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Vangelo Domeniche e Festività

VI Domenica del T.O. – La morale del Vangelo è la morale del cuore.

Disc Mont…Il Vangelo che abbiamo ascoltato è una silloge di detti del Signore fra loro molto diversi ma uniti da un tema costante, che è la sostituzione della morale della coscienza alla morale della legge: «fu detto ma io vi dico».
Gesù allude alla morale dei farisei, che Egli condanna enumerando una serie di precetti che riguardavano tutto il comportamento esterno; una morale esteriore, legale a cui non sempre corrispondeva la spontaneità interiore.
La parola coscienza non è presente nella Scrittura se non eccezionalmente.
La parola che ritorna sempre è «cuore», termine che non ha una accezione riferibile al mondo dei sentimenti in maniera preminente, ma indica il centro dell’essere, il punto di unificazione delle molte facoltà dello spirito umano.
La morale del Vangelo è la morale del cuore.
 E ciò che viene dal di dentro che contamina l’uomo, non ciò che viene dal di fuori. Non che Gesù disprezzi o insinui il disprezzo per le leggi contenute nei codici umani. Solo che queste leggi contengono in sé, per necessità, una ingiustizia: fissano cioè, nella oggettività della norma quello che dovrebbe essere lo scopo vivo, dinamico, perseguito dall’ azione umana.
Se noi osserviamo tutte le regole – supponiamolo – che riguardano i nostri rapporti con Dio e con il prossimo, potremmo farlo senza che nemmeno una scintilla di amore si alzi dal nostro profondo. Anzi, spesso avviene che gli uomini molto rigidi nell’osservare le leggi siano incapaci di qualsiasi atto di amore: sembra quasi che ci sia una inconciliabilità fra l’etica dell’amore e l’etica della legge. La sperimentiamo anche noi, normalmente.
Nel momento in cui ci ispira questo impeto di dedizione universale, le leggi a cui siamo stati fedeli ci sembrano come dei reticolati intollerabili.
La legge è posta – per così dire – per la nostra debolezza.
Essa delimita gli ambiti negativi del nostro agire, non ha nessuna forza inventiva e creativa.
La morale evangelica è la morale della coscienza orientata verso un valore che è l’uomo.
 Questo è l’asse a cui costantemente siamo ricondotti, meditando la Sacra Scrittura.
 Qui, in questa antologia del brano evangelico, c’è un momento forte che vorrei assumere – per così dire – a valore di simbolo globale. E il momento in cui ci viene detto che quando si va ad offrire sull’ altare qualcosa a Dio e ci viene in mente che fuori c’è un fratello che ha qualche cosa contro di noi, dobbiamo abbandonare la nostra offerta e andare a riconciliarci con lui.
La morale evangelica si oppone alla morale del tempio, alla morale del rito, del sacrificio, del culto, tutte cose che potrebbero – e difatti così è avvenuto sul piano storico – offrire un alibi alla coscienza dell’uomo nel suo venir meno al principale precetto dell’amore, che è quello che riguarda il prossimo, e non il prossimo legato a noi da vincoli di amicizia o di riconoscenza, ma il prossimo che ha verso di noi qualcosa da dire.
Dobbiamo riconciliarci con questo prossimo.
Siccome fra i miliardi di abitanti del pianeta una buona metà ha da chiederci almeno conto del perché non sono nutriti abbastanza, del perché noi siamo nella sicurezza e loro invece sono sempre ai limiti della sopravvivenza, ecco che allora sui nostri santuari scende una nube di illegittimità, una specie di segno di diniego da parte di Dio che non vuole sacrifici ma l’amore. Da qui una tendenza ampia e sempre più prepotente, all’interno della coscienza delle comunità di fede, che disertano sempre di più le chiese per andare sempre di più nei luoghi del conflitto umano.
A volte nelle statistiche si legge che i frequentatori delle chiese diminuiscono e se ne deduce chissà quale conseguenza tragica per il cristianesimo.
Vorrei dire che un simile cambiamento potrebbe essere a tutto vantaggio della fedeltà al Vangelo, il cui precetto fondamentale non è la frequenza al tempio, di cui anzi si prevede la distruzione, ma la dedizione all’uomo.
Il vero tempio di Dio è l’uomo vivente, non l’edificio di pietra; il vero culto a Dio è l’amore per il prossimo bisognoso.

(Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 1)

 

V Domenica del T.O – Metterci dinanzi al mondo come luce, collocarci dentro la storia degli uomini come sale che le dà sapore.

Gesù e i discepoliIl brano evangelico è costituito da due detti illustrati da due parabole, una costruzione redazionale ad arte a voler dire che il mandato ricevutodi essere sale della terra e luce agli uomini è soggetto, come dicono le parabole, alla possibilità del fallimento.
Non a caso, infatti, i due loghia sono stati posti da Matteo tra le beatitudini e il seguito del discorso della montagna, a rimarcare che sale e luce lo sono quei discepoli del tempo di Gesù e di ogni epoca, perseguitato o meno, fedeli allʼinsegnamento ricevuto nel beati voi e a quello della giustizia interiore.
 Voi siete il sale della terra.
Il sale, che rende i cibi saporosi e li conserva, nella tradizione giudaica diventa immagine della Legge, capace di rendere gustosa la vita e di conservarla.
Nellʼosservare la parola data e lʼalleanza con Dio, Israele è chiamato a vivere la propria sacerdotalità in mezzo alle nazioni: un compito che può essere frustrato quando i discepoli diventano sale insipido, stolti, disattendendo lʼinsegnamento ricevuto. In questo caso, al pari di alcuni scribi e farisei definiti stolti e ciechi (Mt 23, 6-7) e al pari del servo che non ha fatto fruttare il talento, i discepoli diventano già da adesso da gettare, cosa senza valore e significato alcuno né per Iddio né per gli uomini.
Voi siete la luce del mondo
In Gesù-luce è data una parola capace di rendere trasparente la persona umana e luminoso il suo buon operare. Per questa ragione il discepolo fedele a dio e alla sua giustizia è posto in alto, simile a città splendente sul monte (e il pensiero corre a Gerusalemme-luce) e simile a lucerna accesa che dallʼalto del lucerniere illumina tutti coloro che abitano la stanza unica della casa. Punto di riferimento che muove gli uomini a rendere gloria a Dio, il Padre da cui proviene ogni buon operare. (Giancarlo Maria Bruni).

***

….. Gesù dice che il sale non può perdere il sapore: e questa è una cosa importante! La prima cosa che dice è che non può perdere il sapore non soltanto che non deve, ma che non può perdere il sapore! Come la città posta sul monte, non può nascondersi! Come la lucerna fa luce, prima di tutto, per natura sua, e poi evidentemente non deve … deve cioè conservarsi nella realtà in cui è stata posta, deve restare.
È un discorso che è analogo a quello che fa continuamente il Vangelo di Giovanni: «restate in me». Noi siamo nel Cristo, dobbiamo rimanere nel Cristo; noi siamo risorti, dobbiamo vivere da risorti: il solito grande tema di tutto il Nuovo Testamento: siamo, una realtà che ci è donata e nella quale dobbiamo rimanere! Tutto è dato, e tutto è da realizzarsi, quello che è dato, nel nostro conservare il dono, puro dono di Dio! Restare. E restare per manifestarsi: restando ci si manifesta; ci si manifesta per tutto il mondo; si manifesta la Gloria di Dio in noi, adempiendo in questo modo alla nostra missione salvifica. (omelia di d. Umberto Neri, S. Antonio, 6.2.1972)

