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Lettura continua del libro ” Pregare la Parola” (Quinto Capitolo -B)

V° CAPITOLO : FORMAZIONE ALLA «LECTIO DIVINA»

B) CERCATE NELLA LETTURA TROVERETE CON LA MEDITAZIONE

XXV GIORNO

Se è vero che è importante saper pregare, è altrettanto vero che è importante saper leggere. La lettura, secondo Cassiano, è quella che ci porta alla comprensione, all’intelligenza della Scrittura, alla vera conoscenza.

Ma prima di parlare specificamente della lettura come fase della lectio divina, occorre fissare alcuni elementi necessari perché essa sia autentica.

Innanzitutto  la lettura richiede un tempo determinato: occorre che il credente eserciti un’ascesi sul tempo, per trovare il momento specifico e adatto. Questo differisce da persona a persona, ma richiede come condizione essenziale la fedeltà. La specificità del tempo è richiesta perché l’uomo è limitato e riesce a operare soltanto in azioni successive, di cui l’una esclude l’altra.

Per la lettura – occorre dirlo con forza – ci vuole tempo e un tempo adatto: nella notte, all’alba, al tramonto, comunque in tempi che favoriscono la calma, ‘il silenzio, la solitudine. Non si può dimenticare che ci sono mezzi esterni al nostro spirito che lo possono aiutare a essere più attento.

 

   «Perché allora cerca… un bene così grande, che si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo? Perché lo si cerca per trovarlo con maggior dolcezza, lo si trova per cercarlo con maggior ardore››.

   Guglielmo di Saint-Thierry nella Lettera d’oro invita a fare la lettura in ore determinate: «In determinate ore bisogna dedicare il proprio tempo a una determinata lettura. Una lettura occasionale, varia e rinvenuta quasi per caso non edifica,, ma rende l’animo instabile››. Questo perché alla lectio non possono essere riservati i ritagli di tempo; essa, come la preghiera, non può mai essere un riempitivo nella giornata. Indubbiamente in questo tempo di febbrile agitazione la tentazione per il credente di relegare la lectio divina nelle ore eventualmente «rimanenti» della giornata è forte. Ma relegando così la lectio a tempi ristretti e poco adatti, non si potranno avere i frutti sperati.

Senza il raccoglimento di «chi entra in camera e chiude la porta e legge nel segreto›› (cf. Mt 6.6), senza il silenzio esterno, non è possibile un’attesa di Dio. Jurieu dice con franchezza: «Gli scambi dell’anima con il suo Dio domandano il segreto››, e Girolamo ammoniva: «Conservare sempre il mistero della vostra camera: lo sposo possa essere presente perché quando voi pregate parlerete a lui, quando voi leggete le Scritture egli vi parlerà››.

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XXVI GIORNO

Non si tema di cadere nell’isolamento. «L’apprendimento della vita spirituale richiede la disciplina della vita comune, ma la conoscenza saporosa di Dio richiede silenzio e segretezza››.

   E così che ci si prepara a entrare nel mondo di Dio e a sentire la sua vicinanza: «vicino sei tu, o Signore» (Sal 119.151). A volte con lentezza e con estrema difficoltà interiore, a volte con entusiasmo e con rapidità percepiamo che Dio è là e noi siamo alla sua presenza (cf. Sal 84) e ci sentiamo con il cuore in mano, capaci di porlo nelle mani di Dio, sul suo petto, sotto le sue ali(cf. Sal 61.5 e 91.4).

Questa percezione non può far altro che infondere in noi gioia e timore. Timore inteso non come paura, ma come sentimento di piccolezza compunta, di commozione non sentimentale ma spirituale. Come il popolo che alla lettura delle Scritture fatta da Esdra piangeva, anche noi possiamo alcune volte provare questo sentimento di compunzione. Il pianto dello Spirito è una ricchezza così grande che i Padri medioevali sovente ne fecero l’elogio. Non è innanzitutto la compunzione quel pianto, quel gemito spirituale che lo Spirito compie in noi (Rm 8.26), e che a volte ha la fortuna di trovare un suo sacramento nelle lacrime?  A Romualdo di Ravenna, quando intendeva nello Spirito il senso della Scrittura, si riempivano gli occhi di lacrime perché la Bibbia gli svelava tutti i suoi segreti”. E Gregorio Magno parla così del monaco che sa assimilare la Parola di Dio: «Spesso vedo che alcuni si danno con tanto impegno alla Lectio divina  fino a innalzare un sacrificio di lacrime al Signore offrendo se stessi quali vittime in quel santo pianto. Il loro ventre è così pieno di Bibbia e le viscere così sature della parola di Dio, che l’animo vive raccolto in Dio nel pianto e nella santa memoria››. E così che si apre la bibbia, con gesto rispettoso e riverente, con l’epiclesi, con compunzione.

