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Epifania del Signore – Il re Messia d’Israele è nato e i grandi non lo sanno, genti lontane sono guidate dalla luce di Dio ma non possono trovarlo senza la mediazione d’Israele.

La celebrazione del mistero dell’apparizione del Signore a tutte le genti ci mette di fronte la sua gloria, quella gloria che, incominciata a Betlemme, si è dilatata progressivamente in tutta la terra e si estenderà, un giorno, anche ai nostri occhi come già si estende nella sostanza a tutta la creazione.
È anche la festa del dono di Dio fatto a noi, chiamati dalle genti, a costituire con Israele un unico popolo in lui. Ma la festa di questo dono è insieme anche richiamo alla grande responsabilità di questa vocazione nei confronti di tutti gli altri popoli della terra, di quelli soprattutto che sentono l’anelito profondo al Signore, che nel cuore già lo adorano e muovono verso di lui anche se non hanno avuto ancora esplicitamente, com’è stato fatto a noi, l’annunzio evangelico della morte e della risurrezione del Signore Gesù.
Dunque, celebriamo la gloria del Signore, il dono fatto a noi, la responsabilità della nostra mediazione nei confronti di tutti i popoli della terra perché questo dono si effonda in pienezza su tutti coloro che sono chiamati dalla misericordia di Dio ad essere Suoi figli, cioè su tutti gli uomini perche per tutti il Signore Gesù è morto e risorto.
[…] Questa festa è tutta piena di gioia, come avrete notato anche voi, sia dalle parole della Scrittura che abbiamo ascoltato che dalla Liturgia. Se riflettiamo bene vediamo che questa è la prima tappa della la gioia.
C’è gioia anche nel Natale, lo sappiamo bene, ma nella considerazione della Chiesa e nella realtà profonda del mistero di Cristo, la prima esplosione della gioia e indubbiamente questa di oggi. ll Natale ha tutta una sua intensità più intima e raccolta, ma la gioia liturgica nel senso più forte della parola, cioè la gioia cosmica, la gioia escatologica, la gioia veramente dell’eternità, è già anticipata in modo singolare in questa prima tappa. La seconda tappa sarà il giorno di Pasqua e la terza il giorno di Pentecoste in cui, con il dono dello Spirito di Dio che consacra in atto tutta l’umanità nuova redenta dal mistero pasquale, si effonde il gaudio in tutto l’universo. Sono le tre tappe della gioia che vibrano nel tempo, simili a tre anticipazioni dell`eternità. Sono un segno del mistero della gioia eterna, della gioia che non ha più fine, di quella gioia che si trova assolutamente al di là di ogni momento del tempo e di ogni luogo della terra. . 
[ La prima lettura  tratta dal cap. 60 di Isaia] …è un oracolo rivolto a Gerusalemme, … ma in realtà coinvolge, investe, anche tutti i popoli della terra. […]  Isaia, o comunque il profeta, ha come immediata intenzione di avere di fronte non una Gerusalemme mistica, ma la … una città concreta che è segno. E le dice:
«.. Sorgi e risplendi, Gerusalemme, perche e giunta la tua luce e lo splendore del Signore sopra di te brilla: » (Is. 50,1).
Di che cosa risplende Gerusalemme? Non di una sua luce, che non ha, ma di una luce che è venuta su di lei, della gloria dall’alto. Tutto questo è tanto più forte e significativo  perché  subito dopo è detto che a questa luce su Gerusalemme fanno invece riscontro le tenebre.
« Le tenebre ricopriranno  la terra e l’oscurità le nazioni, ma sopra di te risplenderà il Signore e la Sua gloria si manifesterà sopra di te» ( Is. 60,2).
Dunque su Gerusalemme non risplende solo una luce, non solo una gloria, ma addirittura il Signore.