***

Per alcune domeniche il vangelo è estratto dal lungo “discorso della montagna” (cf. Mt 5,1-7,29), dove l’evangelista Matteo ha raggruppato diverse parole di Gesù, parole assai aperte a interpretazioni plurali.
Le prime parole di questo discorso sono le beatitudini (cf. Mt 5,1-12), parole programmatiche, di sostegno e consolazione ai discepoli: gli uomini e le donne che vivono le beatitudini, e dunque mostrano che Dio regna su di loro, che il regno di Dio in loro è venuto, possono anche essere significativi per quanti non sono discepoli di Gesù, per l’umanità tutta.
Per esprimere questa significatività Gesù ricorre a due metafore che ancora oggi non cessano di intrigare i cristiani, di spingerli a un’attualizzazione attraverso varie domande, che discendono da quella essenziale: come cristiani, cosa siamo in mezzo agli altri uomini e donne?
La prima immagine è quella del sale: “Voi siete il sale della terra”. Perché il sale? Il sale dà sapore, gusto; il sale conserva gli alimenti, ne impedisce la decomposizione; infine, il sale fertilizza la terra. Ecco perché Gesù dice ai discepoli: “Voi potete essere il gusto della vita, la qualità della convivenza e la fecondità della storia. Se siete autentici miei discepoli, lo sarete!”.
Parole, queste, che mi fanno arrossire, perché questo compito è grande e lo si può svolgere solo per grazia e a caro prezzo. Eppure essere sale fa parte della vocazione cristiana: dare vita, portare fecondità, essere nelle storia una forza che conserva il mondo.
Il compito è tanto grande quanto è poca la visibilità: il sale, infatti, è minuscolo e, messo nei cibi, scompare. Si dissolve in gusto e opera la conservazione contro ogni forza distruttiva. Certo – dice Gesù – “se il sale non sala più, se perde il suo sapore, non serve a nulla, e può essere buttato via e calpestato da tutti”. Snaturato nella sua qualità, non può più diventare sale.
I cristiani sono dunque ammoniti in modo eloquente: devono conservare il sale, la fede-fiducia in Dio e negli uomini, e allora realizzeranno la loro vocazione; se invece sono come gli altri, se si piegano al “così fan tutti”, allora sono insignificanti. Non è il peso o la grandezza del sale che conta, ma la sua capacità di dare gusto e salare.
La seconda metafora, nella stessa forma della prima, proclama: “Voi siete la luce del mondo”. Se il sale si doveva nascondere e dissolvere nella pasta per realizzare la sua funzione, la luce invece appare innanzitutto visibile, portatrice di vita piena e di salvezza.
Per questo il salmista confessava che la sua luce era il Signore: “Il Signore è mia luce e mia salvezza” (Sal 27,1), e questa luce del Signore si doveva riverberare su Gerusalemme, illuminarla fino a farla diventare luce e attrazione per tutte le genti (cf. Is 60,1-4).
Gesù vede la sua comunità autentica e fedele come luce – meglio, come riflesso della sua luce, perché lui è “la luce del mondo” (Gv 8,12) – e come una città ben visibile su un monte, non nascosta in una valle. Questa luce, la cui sola sorgente è Gesù Cristo, deve brillare nei suoi discepoli, e gli uomini devono accorgersene, scrutarla e compiacersi di essa.
Nessuna ostentazione trionfalista, nessun atteggiamento di imposizione, perché occorre vigilare sempre per combattere contro la tentazione di “praticare la giustizia davanti agli uomini al fine di essere ammirati da loro” (Mt 6,1). D’altra parte, nessun tentativo di nascondimento, nessuna omertà, nessuna ideologia di presenza minimalista: né ideologia del nascondimento, né ideologia della presenza visibile.
Se i cristiani vivono il Vangelo, se compiono azioni conformi al Vangelo e lo fanno con lo stile di Gesù, rendendo le loro opere non solo buone ma anche belle, allora gli uomini si porranno domande e riconosceranno il peso di Dio nella vita dei cristiani, ovvero daranno gloria al Padre che è nei cieli. Se Cristo è il sole, i cristiani – dice l’Apostolo Paolo – possono essere “astri che brillano di luce nel mondo” (Fil 2,15).
Ma su queste due metafore occorre un grande discernimento ecclesiale, per tenerle entrambe davanti agli occhi. A volte la chiesa è una piccola realtà presente come minoranza tra gli uomini non cristiani, quasi scompare, quasi non si vede più, eppure c’è ed è viva: c’è solo un po’ di cenere sopra la brace… A volte la chiesa, comunità piccola o grande, appare capace di eloquenza e di annuncio nel mondo.
È una città posta sul monte, una fonte di luce che, senza essere arrogante né autosufficiente, fa dono agli uomini e alle donne della sapienza (sale) e del senso (luce) che ha trovato nel Vangelo del Signore Gesù Cristo.(E. Bianchi)