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XXVII GIORNO

E se è vero che occorre leggere a tempi determinati, è vero anche che occorre leggere passi determinati.

Non si deve e non si può sfogliare a caso la Scrittura e passare capricciosamente da un passo all’altro. La grazia di avere un lezionario quotidiano deve portare il cristiano ad attenersi a esso; solo la lettura continua di un libro, può esimerlo dall’osservarlo. Cercare dei passi a proprio piacimento sarebbe infatti ridurre la Bibbia a un libro in cui si cerca ciò che si vuole trovare.Invece si deve leggere il testo nella sua interezza, senza cernite, senza selezioni, anche se queste a volte sembrano giustificate da motivi personali o comunitari. Il lettore deve cercare di non tenere conto delle preferenze pregiudiziali. Si lasci condurre obbedientemente là dove l’intenzione dello Spirito vorrà guidarlo.

    Aprire la Scrittura e leggerla, secondo Girolamo, «è tendere le vele allo Spirito santo senza sapere a quali lidi approderemo››. Non ci si lasci prendere da nessuna sete di novità, da nessuna sete di curiosità di fronte alla Scrittura che racchiude il messaggio di Dio, di fronte a un libro che parla da sé attraverso lo Spirito, e ci si guardi dal far parlare la Scrittura a nostro piacimento. «Dio non attende da te parole, ma il tuo cuore››, dice Agostino. Certo, noi siamo tentati di scegliere testi che producano esaltazioni interiori, ma non dimentichiamo che la qualità della Parola di Dio è di essere cibo quotidiano e, come ogni nostro pasto, non sempre può dare a noi quella soddisfazione e quell’appagamento di cui soltanto in rari momenti ci è dato di godere.

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XXVIII GIORNO

  Accostare le Scritture nella fede significa anche essere pronti ad ascoltare un messaggio difficile, estraneo, esigente, un messaggio che può sembrare a prima vista incapace di riguardarmi. Il testo può anche non «dirmi niente››, ma il colloquio d’amicizia non è fatto solo di scambi di parole, bensì anche di silenzi, che possono essere eloquenti perché dicono a Dio la nostra vuotezza di fronte alla sua pienezza che si mostra a noi nella sua Parola, e dicono a me il bisogno di sottomettermi radicalmente al testo: «Te totum applica ad textum››; solo dopo potrò applicare a me questa realtà: «Rem totam applica ad te!». E questi silenzi sovente sono salutari, anche se portano il segno dell’aridità e della secchezza spirituale, perché ci aiutano a fissare lo sguardo su Dio solo, ad attenderlo nella lettura delle Scritture e a lodarlo con quel silenzio che solo può darci il senso della nostra incapacità a pregare. Ma Dio riempie questi silenzi come riempie le labbra del salmista che apre la sua bocca (cf. Sal 81.11).

   Può anche darsi che ci si imbatta in parole oscure, in testi difficili; oscuro è il linguaggio di Balaam che presenta Dio come «corno di bufalo» (Nm 23.22), oscuro il messaggio che viene dal fuoco del Sinai, oscuro il fuoco della Pentecoste. Ma queste immagini non devono produrre nel leggerle e nel ridirle la speculazione, bensì l’amore, il senso di un messaggio che ci supera. Agostino, di fronte alle difficoltà di certi passi delle Scritture, diceva commentando il versetto 4 del Salmo 11 – «Le pupille di Dio si aprono e si chiudono sugli uomini» -: «Gli uomini trovano a volte passi oscuri o anche gli occhi di Dio chiusi: allora sono sospinti a cercare; altre volte trovano gli occhi di Dio aperti e passi della Scrittura chiari: allora sono illuminati e se ne rallegrano Ma l’esistenza di passi oscuri e passi chiari nei libri santi è come le pupille di Dio che servono per scrutare e provare gli uomini: quelli che di fronte all’oscurità dei temi non sono annoiati o stancati ma stimolati, e quelli che nell’aver capito non si gonfiano d’orgoglio ma sono confermati››.

