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V Domenica di Pasqua: "Non dobbiamo vergognarci di sentirci scartati " – "Il Dio di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con la persona, dilatare la sua capacità d’amore."

chi vede me vede il padre In questa domenica un commento alla prima e seconda lettura di P. Ernesto Balducci tratto da ” Il mandorlo e il fuoco” vol I° e di seguito un commento al vangelo di fr. Aberto Maggi.
II LETTURA: ( At. 6,1-7)
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero:
«Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense.  Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola».   Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede. ”
 
II LETTURA: ( 1.pt. 2,4-9)
Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo.
Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso». Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa
balducciUn segno chiaro ci viene dalla Scrittura di oggi.
Secondo lo Spirito di Cristo il popolo suo è un popolo sacerdotale, dove tutti sono sacerdoti.
I costruttori del mondo che han fatto?
Hanno distinto nella Chiesa i sacerdoti e i non sacerdoti.
Ci risiamo: ritornano le regole dei costruttori.
Perché come si fa ad essere tutti sacerdoti?
Ci vorrà pure una classe che dirige!
Certo, ci vorrebbe, ci vuole. Il Signore ha previsto gli apostoli.
Ma gli apostoli sono quelli che servono, che servono fino a preoccuparsi delle necessità materiali, a condannare la discriminazione che stava entrando nella Chiesa.
Gli ellenisti erano gli aggregati, solo gli ebrei erano i veri cristiani perché del ceppo di Abramo. C’era già il classismo.
Le vedove degli ellenisti erano trascurate.
Fin nella Chiesa Pentecostale entrava la lama terribile della discriminazione.
E la premura della Chiesa qual è? Quella di vincere la discriminazione secondo le regole della fraternità totale.
La Chiesa sempre si ricostruisce sulla Parola. O meglio, sulla pietra scartata.
Per questo dobbiamo abituarci ad una immagine di Chiesa non certo diversa da quella del fondamento degli apostoli, ma diversa da quella a cui siamo assuefatti.
È questo che spesso ci divide.
E nella divisione sgorgano le passioni represse, Dio ci perdoni!
Ma come potrebbe esserci rimproverato l’amore per una Chiesa che nasce continuamente secondo questa legge?
Che forse non tutti leggiamo lo stesso Vangelo, non tutti ricordiamo le stesse parole?
Non siamo tutti innamorati della stessa via che è Gesù Cristo?
Ebbene, questo sta avvenendo, in qualche modo. Ed è uno dei segni più grandi, dolorosi (ogni segno grande della Rivelazione è anche una lama che taglia) dell’azione dello Spirito nella Chiesa di Dio.
Dobbiamo costruirci secondo questa legge. Ma dobbiamo essere anche pronti ad accettare – perché non diventi questa meditazione soltanto una carta di legittimità del dissenso – quello che ho accennato: che cioè noi siamo in gran parte complici di questo mondo.
Noi siamo quelli che scartano e quelli che sono scartati.
Vorrei trovare il modo – senza forzare il discorso – di far discendere questa riflessione sul piano dell’applicabilità quotidiana.
Non dobbiamo vergognarci di sentirci scartati – se lo siamo – per la fedeltà a questa Via.
Se siamo scartati perché non siamo troppo inclini all’ossequio, beati noi: è previsto.
Se siamo scartati perché non applaudiamo al primo predicatore, o al primo capo che arriva, o al primo capopopolo, perché siamo fedeli, beati noi!
Se siamo scartati perché non siamo diplomatici, beati noi! Cioè dobbiamo non vergognarci di questo evento: essere scartati per fedeltà. E un segno che noi siamo pietre vive.
Se ci avviene che questa fedeltà dia scandalo ai costruttori e ai loro manovali, beati noi!
I costruttori vogliono gente docile, pietre che si squadrano secondo il compasso.
La pietra viva è la pietra che non sta nella geometria.
Beati noi se siamo scartati, se non si rientra nel disegno, se guastiamo il disegno.
Beati noi se lo facciamo per Cristo, non perché siamo individualisti, soggettivisti, ma perché siamo fedeli a questa scelta.
Solo adesso possiamo riproporci la domanda fatta all’inizio, possiamo domandarci: Chi è Dio?
Dio non si conosce domandando chi è, Dio si conosce scegliendo – secondo la via che è Cristo – la parte di coloro che sono scartati.
Questo non è solo un evento moralmente bello, è un evento intellettualmente rivelatore.
C’è un intellettualismo che è il riflesso teorico di un atteggiamento opposto alla realtà di Dio. Ma chi si inserisce nel mondo con questa mitezza, con questa solidarietà con coloro che subiscono i colpi negativi, di rigetto, dei costruttori del mondo, ha una certa cognizione di Dio.
Si capisce la diversità di Dio non nei concetti ma nell’esistenza: Dio c’è, Dio è ed è il Dio di Gesù Cristo, non il Dio dei filosofi, costruttori anche loro che hanno spesso bisogno di mettere Dio nel frontone dell’edificio.
La Chiesa che è uguale a se stessa è una costruzione del mondo; ma la Chiesa che non è mai se stessa perché continuamente tesa al grido verso lo Sposo che viene, questa Chiesa sarà debole perché non si sa mai cos’è.
Una Chiesa simile non serve ai politici, ai finanziatori, agli economisti, ecc. Non serve a nessuno. Sarebbe giusto che servisse soltanto a portare questa profonda, legittima, e non alienante consolazione al cuore di coloro che si sentono scartati.
Beati voi, pietre vive!
Non siete fatti per costruire l’edificio di questo mondo , che è già minato alla base. L’occhio profetico scopre le crepe degli edifici e dice – come io Signore disse – «Non rimarrà pietra su pietra, di questo edificio».
Beati voi che siete già parte viva del Regno che cresce. E allora il vostro cuore si protenderà verso la cognizione di quel Dio che è già presente nel suo tempio, non manufatto, non creato dall’astuzia dell’uomo, perché è il Cristo stesso.