Questo tipo di discorso non ci stupisce, perché  abbiamo nelle orecchie e nel cuore una parola suprema del Nuovo Testamento, il Prologo di Giovanni, in cui si dice la stessa cosa: c’è una luce, una gloria, che è Dio stesso che si manifesta, e ci sono tenebre e oscurità che coprono tutto il resto.  […]  Si profetizza una gloria su Gerusalemme, che è la stessa gloria che viene da Dio che si fa presente in lei; tutto il resto è tenebre: tutte le altre città, tutti gli altri popoli della terra potranno muoversi, camminare, solo per questa luce e solo verso questa luce:
«I popoli cammineranno alla tua luce e i re allo splendore che emana da te » [ls 50,3).
Questa luce è l’unica realtà che brilla nel mondo, che attira, che segna il cammino di tutti i popoli e di tutti i capi. Questo contrasto è cosi forte che il profeta si rende  conto  che nemmeno Gerusalemme lo capisce, allora la invita, con una sollecitazione che torna altre volte in lsaia, ad alzare gli occhi e a guardarsi intorno. Le dice:
«Gira intorno gli occhi e guarda tutti costoro si sono radunati e vengono a te; figli vengono da lontano e figlie ti saranno portate in seno»  [Is. 60,4].
[…] . Tutta la terra, tutti i popoli e tutte le nazioni si muoveranno verso di lei per questa luce che sola illumina, che sola indica il cammino, e  verseranno nel suo seno dei figli che non sapeva di avere concepito , delle figlie lontane che non sapeva di avere. […] ( G. Dossetti – Omelie del tempo di Natale)
 […] Il re Messia d’Israele è nato e i grandi non lo sanno, genti lontane sono guidate dalla luce di Dio ma non possono trovarlo senza la mediazione d’Israele.  [Ma] … Israele possiede il tesoro delle Scritture, lo offre per gli altri, non lo adopera per sé. Israele è estraneo all’incontro col Cristo nato: questa estraniazione durerà fino alla fine dei secoli.  Gli altri trovano, si consegnano e donano. ….  I magi fanno una sola cosa s’incamminano, giungono e adorano. Tutto questo per la sua gloria e la nostra e per quella di tutti gli uomini, perché tutti vuole, perché tutti vuole radiosi in Cristo suo Figlio» (d. G. Dossetti, appunti di omelia, Gerusalemme, Epifania, 1980).
 Tre gesti dei Magi orientano il nostro percorso incontro al Signore, che oggi si manifesta come luce e salvezza per tutte le genti. I Magi vedono la stella, camminano e offrono doni.
Vedere la stella. È il punto di partenza. Ma perché, potremmo chiederci, solo i Magi hanno visto la stella? Forse perché in pochi avevano alzato lo sguardo al cielo. Spesso, infatti, nella vita ci si accontenta di guardare per terra: bastano la salute, qualche soldo e un po’ di divertimento. E mi domando: noi, sappiamo ancora alzare lo sguardo al cielo? Sappiamo sognare, desiderare Dio, attendere la sua novità, o ci lasciamo trasportare dalla vita come un ramo secco dal vento? I Magi non si sono accontentati di vivacchiare, di galleggiare. Hanno intuito che, per vivere davvero, serve una meta alta e perciò bisogna tenere alto lo sguardo.
Ma, potremmo chiederci ancora, perché, tra quanti alzavano lo sguardo al cielo, tanti altri non hanno seguito quella stella, «la sua stella» (Mt 2,2)? Forse perché non era una stella appariscente, che splendeva più di altre. Era una stella – dice il Vangelo – che i Magi videro appena «spuntare» (vv. 2.9). La stella di Gesù non acceca, non stordisce, ma invita gentilmente. Possiamo chiederci quale stella scegliamo nella vita. Ci sono stelle abbaglianti, che suscitano emozioni forti, ma che non orientano il cammino. Così è per il successo, il denaro, la carriera, gli onori, i piaceri ricercati come scopo dell’esistenza. Sono meteore: brillano per un po’, ma si schiantano presto e il loro bagliore svanisce. Sono stelle cadenti, che depistano anziché orientare. La stella del Signore, invece, non è sempre folgorante, ma sempre presente; è mite; ti prende per mano nella vita, ti accompagna. Non promette ricompense materiali, ma garantisce la pace e dona, come ai Magi, «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Chiede, però, di camminare.