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XXIX  GIORNO

 La saggezza dei monaci così si esprime in Macario: «Siate contenti di quanto potete capire e cercate di metterlo in pratica; allora, quanto era rimasto nascosto a voi si rivelerà al vostro spirito!».

   Infine un’ultima caratteristica della lettura è l’assiduità. La continuità è richiesta perché si oppone alla dissipazione e aiuta ad assimilare, a raccogliere, a memorizzare, a concentrare la Parola. Occorre leggere e rileggere la Scrittura affinché penetri spirito e corpo del credente. I Padri antichi rendevano a una tale assiduità da imparare i testi delle Scritture a memoria, e non solo perché la loro cultura era orale, ma perché nella memorizzazione, così come per noi nella lettura continua, è possibile fare  memoria, rivivere in sé la Parola. Già il salmista del Salmo 119 mormorava, ridiceva le parole interiormente, leggendo e rileggendo i passi della Scrittura.

   Abba Pambo amava dire: «La bocca dei monaci è santa perché continuo è il loro colloquio con Dio»; infatti la Scrittura era la voce della loro preghiera e lo specchio della loro contemplazione.

Cassiano vedrà proprio nella continuità della lettura uno degli strumenti capaci di accrescere la fede e produrre una preghiera sempre più pura: «Ecco a cosa devi tendere con tutti i mezzi: applicati con costanza e assiduità alla lettura sacra fino a che un’incessante meditazione impregni il tuo spirito e per così dire la Scrittura ti trasformi a sua rassomiglianza».

L’assiduità alla lectio è poi il segno e la misura della nostra vita spirituale. Infatti ogni progresso spirituale deriva dalla lettura e dalla meditazione della Scrittura, non dalla decisione nostra autonoma rispetto alla potenza di Dio.

   Amos profetizzava: «Vengono i tempi in cui manderò una fame in mezzo al mio popolo: non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la Parola di Dio!» (Am 8.11). Se si è spirituali, si è assetati, e solo la Parola può saziare questo desiderio.

I monaci dell’antichità avevano questa fame e questa sete, e le testimonianze sulla loro assiduità alla lectio sono numerose. Girolamo ci parla della sua esperienza e di come il suo bisogno di leggere fosse così forte da respingere il sonno e così esortava: «Applicati giorno e notte alla lettura. Il sonno ti sorprenda con un libro in mano, e una pagina santa accolga il tuo viso cadente»; Pietro il Venerabile elogia un monaco «la cui bocca ruminava senza sosta le parole sacre››.

 

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XXX GIORNO

  E queste testimonianze sono da leggere alla luce del Salmo 119: «Nel silenzio della notte medito la tua parola…; nel cuore della notte mi alzo per leggere la tua parola…; mi conforto nella tua parola…; mediterò sulla tua parola…; io desidero la tua parola…; la tua parola forma la mia gioia…; giorno e notte medito la tua parola›.

 

Per la familiarità col mondo biblico ci vuole dunque questa continuità, come Girolamo vedeva con chiarezza: «La lettura produce l’assiduità, l’assiduità produce la familiarità e la familiarità produce e accresce la fede».

Non si può essere dei distratti spigolatori della Bibbia, ma occorre immergersi in essa, fare corpo con essa, diventare con essa così familiari da possederla nella profondità di noi stessi e da ritenerla come memoria, reminiscenza. E chiaro che il canto del Magnificat è sgorgato da chi aveva un cuore pieno della Scrittura ed è frutto di un cuore biblico.

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XXXI GIORNO

Così noi, sia per la preghiera sia per una vita robusta di fede, abbiamo bisogno di tale assiduità che ci metta in sintonia con lo spirito della Scrittura.