***

……  È giusto che ci domandiamo in che modo possiamo ancora metterci dinanzi al mondo come luce, collocarci dentro la storia degli uomini come sale che le dà sapore.
La contraddizione fra le parole e i fatti, tra il messaggio creduto e la vita vissuta è così vasta che quasi ci prende lo scoraggiamento.
Ma penso che la fede consista anche in questa lotta contro le proprie debolezze e contro la tentazione di perdersi d’animo dinanzi a questa ostinata contraddizione tra la vita vissuta dai cristiani (e, nel suo insieme, dalla Chiesa) e la Parola del Signore.
Il nostro itinerario penitenziale consiste in questo: nel riprendere, senza veli, coscienza della ragione di questa contraddizione e nel ricercare i modi conformi al tempo perché si adempia la Parola del Signore, che ci vuole sale della terra e lampada accesa che fa luce a tutti.
Dobbiamo, anche oggi, guardarci con attenzione dalle tentazioni denunciate dai profeti e dal Vangelo. La prima di esse è un ripiegamento spiritualistico nella vita culturale, nella vita liturgica.
Abbiamo, nella nostra educazione, sentito con tanta insistenza ripeterci di stare attenti al mondo, di isolarci dal mondo, di dare importanza alla preghiera, di non venir meno alle pratiche di pietà stabilite dalla Chiesa, che, per quanto facciamo sforzi per liberarci dal peso di questa pedagogia, gli effetti li sentiamo sempre in noi.
Ci sentiamo cristiani nella misura in cui possiamo raccoglierci e ripetere con animo concorde la stessa professione di fede. Ma in realtà questo è il nostro errore fondamentale: perché la luce di Dio viene dopo le opere di giustizia; se non ci sono le opre di giustizia la gloria di Dio che contempliamo non è altro che una proiezione delle nostre presunzioni.
 Noi preghiamo Dio e Dio non ci risponde, e allora inventiamo la domanda e la risposta. Siamo chiusi dentro la nostra alienazione e cerchiamo di superare l’evidente contraddizione tra il corso della storia e le nostre prospettive, attribuendo la responsabilità del fallimento ai peccati del mondo, alle ideologie avversarie, e così ristabiliamo la nostra buona coscienza. Evitiamo così di far penetrare la spada del giudizio di Dio fino alla radice. Le nostre preghiere non significano nulla.
La preghiera che fa appello a Dio, che scuote il cuore di Dio è quella che promana dalle opere di giustizia. Se noi non spezziamo il pane all’affamato, o – più radicalmente, secondo la forte parola di Isaia – se non eliminiamo l’oppressione che è in mezzo a noi, non possiamo dire nessuna parola che non porti in sé il segno dell’alienazione. Mai come quando ci misuriamo con la Parola di Dio sentiamo che esiste un peccato che ci trascende, che ha fatto corpo, che è come il sottosuolo in cui si immergono le nostre radici.
Le nostre buone intenzioni urtano contro una specie di necessità immanente che le piega e le annulla. Ecco perché ci può venire la tentazione di ritirarci nel deserto, di sfuggire in qualche immaginaria Tebaide per ritrovare uno spazio di esistenza gestito da noi, senza connessioni con i meccanismi oggettivi della necessità… (Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – Vol 1 – anno A)
 
 
 

Presentazione al tempio di Gesù – Il Signore entra nel Tempio per la prima volta: è il Dio del Tempio, il Dio la cui maestà riempiva tutto il Tempio, eppure entra con meravigliosa semplicità, umiltà.

