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III DOMENICA DI AVVENTO – Il più piccolo del Regno di Dio è il povero, che non ha nemmeno dignità morale, che non è un Giovanni Battista, non rispetta nemmeno tutti i comandamenti che però attende, cosciente di sé e della sua miseria.

La  PRIMA LETTURA  ci invita a  rallegrarci, cantare perché si avvera la promessa che il deserto, terra desolata, diventa una terra feconda e rigogliosa. È una gioia cosmica, che coinvolge non solo gli esseri umani, ma anche il deserto e la steppa che si trasformano in un bosco come quelli del Libano, in una prateria fiorita come i monti del Carmelo e del Saron. Il grido che risuona è un invito al coraggio per chi ha le mani fiacche, le ginocchia vacillanti, il cuore spezzato… Dio viene a salvare il suo popolo  …  il pellegrinaggio verso Gerusalemme può quindi avvenire su una strada sicura e senza ostacoli.

Nella SECONDA LETTURA  Giacomo chiede alla comunità cristiana di non stancarsi nell’attesa della venuta gloriosa del Signore. Per tre volte risuona il verbo makrothyméo, che indica l’essere pazienti, ma soprattutto il sentire in grande. È un atteggiamento decisivo per poter discernere la parousía, la venuta del Signore, e non fermarsi invece alla cronaca mondana: questa venuta, infatti, si è avvicinata, accelera, incalza. E cosa richiede questa attesa del Giudice? Che i cristiani non si giudichino l’un l’altro, ma nella carità reciproca confidino nella misericordia del Signore. L’esempio viene dai profeti, i portavoce di Dio, che hanno mostrato sottomissione (kakopathía) e pazienza (makrothymía), perseverando fino alla fine, fino all’incontro con il Veniente. ( E. Bianchi )

Nel Vangelo   i segni annunciati da Isaia come rivelatori della salvezza già presente, si realizzano in Gesù. Egli stesso lo afferma rispondendo ai messaggeri inviati da Giovanni Battista: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano» (Mt 11,5). Non sono parole, sono fatti che dimostrano come la salvezza, portata da Gesù, afferra tutto l’essere umano e lo rigenera. (Papa Francesco )

…. Poi Gesù, mentre i messaggeri ritornavano da Giovanni, questo dice di lui:   « un uomo rimasto sempre lontano dai palazzi dei re e dei sacerdoti. Un uomo che non conosceva le vesti sfolgoranti, preziose o morbide: non frequentava salotti e sapeva tenersi lontano da quelli che usano il loro potere per contaminare e rendere schiavi gli altri.  Giovanni era un profeta, un portavoce di Dio, il messaggero e precursore del Signore. …. Tuttavia “il più piccolo”, cioè Gesù stesso, abbassatosi fino all’ultimo posto, rifiutato fino alla condanna della croce, giudicato non martire ma scomunicato, “nel regno dei cieli è più grande di lui”. E se Giovanni non trova in Gesù motivo di inciampo, di ostacolo, allora è beato!» ( E. Bianchi )

Il più piccolo del Regno di Dio è il povero, che non ha nemmeno dignità morale, che non è un Giovanni Battista, non rispetta nemmeno tutti i comandamenti che però attende, cosciente di sé e della sua miseria. ( E. Balducci )

Per questo – come Gesù conclude con una parola dai tratti anche misteriosi – “dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” ” (Mt 11,12). È la pacifica violenza di Giovanni, è il suo sofferto ma saldo discernimento la chiave per accedere al Regno e per accogliere colui che è il Regno fatto persona: Gesù, il Veniente, la cui buona notizia è così lontana dai nostri schemi religiosi! ( E. Bianchi ).

L’Avvento è tempo di grazia.

 Ci dice che non basta credere in Dio: è necessario ogni giorno purificare la nostra fede. Si tratta di prepararsi ad accogliere non un personaggio da fiaba, ma il Dio che ci interpella, ci coinvolge e davanti al quale si impone una scelta.

Il Bambino che giace nel presepe ha il volto dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi, dei poveri che «sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi» (Lett. ap. Admirabile signum, 6).

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