In definitiva la Bibbia è un libro che svela cose nascoste e segrete a chi la frequenta assiduamente. Solo la lunga e costante consuetudine abitua al linguaggio e all’espressione delle sue forme.

Isidoro di Siviglia dice: «Chi vuole essere sempre unito a Dio deve leggere frequentemente… e ascoltare volentieri le sacre Scritture…, perché ogni progresso viene dalla lettura e dalla meditazione. Ciò che non sappiamo lo apprendiamo dalla lettura, e ciò che noi abbiamo appreso lo conserviamo nella meditazione!››. E Ambrogio ammoniva: «Ogni giorno meditate la Parola di Dio. Prendete come consiglieri Mosè, Isaia…, Pietro, Paolo, Giovanni… Prendete come modello supremo Gesù Cristo per potere così giungere al Padre. Parlate con loro, meditate con loro tutto il giorno››.

    Con queste precisazioni possiamo leggere.

Bisogna leggere il testo in se stesso e contemplarlo, fermarsi subito dopo, senza ancora impegnare le altre nostre facoltà oltre all’attenzione. «Nella semplice lettura – dice Guglielmo Firmat – sono il Padre, il Figlio e lo Spirito santo che parlano. O dolce colloquio!››.

Si tratta di ascoltare e accogliere, prima ancora di riflettere. Ascoltare cioè la Parola in modo vitale. La lettura viene fatta con tutto l’essere: con il corpo, perché normalmente si pronunciano le parole anche con le labbra; con la memoria che le fissa, con l’intelligenza che ne comprende il senso. Frutto di tale lettura è l’esperienza.

Si legga il testo così com’è, al fine di prenderlo sul serio nel a forma e nel pensiero che gli sono propri, e non si cerchi perciò di applicare il testo troppo in fretta, né di ascoltarlo in funzione di realtà o idee nostre.

Si eviti ogni soggettivismo; la Parola venga accolta nella sua oggettività e si cerchi di comprendere che cosa il testo significa in se stesso.

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XXXII GIORNO

Non bisogna cercare l’efficacia, la sensibilità psichica che potrebbe farci cadere nella tecnica, tornando al mondo e alle sue seduzioni. Non occorre arrivare a risultati prefissati, altrimenti si resta nella ricerca gratificante di se stessi. Non ci si lasci sedurre: niente introspezionismo, ma sguardo sulla nostra realtà come dal di fuori, sguardo su ciò che è rischiarato da Dio.

Occorre avere il più possibile gli occhi di Dio e a questo sguardo ci – si può avvicinare imparando a leggere e vedere il mondo come lui lo ha visto e letto: la Scrittura non è forse quel che Dio legge e vede dell’uomo e del mondo?

 

     Occorre piuttosto sentire la voce, ascoltare la Parola che viene a noi sempre in un oggi. Questa Parola la troviamo, sì, legata a un evento passato, a una storia lontana, ma essendo forza e potenza di Dio essa ricrea per noi un nuovo oggi, ogni volta che l’ascoltiamo: «Ascoltate oggi la sua voce›› (Sal 95.8).

 

   Non bisogna dunque tanto cercare le risonanze che la Parola ebbe nel momento in cui fu scritta, ma accoglierla come se fosse pronunciata oggi per la prima volta. Solo così la lettura è viva, capace di messaggio, fonte di creatività; solo così avremo coscienza che è Dio a parlarci oggi attraverso il Cristo, e saremo capaci di aderire a questa voce, di accoglierla e ritenerla. Il seme è stato deposto nel terreno buono e, sia che vegliamo sia che dormiamo, cresce e si sviluppa (cf. Mc 4.26-27). Il nostro unico sforzo dev’essere quello di rimanere nella Parola: «Se rimanere nella mia Parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità!›› (Gv 8.31-32). Rimanere nella Parola significa rimanere accanto a Cristo per diventare suoi discepoli.

I due chiamati (ivi 1.39) andarono da lui e restarono con lui: Gesù non chiese loro altro. «Se rimanete in me e le mie parole resteranno in voi›› (ivi l5.7), potrete veramente pregare ed essere esauditi. È questo l’essenziale per una lectio divina: perché a questo punto sgorga la preghiera pura, gradita a Dio, e il fine della lectio è pertanto raggiunto.