Camminare, la seconda azione dei Magi, è essenziale per trovare Gesù. La sua stella, infatti, domanda la decisione del cammino, la fatica quotidiana della marcia; chiede di liberarsi da pesi inutili e da fastosità ingombranti, che intralciano, e di accettare gli imprevisti che non compaiono sulla mappa del quieto vivere. Gesù si lascia trovare da chi lo cerca, ma per cercarlo bisogna muoversi, uscire. Non aspettare; rischiare. Non stare fermi; avanzare. È esigente Gesù: a chi lo cerca propone di lasciare le poltrone delle comodità mondane e i tepori rassicuranti dei propri caminetti. Seguire Gesù non è un educato protocollo da rispettare, ma un esodo da vivere. Dio, che liberò il suo popolo attraverso il tragitto dell’esodo e chiamò nuovi popoli a seguire la sua stella, dona la libertà e distribuisce la gioia sempre e solo in cammino. In altre parole, per trovare Gesù bisogna lasciare la paura di mettersi in gioco, l’appagamento di sentirsi arrivati, la pigrizia di non chiedere più nulla alla vita. Occorre rischiare, semplicemente per incontrare un Bambino. Ma ne vale immensamente la pena, perché trovando quel Bambino, scoprendo la sua tenerezza e il suo amore, ritroviamo noi stessi.
Mettersi in cammino non è facile. Il Vangelo ce lo mostra attraverso i vari personaggi. C’è Erode, turbato dal timore che la nascita di un re minacci il suo potere. Perciò organizza riunioni e manda altri a raccogliere informazioni; ma lui non si muove, sta chiuso nel suo palazzo. Anche «tutta Gerusalemme» (v. 3) ha paura: paura delle novità di Dio. Preferisce che tutto resti come prima – “si è sempre fatto così” – e nessuno ha il coraggio di andare. Più sottile è la tentazione dei sacerdoti e degli scribi. Essi conoscono il luogo esatto e lo segnalano a Erode, citando anche la profezia antica. Sanno, ma non fanno un passo verso Betlemme. Può essere la tentazione di chi è credente da tempo: si disquisisce di fede, come di qualcosa che si sa già, ma non ci si mette in gioco personalmente per il Signore. Si parla, ma non si prega; ci si lamenta, ma non si fa il bene. I Magi, invece, parlano poco e camminano molto. Pur ignari delle verità di fede, sono desiderosi e in cammino, come evidenziano i verbi del Vangelo: «venuti ad adorarlo» (v. 2), «partirono; entrati, si prostrarono; fecero ritorno» (vv. 9.11.12): sempre in movimento.
Offrire. Arrivati da Gesù, dopo il lungo viaggio, i Magi fanno come Lui: donano. Gesù è lì per offrire la vita, essi offrono i loro beni preziosi: oro, incenso e mirra. Il Vangelo si realizza quando il cammino della vita giunge al dono. Donare gratuitamente, per il Signore, senza aspettarsi qualcosa in cambio: questo è segno certo di aver trovato Gesù, che dice: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Fare il bene senza calcoli, anche se nessuno ce lo chiede, anche se non ci fa guadagnare nulla, anche se non ci fa piacere. Dio questo desidera. Egli, fattosi piccolo per noi, ci chiede di offrire qualcosa per i suoi fratelli più piccoli. Chi sono? Sono proprio quelli che non hanno da ricambiare, come il bisognoso, l’affamato, il forestiero, il carcerato, il povero (cfr Mt 25,31-46). Offrire un dono gradito a Gesù è accudire un malato, dedicare tempo a una persona difficile, aiutare qualcuno che non ci suscita interesse, offrire il perdono a chi ci ha offeso. Sono doni gratuiti, non possono mancare nella vita cristiana. Altrimenti, ci ricorda Gesù, se amiamo quelli che ci amano, facciamo come i pagani (cfr Mt 5,46-47). Guardiamo le nostre mani, spesso vuote di amore, e proviamo oggi a pensare a un dono gratuito, senza contraccambio, che possiamo offrire. Sarà gradito al Signore. E chiediamo a Lui: “Signore, fammi riscoprire la gioia di donare”. [ Papa Francesco ]
 

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