza, è l’indispensabile, …  Chi fonda la sua vita su Cristo la troverà. Cristo è la pietra su cui si deve costruire. Chi rigetta questa pietra franerà …
 Ricordate che Cristo è il Salvatore, ricordate che Cristo può da­re soltanto Lui l’ acqua che sazia, …. Aprite le vostre anime e siate ambiziosi di desiderare molto .. (Paolo VI Dall’Omelia in S. Stefano di Tradate, 13-03-60)

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