   Ma cerchiamo di delineare tutte le ricchezze che sono contenute in questo metodo.

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XXXIII GIORNO

Nella lettura occorre cercare, cioè meditare.    Cercate nella lettura!

Chi dobbiamo cercare o che cosa? Con quali facoltà e con quali mezzi?

     Cercare significa fare l’analisi del testo, prestare attenzione alle sue parole, al suo contesto. Certamente non possiamo non tener conto del fatto che oggi siamo molto facilitati dalle attuali ricerche bibliche, letterarie ed esegetiche. L’erudizione non sterile può portare a una lettura più ricca, più piena del testo, come ci mostra, ad esempio, un Girolamo. E noi dobbiamo, pertanto, fare uso dei mezzi culturali che abbiamo a disposizione per arrivare a un’ulteriore e sempre più profonda comprensione del testo.

     Non intendiamo qui trasformare la lectio divina in scienza, ma non possiamo certo ignorare i mezzi che meglio ci aiutano a comprendere la prospettiva salvifica, il senso del testo. Si pensi soltanto a quanto ci può aiutare la determinazione dei generi letterari. Commenti patristici o spirituali antichi e moderni sono un aiuto valido a questo cercare nella lettura. Tuttavia nell’uso di strumenti culturali non dobbiamo mai dimenticare, ed è rischio grande, il fine unico e ultimo della lectio, che è quello della meditazione del testo.

La comprensione del testo che è richiesta dalla lectio divina dipende essenzialmente dall’intelligenza intera della Bibbia, dalla conoscenza della Bibbia attraverso la Bibbia stessa; dipende dalla capacità di lettura mediante concordanze, cioè accostamenti e richiami di altri testi paralleli, che illuminano, accrescono il messaggio e provocano, sotto l’azione dello Spirito santo,l’intelligenza estensiva e spirituale.

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XXXIV  GIORNO

 Questo modo di pregare la Parola può parere un modo passivo ma è il metodo più povero, è il metodo dei poveri, perché sempre possibile; basta ad esso una lunga assiduità con la Bibbia.

Gli antichi monaci non avevano strumenti culturali, spesso erano analfabeti e ignoranti, ma la loro conoscenza memorizzata della Scrittura era tale che, secondo Cassiano, «rinnovava lo spirito; rinnovava il volto stesso della Scrittura, mentre nasceva la bellezza del significato a misura del progresso spirituale››.

Al beato Francesco da Siena succedeva «di spezzare il pane della Parola al popolo e di presentargli in modo esaustivo la Parola di Dio, preparandosi non studiando l’argomento ma sostando a lungo in adorazione e contemplazione di Gesù crocifisso››. Interrogato a questo proposito, rispondeva con parole che sono per noi una pressante ammonizione: «Non l’erudizione ma l’unzione, non la scienza ma la coscienza, non la carta ma la carità devono essere i maestri della lectio divina››.

 

   La Parola di Dio infatti ci è stata data al fine dell’unzione spirituale e della carità, non al fine della cultura o dell’erudizione.

   Dunque, cercare nella lettura attraverso l’intelligenza e i mezzi culturali è doveroso, ma quello che conta è la fede che deve illuminare l’intelligenza, fede che è punto di partenza e termine della riflessione, e che è la sola condizione indispensabile per cercare Cristo nel testo.

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XXXV GIORNO

Ma la parte più importante da cercare nella lettura è la ruminatio, il ruminare, il masticare la Parola. Tale termine proviene dal vocabolario pacomiano ed è applicato alla Parola per indicare l’operazione con cui si assimila la parola letta, udita e compresa. È il gustare e vedere come è buono il Signore (cf Sal 34.9).

Guglielmo di Saint-Thierry così si esprime: «Per tutta la Scrittura, l’applicarsi ad essa (ruminatio) è tanto distante dalla semplice lettura quanto l’amicizia lo è dall’ospitalità, l’affetto fraterno da un saluto occasionale. Della lettura quotidiana bisogna far scendere ogni giorno qualcosa nello stomaco della memoria, perché sia digerito più fedelmente e, di nuovo richiamato, sia ruminato con intensa frequenza››.