presentazioneNonostante la straordinaria esperienza dello Spirito che i genitori di Gesù hanno avuto, in particolare sua madre, essi sono ancora ancorati alla tradizione del popolo che vede il rapporto con Dio basato sull’ osservanza,sull’obbedienza della sua legge.
 L’evangelista in questo episodio vuole anticipare, raffigurare, la difficoltà che avrà Gesù nel proporre al suo Popolo,una diversa relazione con Dio, non più basata sull’obbedienza alle sue leggi, ma sull’ accoglienza del suo Spirito, del suo amore.
Ecco allora che l’evangelista, nell’episodio conosciuto come la presentazione di Gesù al Tempio, presenta due comitive contrarie.
Una raffigurata dai genitori di Gesù che portano il bambino per adempiere un inutile rito, perché essi intendono fare figlio di Abramo quello colui che è invece è già Figlio di Dio. E dall’altra parte,l’uomo dello Spirito, Simeone, intenzionato ad impedire l’inutile rito.
 I genitori vanno per la purificazione della madre – perché la nascita di un bambino rendeva impura la madre e quindi la donna doveva purificarsi attraverso un’offerta, e qui è l’offerta dei più poveri, di una coppia di tortore –  e soprattutto per pagare il riscatto del figlio.  Ogni primogenito maschio che nasceva, infatti, il Signore lo voleva per sé.
 Se i genitori lo volevano,dovevano pagargli l’equivalente di venti giornate di lavoro, cioè cinque sicli.
 Ebbene l’evangelista, mentre Maria e Giuseppe con il bambino si dirigono verso il Tempio per compiere questo rito, ci presenta con sorpresa l’evangelista adopera un’espressione che indica la meraviglia Ecco,a Gerusalemme c’è un uomo di nome Simeone, Simeone (che significa “il Signore è ascoltato”), l’uomo dello Spirito, che tenta di impedire l’inutile rito.
 Infatti Simeone prende il bambino tra le braccia mentre i genitori volevano adempiere ad ogni cosa della legge e pronuncia una profezia che lascia sconcertati i genitori.
Infatti di  Gesù dice che  sarà gloria del suo popolo, Israele”, e questo Maria e Giuseppe lo sapevano, era il compito del Messia, del Figlio di Dio, ma,la novità,” luce per rivelarti alle genti” , cioè ai popoli pagani.
L’amore di Dio, annunzia Simeone, è universale, non è più per un popolo – il popolo eletto -, ma è per tutta l’umanità.
Pertanto i nemici di Israele, cioè i pagani, non dovranno più essere – come essi credevano,come la tradizione presentava – essere dominati,ma accolti da fratelli.
 Poi Simeone,a Maria dà una benedizione, che finisce in una maniera abbastanza sinistra. Dice che Gesù – e lo raffigura a quello che poi Luca più avanti nel suo vangelo presenterà come “una pietra”, una pietra che può essere angolare, che serve per la costruzione, o una pietra che fa inciampare le persone, le fa sfracellare-  “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israelee, come segno di contraddizione, “anche a te” ,quindi si rivolge a Maria, la madre di Gesù,”una spada trafiggerà l’anima”, cioè la tua vita.
 Qual è il significato di questa spada che trafigge l’intera vita di Maria?
 La spada, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, è figura della Parola di Dio, che è efficace come una spada, dirà l’autore della lettera agli Ebrei,che “la parola di Dio è come una spada che arriva fino alle giunture e alle midolla e al punto di divisione dell’anima e dello Spirito”.
 Quindi Simeone a Maria, che raffigura il popolo di Israele, le annuncia che la parola di questo Figlio per lei sarà come una spada che la costringerà a fare delle scelte, e delle scelte molto dolorose.
 Infatti, nel prossimo episodio che l’evangelista presenterà, quello del ritrovamento di Gesù nel Tempio, farà sì che le prime e uniche parole che Gesù rivolgerà alla madre,saranno parole di rimprovero.
 E’ ancora lungo il cammino di Maria.
 Maria dovrà comprendere che da madre del Figlio,dovrà trasformarsi in discepola.
Un cammino lungo e doloroso, come una spada che trafigge l’anima.  ( A. Maggi )

