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VI Domenica di Pasqua – L'amore di Dio riempie la terra con la sua alluvione misteriosa, discende in basso come l'acqua che cerca il luogo basso dove fermarsi.

Gesù e i discepoli mPotremmo dire – per cominciare schematicamente – che i cristiani si distribuiscono in due tendenze che potrebbero definirsi cosi: ci sono molti cristiani che quando parlano dell’amore di Dio se ne sentono oggetti privilegiati; il loro Dio ama la Chiesa e attraverso la Chiesa, il mondo.
Ci sono dei cristiani che invece sono convinti che Dio ama il mondo direttamente, nell’atto stesso di crearlo (in quell’atto che non si distribuisce nel tempo ma racchiude nella sua istantaneità l’universo tempo) e sceglie alcuni
perché siano testimoni di questo suo amore per tutte le creature.
La posizione che più risponde al profondo spirito del Vangelo è questa seconda.
La verità vera è che Dio ama tutti.
Non siamo noi che portiamo sulle spalle il destino del mondo e la salvezza degli uomini. Dio ama e salva.
Ma accettare questa verità che oggi la Scrittura ci ripropone non è facile perché in noi agisce un principio che va nel senso opposto.
Questo principio tende a trasformare anche le verità più universali in ragioni di prestigio e dominio, quanto meno spirituale.
Una forma di segreto narcisismo ci modella, ci separa e anche le parole del Vangelo diventano, alla fine, legittimazione della nostra separazione dal mondo.
L’Amore di Dio viene quindi capovolto nel suo opposto, una specie di nausea per gli altri, una paura della contaminazione che ci può venire dagli altri, la sicurezza che noi siamo salvi e gli altri sono peccatori.
Tutta la storia della Chiesa passa attraverso questo equivoco.
Ora, ritrovare il Vangelo vuol dire ritrovare la polla di un amore dentro cui la Chiesa deve collocarsi e giudicarsi senza farsi giudicare dal mondo, perché non è lei la luce del mondo.
La luce del mondo è il Cristo, e questa luce illumina ogni uomo che viene in questo mondo: e questa luce è appunto l’amore proveniente da Dio.
Le parole si cristallizzano; in un’epoca di deviazione ideologica le parole ci ingannano. Quando parliamo dell’amore di Dio per il mondo dobbiamo non dimenticare i due aspetti che la Scrittura mette in sommo rilievo: il primo è che l’amore di Dio è un amore discensivo, che va verso il diverso, il lontano, l’immondo, il ripudiato; è un amore che precipita verso le bassezze.
Non è un amore che da appuntamento in alto, ai bravi, ai mistici, ai contemplativi, ai capaci di grandi ascensioni. Se così fosse, questo amore verrebbe a privilegiare coloro che hanno capacità di attendere alle cose dello spirito, di contemplare, di fare giornate in «ozio» di preghiera: non sarebbe l’amore per gli umili, per i semplici che non hanno nemmeno cinque minuti per pregare.
L’amore di Dio riempie la terra con la sua alluvione misteriosa, discende in basso come l’acqua che cerca il luogo basso dove fermarsi. […]
L’altra caratteristica è che esso è gratuito e quindi previene i meriti, non si da ai buoni per negarsi ai cattivi, ma a tutti.
Dio manda la pioggia sul campo dei giusti e degli ingiusti, ama la pecorella smarrita più che le novantanove buone dell’ovile; ama il figliol prodigo più che il figlio onesto.
Questi paradossi del Vangelo vanno tutti ricondotti a una più sapiente ed attenta lettura, ma comunque questo significano: che l’amore di Dio previene e sorpassa i nostri meriti.
É una certezza che noi abbiamo per cosi dire, alle spalle, sul cui sfondo noi ci muoviamo e che illumina con tutta la sua luce la realtà.
Un cattolico del primo tipo (mi rifaccio alla distinzione che ho descritto) guarda il mondo come un salvatore assetato di salvare gli altri, ma con la sicurezza di aver lui la verità da portare, lo Spinto Santo da distribuire. C’è uno sguardo pessimistico, di desiderio di dominio, che ha radici nel profondo del nostro essere, dove si svolgono gli sviluppi della libido dominandi che è la libido del potere. Da qui nascono ricerche di appoggio da parte del potere e degli strumenti della ricchezza. Tutto ciò noi lo conosciamo.
Chi ama invece con la sicurezza che c’è un amore che lo previene e che tutto avvolge, guarda le creature con profonda simpatia, non distingue gli uomini tra salvati e non salvati, in massa damnationìs e in massa salvationis, perché ha fiducia in un amore che salva tutti e perciò rinuncia a pronunciare un giudizio sull’eterna salvezza (che vede nel mistero di Dio).
Allora il suo occhio è pieno di simpatia, di disponibilità ad accogliere i riflessi di questo amore che viene da lontano. Questa è l’idea che mi premeva sottolineare, oggi.
Pietro dice che lo Spirito Santo parla nei pagani.
Se noi traduciamo questo in un contesto di rapporti umani diverso da quello antico ma sostanzialmente identico, dobbiamo riconoscere (almeno lo devo riconoscere io per assumermi il peso della mia testimonianza e non addossarlo a nessuno) che molte volte ho ascoltato la voce dello Spirito da lontano, dai pagani, dagli scomunicati, da quelli che erano fuori, da quelli che non venivano in chiesa. Ed è stato per me un motivo di sorpresa e di ringraziamento a Dio.
Dio non ha le misure del nostro intelletto e delle nostre teologie.
Questo Spirito, il quale, come dice il primo capitolo del Genesi, riempiva l’abisso e formava la creazione trasportandola dall’informe al formato, dal caotico all’ordinato, continua ad agire nell’universo umano, parla in molte lingue e in molti modi.
Noi, a volte, consideriamo esclusi, lontani da Dio, gli uomini che non ne vogliono sapere di noi perché hanno paura del nostro dominio, e noi, allora, in qualche modo sanciamo questa loro ripugnanza come un segno sicuro di peccato.
Ma ci può essere un rifiuto del nostro dominio che viene dallo Spirito Santo!
C’è stato storicamente un anticlericalismo che rivelava un profondo amore per la libertà della coscienza. Noi ci siamo giustificati nella nostra pretesa e abbiamo bollato di peccatori e scomunicati coloro che invece rivelavano lo Spinto di Dio, perché chiunque è geloso della coerenza con la sua coscienza rivela la volontà dello Spinto Santo, che mai produce aggregazioni per violenza cioè spegnendo e soffocando la voce interiore della coscienza…  (Ernesto Balducci – “Il mandorlo e il fuoco” vol. 2 anno B)
 

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