***

 
VANGELO: ( Gv. 14,1-12 )
“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».”
Alberto Maggi1Sono gli ultimi momenti che Gesù sta con i suoi discepoli e Gesù li vuole rassicurare, tranquillizzare. Vuol far loro comprendere un paradosso: che la sua morte non sarà una perdita per loro, ma un guadagno; che la sua morte non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa.
Quindi Gesù, che ha appena annunziato il tradimento di Pietro ai discepoli che sono turbati e sui discepoli sta per abbattersi una tempesta tremenda, Gesù li rassicura che Dio è con lui.
Ecco perché Gesù dice: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me»”.
E poi rassicura sull’effetto della sua partenza e dice che «Nella casa del Padre vi sono molte dimore»”.
Qui bisogna comprendere bene questo versetto alla luce poi del versetto 23 quando Gesù dirà: «Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui»”. Non si tratta qui di una dimora presso il Padre, ma del Padre che viene a dimorare tra gli uomini. Questa è la novità, la grande novità proposta da Gesù: non c’è più un santuario dove si manifesta Dio, ma in ogni persona che lo accoglie, lì Dio si manifesta.
Quindi il Dio di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con la persona, dilatare la sua capacità d’amore. Questa sarà la sua dimora.
Ma perché Gesù parla di “molte dimore”?
Perché, essendo Dio amore, l’amore non si può esprimere e manifestare in una forma sola, ma in molteplici forme quanto molteplici sono le nature degli uomini, le loro situazioni.
Poi Gesù continua questa rassicurazione dicendo che dove lui è saranno anche loro, cioè nella sfera della dimensione divina, nella sfera dell’amore.
 