***

«Questo testo insiste punto per punto che si adempie tutto ciò che era nella legge. Stamane mi colpisce che la presenza di Gesù è lì dove vi sono questi umili adempimenti.
Nel compiere i suoi genitori una cosa da niente (offrire due colombi) c’è presente Dio.
In questo loro compiere una cosa minima si manifesta la grandezza di Dio.
Inoltre essi offrono Gesù a quanti lo Spirito lo dà.
Nel Tempio Simeone profetizza colui che è venuto.
Gesù è presente ed è comunicato in questa azione minima fatta con spirito semplice e di fede.
Il Signore chiede sempre delle cose minime che sono segno del nostro obbedire e della nostra appartenenza a Lui. Adamo era padrone di tutto il giardino, solo un albero [gli era proibito].
È nell’introdurre nel Tempio Gesù per fare ciò che è prescritto che il Signore si dona» (d. G. Dossetti, appunti di omelia, Gerico 2.2.1974).

***

 «Quello che fa Maria è immenso. Dicono i padri che tutto l’universo è creato per lei perché è per lei che tutto l’universo offre il Primogenito. Ha una portata immensa ciò che fa Maria. E Simeone, dicendogli: “la tua vita sarà trapassata dalla spada”, le rivela nello Spirito la portata del gesto da lei fatto» (sr. Maria Gallo, appunti di omelia, Gerico 2.2.1974).

 ***

… Il Signore entra nel Tempio per la prima volta: è il Dio del Tempio, il Dio la cui maestà riempiva tutto il Tempio, eppure entra con meravigliosa semplicità, umiltà.
Questo anticipa il nostro mistero: umiliazione sotto il giogo del peccato, la paura della morte che è la massima umiliazione dell’uomo (e il demonio ci spaventa perché è il signore della morte); ma il Signore della vita entra nel Tempio, e sotto queste apparenze umilissime si nasconde un grande peso di gloria.
Simeone viene a interpretare il fatto alla luce dei profeti, e in particolare dell’ultimo profeta: purificazione dell’umanità e possibilità di offrire un sacrificio secondo giustizia. Redenzione del sacrificio: resisterà a tutte le profanazioni degli uomini (anche quella dell’eucaristia); questo sacrificio è restaurato, non è più profanabile: Dio si è scelto il cuore del Figlio e poi cuori in cui il sacrificio è intangibile. Negli spessori di questo evento c’è questa affermazione della intangibilità della Eucaristia: la cattiveria umana non può più raggiungerla, si denuncia nelle profanazioni ma è già tutta scontata. Questo sacrificio è del tutto al coperto: non è più vano, è al di sopra, raggiunge sempre la sua infallibile efficacia.
Il Signore viene nel suo Tempio, consacra, libera da ogni infermità e dal timore della morte. Io ho paura della morte; ma è proprio oggi che si esperimenta che il signore della morte è il diavolo, e il Signore libera dalla morte.
La presenza: privata e pubblica; anche se il Signore è un bambinello infante, è presente nel suo popolo: è la festa dell’incontro del Signore con il suo popolo. Da questo momento Gesù è nel seno del suo popolo per sempre, è presente nella pasta dell’umanità e la lievita: tutto quello che è avvenuto prima era una preparazione, oggi Egli si incontra con tutta l’umanità; festa di ogni uomo.
L’universalità del Natale è oggi resa pubblica anche nella forma; il Cristo assume tutti gli atti religiosi degli uomini e li finalizza alla perfetta adorazione del Padre. La piccola candela, in mano ad ogni uomo, diventa una grande luce; luce delle Genti, e privilegio e gloria d’Israele.
Quando Israele capirà, si sbalordirà della sua grandezza e si glorificherà del suo privilegio vero (non quelli che crede oggi!). Da questo mistero, come sempre, non è assente la Passione: attraverso la profezia fatta da Simeone alla Vergine: alla Mamma compiaciuta dell’offerta, Simeone dice: «Una spada»: la passione di Maria per la Passione di Cristo: Con la sua Passione e la passione della sua Vergine Madre, il Cristo ha riscattato tutto il dolore: per dirci che tutta la nostra passione è 44già riscattata, già risolta in Lui: anche per questo ci rallegreremo. Già adesso ci si preannunzia la liberazione: passaggio attraverso noi che siamo imprigionati nel dolore, passiamo attraverso il dolore, come certi santi tra le fiamme. Noi passeremo attraverso i patimenti e la morte, ma per passare, per raggiungere la Gloria» (d. G. Dossetti, appunti di omelia, Gerusalemme, 2.2.1983).