   Se nella lettura è l’attenzione che ha il primato, nella ruminazione è la memoria che deve intervenire in maniera preponderante. Occorre ritornare sul testo, ritrovarne il tema centrale, richiamare le parole e imprimerle profondamente nel cuore.

Questo ruminare la Parola è mangiare spiritualmente la Scrittura, e così la Scrittura diventa cibo e bevanda nella prolungata riflessione contemplativa.

Essa avviene, come dice Giovanni di Fecamp, in ore cordis, mediante il palatum cordis; e nella masticatio Guigo II individua l’inizio della meditatio.

   Questa assimilazione della Parola letta e intesa ha come risultato il farci gustare il sapore, il farcene cogliere ogni espressione nelle sue profondità, il farci ascoltare l’eco del testo attraverso tutta la Scrittura.

Nelle regole di Pacomio viene detto: «Quando (i fratelli) saranno seduti in casa, non sia loro permesso di proferire alcunché di mondano, ma se il preposito ha insegnato qualcosa delle Scritture, ruminino e si ripetano l’un l’altro ciò che hanno ascoltato o che ricordano a memoria››.

Ricordare e avere presenti le Scritture non è dunque un semplice fatto mnemonico, perché si tratta di una memoria del cuore che ha accolto in sé parole e immagini del testo biblico. La lettura ebraica e la lectio divina non avvengono solo nello spirito, ma impegnano l’uomo tutto intero: mormorio della Parola, sforzo di attenzione del pensiero, del sentimento, della memoria, affinché le parole si imprimano nel cuore.

Meditazione attiva, dunque, in cui la stessa Parola è ripresa e ridetta come nel Salmo 119: «Gradisci, o Signore, le parole della mia bocca e il mormorio del mio cuore».

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XXXVI GIORNO

  La ruminatio è il mezzo privilegiato con cui il testo ridiventa Parola, rivive in noi sempre in modo nuovo; è il metodo con cui come scribi sapienti sappiamo trarre dalla Scrittura cose nuove e cose antiche, è il farci eco del ruggito del leone che è la Parola potente di Dio.

Uno dei frutti più belli della ruminatio  è la memoria che essa crea in noi delle azioni di Dio. E più è ruminatio  che discende dalla memorizzazione, più è memoria dossologica ed esaustiva del mistero della storia della salvezza e di Cristo.

 

   Basilio sarà quello che metterà più in evidenza questa memoria Dei: «avere Dio saldamente stabilito in sé mediante la memoria›› è per lui il frutto tipico della lettura delle Scritture, la vera preghiera possibile al più umile come al più colto dei fratelli, una memoria possibile sempre e che è di per sé preghiera continua. «Il ricordo delle meraviglie di Dio – dice Basilio – viene dalla lettura, e dal ritenere che dalle Scritture nasce la   meditazione».

Ed ecco allora alcune annotazioni elementari sulla meditazione.

Dopo la lectio vera e propria, la ruminatio ci introduce  alla  meditatio.

  La meditazione consiste nel far passare la Parola di Dio nella vita affinché diventi uno strumento di preghiera. Meditare – secondo una definizione di Jean Leclercq  – è cercare il sapore della Scrittura, non la scienza”. «La Scrittura è il pozzo di Giacobbe, e con la meditazione si attingono le acque che si spandono nell’orazione»

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XXXVII  GIORNO

La meditazione esige un lavoro rude e costante, ma generazioni intere, dall’età patristica al medioevo, vi hanno attinto in modo ricco. Perfino Francesco, così critico verso il mondo monastico, stimerà tale metodo che informerà la scuola degli ordini mendicanti non canonicali.

   Ma come meditare? La Bibbia non ci dà ricette ma alcuni suggerimenti.

   C’è un modo di meditazione, quello ad esempio del Salmo 119, che è proclamazione e successiva ripresa di un motivo, in questo caso la legge, sotto diversi punti di vista. Lo stesso avviene nei Salmi 106 e 107, dove si ricerca l’amore di Dio per il suo popolo nella storia. Meditazione come viaggio, metodo ripetitivo.