E qui Gesù viene interrotto da uno dei discepoli, Tommaso, che chiede, letteralmente: “«Non sappiamo dove t’incammini»”. E’ un verbo che indica un cammino senza ritorno. Lui non capisce come la morte possa avere degli aspetti positivi. E Gesù risponde con un’affermazione solenne, importante: «Io sono»”, quindi rivendica la condizione divina, “«La via»”, cioè un cammino verso qualcosa e questo cammino è verso «la verità»”.
Gesù non afferma di avere la verità, Gesù non dice: “Io ho la verità”, ma “Io sono la verità”. E non chiede ai discepoli di avere la verità, ma di essere la verità.
Grande è la differenza.
Chi ha la verità, per il fatto stesso di possederla, si ritiene in grado di giudicare, e condannare chi non la pensa come lui.
Essere nella verità significa essere inseriti nello stesso dinamismo d’amore di Dio che vede il bene dell’uomo come valore assoluto.
Essere nella verità significa non separarsi da nessuno, ma essere accanto a tutti in un atteggiamento d’amore che si trasforma in servizio.
La verità è un dinamismo divino che non si può esprimere attraverso formule dottrinali, ma soltanto attraverso un’offerta d’amore e comunicazione di opere d’amore. E al finale c’è “la vita”.
Chi segue Gesù in questo cammino ed è come lui verità, arriva verso la vita indistruttibile, la pienezza della vita.
 
E poi Gesù dice ai discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre»”. Stranamente non dice “lo conoscerete nel futuro, ma Gesù afferma: «Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto»”.
Dov’è che i discepoli hanno veduto e conosciuto il Padre?
Nella lavanda dei piedi. Gesù, che è manifestazione visibile di Dio, ha mostrato chi è Dio: amore che si fa servizio.
Allora, più autentica è l’adesione a Gesù, facendo della propria vita amore e servizio per gli altri, e più grande sarà la conoscenza del Padre.
 
E qui c’è un altro discepolo, questa volta Filippo; lui non capisce come in Gesù si possa manifestare Dio e replica: «Mostraci il Padre e ci basta»”.
Ecco l’importante rivelazione di Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre»”.
 
Al termine del prologo a questo vangelo, Giovanni aveva fatto un’importante dichiarazione: “Dio nessuno lo ha mai visto, solo il figlio ne è la rivelazione”.
Cosa significa questo? Che non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. L’evangelista invita a sospendere il pensiero su Dio, la conoscenza di Dio e a centrarsi su Gesù. Tutto quello che Gesù fa e dice, tutto questo è Dio.
Quindi tutte le idee, le immagini, i pensieri, le conoscenze che uno ha di Dio, e non li riscontra in Gesù, devono essere eliminati perché sono incompleti o falsi.
Gesù è molto chiaro: “Chi ha visto me ha visto il Padre”.
E qual è questo Padre che si manifesta in Gesù?
Amore che si fa servizio, come abbiamo visto nella lavanda dei piedi.
E Gesù, di fronte all’incredulità dei discepoli, dice loro che, se non gli vogliono credere per le sue parole lo credano almeno per le opere.
Le opere – e le opere di Gesù sono tutte azioni con le quali lui comunica e arricchisce la vita degli altri – sono l’unico criterio di credibilità.
Il finale è espresso in formula solenne, con l’Amen, Amen, cioè «In verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio»”, le opere di Gesù sono tutte comunicazioni vitali per gli altri e poi Gesù dice – e può sembrare sbalorditivo, “«ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre»”.
Come si fa a compiere azioni più grandi di Gesù?
Gesù non ha potuto rispondere a tutti i bisogni dell’umanità, ed è nella comunità dei discepoli che si rifà al suo nome e mette come unico valore assoluto della propria esistenza – l’unico e sacro – il bene dell’uomo, una comunità che si mette in questo dinamismo dell’ “essere verità”, quindi non di avere la verità per giudicare gli altri, ma di essere per avvicinare tutti, questa è una comunità dove l’azione divina crescerà e sarà in misura traboccante a favore degli altri.
Dice Gesù: “Tutto questo sarà perché io vado al Padre”, perché lui collabora con loro. Quindi Gesù li rassicura che la sua morte non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa e vivificante.

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