III Domenica del T.O. – Chiamati alla sequela di chi non delude mai.

lasciate le retiUna comunità cristiana è libera se al suo interno non si riproducono le dipendenze da cui ci si è voluti liberare all’esterno.   
Purtroppo è questo quello che è avvenuto.
Fra quelli che si dicono cristiani vedete quanti dicono: io sono di Pietro, io sono di Lutero, io sono di Calvino.  
Gesù è venuto a liberarci da ogni dipendenza umana e abbiamo ristabilito le dipendenze.
Coloro che godono del vantaggio di queste dipendenze devono ricordarsi che il loro compito è di essere ministri delle coscienze, non punti di riferimento delle coscienze.  …..
 Quando la comunità ha bisogno di autorità e si spacca perché ognuno sceglie la sua, abbiamo lo scisma.
 La storia cristiana è una storia di scismi perché essa si svolge dentro questa infermità, globale: l’incapacità dell’uomo di agire nel mondo assumendosene in pieno la responsabilità. (Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – volume 1 – Anno A) 
[ nel brano del vangelo incontriamo  il termine pescatori di uomini ] Che significa pescatori di uomini?
 Mentre pescare il pesce significa tirar fuori il pesce dal suo habitat naturale per dargli la morte, pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, simbolo del male, simbolo della morte, per salvarli, per dare loro vita.
     “Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono”.  
Per seguire Gesù bisogna abbandonare il padre.    Il padre indica l’autorità e per seguire Gesù bisogna abbandonare il padre, perché l’unico Padre che c’è all’interno della comunità dei credenti è il Padre che è nei cieli, che non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’amore. [ A. Maggi ]
Con Gesù non c’è possibilità di fare calcoli.
L’abbandono di quello che abbiamo non è ricompensato con nessuna pienezza o ebbrezza; lo svuotamento è totale e deve passare dalla Croce prima di diventare pienezza ed ebbrezza.
Le chiamate personali di Gesù non sono tuttavia sempre accolte immediatamente.
Possono incontrare resistenza – come del resto incontra resistenza il Discorso della montagna -, ed è normale.
Per esempio in Mt 8, 21-22 uno dei discepoli dice a Gesù: «Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre» e si sente rispondere: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti». E’ una frase molto forte e il discepolo capisce che il suo buon proposito si scontra con le esigenze della sequela. ( Card. C.M. Martini )
 
Per scegliere i suoi primi discepoli e futuri apostoli Gesù  non si rivolge alle scuole degli scribi e dei dottori della Legge, ma alle persone umili e alle persone semplici. …  Gesù va a chiamarli là dove lavorano, sulla riva del lago: sono pescatori. ….
….. il Signore chiama anche oggi!
Passa per le strade della nostra vita quotidiana; ci chiama ad andare con Lui, a lavorare con Lui per il Regno di Dio, nelle ‘Galilee’ dei nostri tempi … ….
 E se qualcuno di voi sente che il Signore gli dice ‘seguimi’ sia coraggioso, vada con il Signore.
Il Signore non delude mai.   ….  ( Papa Francesco )

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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