C’è una meditazione di tipo paolino, rispondente a un movimento di concentrazione-dilatazione ritmato su due fasi: una in cui il motivo è visto in modo preciso, personalizzato, come l’evento della croce nelle lettere ai Galati e ai Corinti; l’altro in cui si osserva la dilatazione e l’estensione di tale evento, come la funzione salvifica della croce, nelle lettere ai Colossesi e agli Efesini.

C’è un metodo giovanneo, che chiamiamo ciclico, in cui gli stessi temi sono ripresi nuovamente secondo uno schema catechetico.

E c’è un metodo liturgico ecclesiale che è quello di celebrare e meditare un evento della storia di salvezza prima da un punto di vista ontologico, memoria del Natale o della Pasqua, poi in modo soteriologico, nelle memorie dell’Epifania e della Pentecoste. Ma molti altri sono i metodi. L’importante è, di fronte a un testo, domandarsi – come Maria – che cosa significano le parole rivelate (Lc 1.29) e conservarle nel cuore fedelmente, meditandole (Lc 2.19).

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   XXXVIIII  GIORNO

La Parola di Dio non fa violenza, è dolce, è presente nella brezza leggera piuttosto che nel tuono (cf. 1 Re 19.12), e si fa sentire in modo allusivo, silenzioso, tramite lo Spirito santo.

   Ma Guigo ci dà un esempio concreto della meditazione. Ci piace trascriverlo perché è molto eloquente nel distinguere la meditatio dalla meditazione delle scuole degli ultimi secoli. Egli parte dal versetto evangelico: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio››, e comincia a ricercarne il centro che è la purezza di cuore. Purezza di cuore che a Guigo non fa affatto venire in mente l’esame di coscienza o il confronto di se stesso con la parola evangelica, ma invece, riferendosi al Salmo 24.3-4, ricorda le qualità di chi entra in intimità col Signore. E da qui il richiamo va al Salmo 51.12: «Crea in me un cuore puro››. Ecco, Dio ha questa capacità di creare la purezza, di rinnovarci lo spirito e il cuore. Il frutto di questa azione di Dio in noi è vedere Dio, vedere il volto del Signore dopo averlo tanto cercato. Poter vedere Dio in Cristo trasfigurato. La vita ci purificherà, la morte ci brucerà e «al nostro risveglio saremo saziati della sua immagine» (Sal 17.15). Ecco com’è la meditazione patristica.

      Guigo interrompe a questo punto le sue riflessioni e dice al lettore: «Hai visto quale incendio ha propagato una piccola scintilla?››. C’è una dilatazione, nella lectio divina, che ci porta ad accogliere sempre di più la Parola di Dio, a riempirci la bocca delle sue parole, ad averne così tante davanti da ridirle ansimando (Sal 119.131). Certo, la Scrittura è un pozzo profondo, e noi non abbiamo i mezzi propri per attingervi se non la meditazione, che è dialogo tra noi, lo Spirito e il Cristo che emerge quale immagine del Padre dal testo biblico.

 

   Teolepto di Filadelfia così ci istruisce sul modo di condurre questa meditazione: «Leggete attentamente una pagina, penetratene il significato, non accontentatevi di percorrere velocemente e superficialmente le parole, ma sentitele con tutta la vostra intelligenza e tesaurizzatene il senso in voi; poi riflettere su ciò che avete letto, meditate e sarete infiammati da fervore. Come la triturazione degli alimenti ne rende il gusto piacevole, così le parole divine dette e ridette danno all’intelligenza l’unzione dell’illuminazione e della gioia›. Nella meditazione si coglie il sapore, si accresce il gusto sempre più grande della Parola di Dio.

    Isacco di Ninive ci avverte che «nella meditazione le parole acquistano una soavità particolare nella bocca, e si può ripetere interminabilmente la stessa parola senza diventarne sazi››. Si resta su quel testo e non si va oltre, non si ha bisogno di altro se non di meditare sempre più in profondità dicendo e mormorando la stessa parola. E così la Parola di Dio mi parla, anzi Dio stesso mi parla, e la Parola mi dice ed esige ciò che ieri non mi diceva e non chiedeva. L’uomo che ascolta la Parola si eleva alla dignità di «uomo che risponde» al Creatore. Inizia così l’altra fase della lectio, cioè l’orazione.

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